dalla Massara

Peggy Guggenheim: -Sono stato a letto con Peggy-


"Nessuno mai è abbastanza morto finché qualcuno lo ricorda"- una memoria scritta l’1.11.06 dopo una serata su Peggy -
    Quella cancellata di ferro e vetro mi fu prima una barriera.  Avevo sostato più volte, rapito, timido, di fronte a quella ‘cosa’.  Il sole,  su quei ‘pezzi’ di vetri azzurri, ci giocava riflessi e bagliori capaci di rapirmi.Se vuoi, per educazione, ero più attratto dalla vicina Cà Dario o da quell’antiquario (da Gigi o oggi Marangon da Soase?) che riempiva campiello S. Cristoforo proprio lì dove c’era la fontanella che mi rinfrescava prima di sedere sui gradini del Ponte.Da giovane del Liceo Artistico presso l’Accademia, all’interno del palladiano Convento della Carità, vivevo già della fucina d’arte che era Venezia. Quella Venezia che andavo a scoprire, giorno dopo giorno.  Dovetti però raccogliere tutte le mie energie per suonare quel campanello e farmi aprire i battenti della ‘casa museo ‘ e scoprire quello che mi sembrò subito un altro mondo e che solo dopo colsi essere più veneziano che mai, in una Venezia che ha saputo sempre essere moderna, pur nella tradizione.  Lentamente superai quel giardino per entrare in casa, quasi in punta di piedi.  Il ricordo mi torna sempre a come fui abbagliato dalle forme di Brancusi  (che forse collegavo ai lavori di Viani in Accademia), ma le immagini mi si sovrapponevano come lampi.Entrato nel modo più discreto (ero solo) mi scoprii accompagnato a distanza dalla grande signora.Per l’età, per il fascino, per gli occhiali, colsi subito essere quella la ‘signora’,  la padrona di casa, anche perché  solo in una giornata tanto calda.
Avevo probabilmente l’aria di un ragazzino spaventato, quanto curioso, quando la gran signora, dopo avermi riguardato e studiato, prese cura di me e con tenerezza mi divenne guida di tante opere (per me) tutte da scoprire.   Per noi la storia dell’arte era quella di  Mazzariol  e  di Argan,  se mai il moderno era nella appena giunta Pop art.   Lì era invece la rivoluzione, erano barricate, letteralmente uno choc.  Quando pieno d’orgoglio ringraziai e salutai la grande signora, mi sentii ripetere l’invito a tornare, a tornare presto.Lo feci a pochi giorni, in una giornata forse ancora più calda e deserta: forse per  la temperatura o forse per l’emozione.La grande signora mi accolse con un abbraccio e abbandonando il ruolo di guida, iniziò a farmi parte delle sue emozioni, dei suoi ricordi. Ricordi di artisti, di amici e di amori.  Certo che giunti nella camera, la camera dove c’era  ancora il lettone con la grande ‘testiera’ , di Max Ernst (una grande ragnatela d’argento),  mi ci fece cadere  e si lasciò cadere su quel lettone, continuando i suoi  racconti, lasciandomi ammutolito a guardarla e ad ascoltarla: timore o emozione,  anche con tanta tensione.
  "Vieni quando vuoi ...", mi disse più o meno, salutandomi ancora.Ricordo di essere ritornato una terza volta, e il salutarla con affetto nel mezzo degli altri ospiti mi caricò di tanto orgoglio, mentre la lasciavo presa o occupata tra i nuovi arrivati,  venuti a disturbare quella mia visita.G.d.M.