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Zodiac


La non-storia di un assassino: Zodiac 
Quando decidi di parlare di una storia vera puoi scegliere due modi per raccontarla: il punto di vista del protagonista o quello di qualcun altro. Puoi optare per una prospettiva contemporanea agli eventi oppure usare il flashback, ma sei vincolato comunque alla prima scelta che hai fatto perché quando il racconto non è tuo, quando i fatti sono realmente accaduti, sei obbligato a chiederti con quali occhi vuoi guardarla. David Fincher è uno di quei registi che può permettersi di farci scorrere sotto gli occhi il punto di vista di “qualcun altro”  intitolando il film come il protagonista, un protagonista che non si vede ma si sente: Zodiac.  Il film in pillole
La vicenda è di quelle che se capitasse vicino a casa vostra non vi farebbe di certo dormire tranquilli perché un serial killer è per definizione imprevedibile e spietato e quello che spesso conta non è la vittima, ma il modus operandi e quello di Zodiac alla fine degli anni ’60 in California era al limite della perfezione.No, non sto dicendo che gli assassini sono perfetti e brillanti; sto semplicemente dicendo che per sfuggire alla legge per tutta una vita è necessaria una certa intelligenza e al serial killer americano non mancava di certo. Enigmi capaci di mettere in scacco anche la CIA, omicidi brutali e senza tracce, arroganza e presunzione degne di una mente malata ma superiore: questo è Zodiac.Un protagonista che manca e lascia spazio ad un gruppo di personaggiEppure non è a lui che il regista decide di dare centralità in questo lungometraggio del 2007, ma ai personaggi che gli girano attorno nel tentativo di prenderlo, di capirlo, di trovare il senso a quegli omicidi che implicano spesso e volentieri una coppia e che altrettanto spesso contemplano la morte di lei e la vita (rovinata) di lui. Ci troviamo così a seguire i progressi dell’ispettore David Toschi, interpretato magistralmente da Mark Ruffalo, ma anche e soprattutto quelli di un’inedita coppia: il cinico giornalista Paul Avery e l’anonimo vignettista Robert Graysmith. Un duo che ha i volti e il talento di Robert Downey Jr. e Jake Gyllenhall.Il risultato è un thriller atipico di oltre due ore che fa leva su somiglianze e diversità in un gioco continuo fatto di inquietudine, ricerca e, soprattutto, ossessione.L’ossessione uccide
La scelta di Fincher, quella relativa al punto di vista, non è casuale e non è solo data dal tentativo di raccontare la storia in modo fedele dal momento che Zodiac è ancora ignoto al mondo e l’unico modo per poterne parlare è attraverso ciò che di lui è noto: gli enigmi e le testimonianze di chi l’ha inseguito per anni.Quando l’ossessione è quella di capireQui il regista ha deciso di mettere in campo qualcosa di diverso e disturbante, qualcosa che sfugge alla semplice logica del “tu uccidi, io devo prenderti“. Qui il serial killer è un uomo malato ma la sua malattia è contagiosa. Zodiac non è la storia di un assassino perché a mancare è il vero protagonista, Zodiac è la storia di un’ossessione che nasce dentro e ti uccide l’anima, è la storia soprattutto di chi l’ha cercato sacrificando tutto e perdendo ad un certo punto lo scopo della ricerca. L’obiettivo ad un certo punto della storia non è più catturare un pazzo che uccide la gente, ma capire. Capire il come, ma soprattutto il perché. Il chi smette di essere rilevante per far posto alla curiosità morbosa scaturita dal bisogno di comprendere quella mente così disturbata ma nel contempo così geniale.Ecco perché Zodiac è un thriller atipico. Perché è il viaggio nell’ossessione di qualcuno che dovrebbe essere il buono e che nella nostra testa continuerà sempre ad esserlo, ma non puoi non renderti conto che si stanno superando i limiti, che la ricerca è troppo spasmodica per essere solo giustizia.Questo ovviamente non significa che Zodiac perda il senso del suo essere: è, dicevamo prima, un thriller e le scene capaci di incollarvi alla sedia pieni di ansia non mancano, ma l’inquietudine serpeggia per la maggior parte della pellicola in modo subdolo e non visibile perché così risulta chiaro che a dover preoccupare lo spettatore non è solo un serial killer impossibile da catturare, ma soprattutto l’effetto che quest’ultimo riesce ad avere su quel gruppo eterogeneo di esseri umani che gli sta attorno.Il mio consiglio? Andate e guardatelo perché sì, è atipico e sì, Fincher poteva fare qualcosina in più, ma il risultato è un lungometraggio che merita di essere visto ed apprezzato.