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Post n°59 pubblicato il 19 Giugno 2013 da paoloproietti.rnk
saundaryalaharī Il saundaryalaharī è il testo base della Sri Vidya o Sri Kundalini, la pratica di mantra, yantra e meditazione legata allo Sri Yantra. Si tratta di 103 versetti dei quali i primi 41, detti ānandalaharī, furono trasmessi oralmente da Gaudapada a Śaṅkara Bhagavatpāda e gli altri sarebbero stati aggiunti da Śaṅkara stesso. I versi sono belli ed elenganti, ma le traduzioni occidentali, che tentano di restituirne l'afflato poetico, risultano spesso incomprensibili. Credo che il problema riguardi non tanto l'uso di un linguaggio segreto o gergale, come dicono alcuni, ma dal fatto che i versi si riferiscono spesso ad altri testi e gli autori danno per scontata la conoscenza dei Kriya, ovvero delle tecniche di circolazione delle energie sottili negli asana e nelle pratiche meditative. In occidente, e soprattutto in Italia,chi traduce dal sanscrito è quasi sempre un erudito, un linguista o un filosofo, con scarsa conoscenza delle pratiche yoga. Può apprezzare la bellezza delle parole, o la profondità dei concetti, ma difficilmente si renderà conto della valenza operativa di ciò che sta tentando di interpretare. D'altra parte i praticanti di Yoga difficilmente hanno una conoscenza del sanscrito paragonabile a quelle dei linguisti o dei docenti di filosofia, ragion per cui finiscono spessissimo per riferirsi alle traduzioni degli eruditi perdendo la possibilità di comprendere appieno le indicazioni contenute negli scritti degli antichi maestri. Secondo me un praticante di yoga dovrebbe affrontare un sutra di Patanjali o di Śaṅkara pensando che contenga sempre istruzioni su pratiche psicofisiche destinate a modificare la percezione di se stessi e del mondo. Per fare un esempio prendiamo ad esempio lo sloka 34 dell'ānandalaharī: शरीरं त्वं शंभोः शशिमिहिर वक्षोरुहयुगं तवात्मानं मन्ये भगवति नवात्मानमनघं अतः शेषः शेषीत्ययं उभयसाधारणतया स्थितः संबन्धो वां समरसपरानन्दपरयोः śarīraṃ tvaṃ śaṃbhoḥ śaśimihira vakṣoruhayugaṃ tavātmānaṃ manye bhagavati navātmānamanaghaṃ ataḥ śeṣaḥ śeṣītyayaṃ ubhayasādhāraṇatayā sthitaḥ saṃbandho vāṃ samarasaparānandaparayoḥ Le traduzioni che si trovano sui testi di yoga e sui siti web sono tutte simili e non c'è ragione di dubitare della loro attendibilità. Più o meno in Italiano suonerebbe così: "Il tuo corpo, che ha il sole e la luna come seni, con gli occhi della mente diviene il corpo di Shiva. Nel suo corpo circondato da nove fossati, c'è il tuo corpo. Per questo tra Shiva e la Devi non c'è differenza e il rapporto tra chi possiede e chi è posseduto diviene l'Uno perfetto ed eterno". Ora, con un minimo di immaginazione ed una spruzzata di filosofia il brano non pare difficile da interpretare. Con gli occhi della mente visualizzo la Dea e la vedo unita al Dio, l'amato e l'amante divengono una cosa sola ecc. ecc. Bello e poetico. L'immagine della Dea, con i seni paragonati Sole e Luna è una metafora (o un allegoria?) facile da interpretare... la Madre del Mondo che si unisce al padre ecc. ecc.... ma, come spesso accade, credo che le cose siano un pochino diverse da ciò che sembra..... Innanzitutto il saundaryalaharī è un testo nato per essere cantato ( vedi qui: "SOUNDARYA LAHARI") e, probabilmente, danzato. In secondo luogo è corredato con uno Yantra per ogni śloka e da indicazioni precise sul numero di ripetizioni e sui siddhi (poteri) ottenibili. Lo yantra dello śloka 34 è un triangolo equilatero con tre tridenti ai vertici e la sillaba ह्रीं hrīṃ al centro Il triangolo, che ci rimanda alla figura centrale dello Sri Yantra, il kāmakalā ( vedi in questo Blog"KAMAKALA") ai cui vertici sono posti SOLE, LUNA e FUOCO che nella Sri Vidya vengono collegati a kāma, śiva e śakti, è il CORPO DELLA DEA", una particolare configurazione stellare ("asterismo") detta triangolo di primavera. Il "triangolo di primavera" è formato da tre stelle fisse: Arcturus, il "seno destro della Dea", è una stella Gigante Rossa e va a rappresentare il Sole e il dio kāma. Denebola, il "seno sinistro della Dea", è una stella "spettrale" di colore blu e circondata da un pulviscolo a bassa temperatura e va a rappresentare la Luna e il dio śiva (detto mahapreta, "grande defunto" o "grande spettro"). Spica, l'ombelico o la vagina della Dea, è la stella più luminosa della costellazione della Vergine. Ora il nome sanscrito della stella Spica è citrā, parola che indica un metro poetico, un serpente e il canale sottile del corpo (nadi) all'interno della colonna, lungo il quale risale la "serpentessa" kuṇḍalinī. Interpretare tutto il versetto in chiave astronomica sarebbe troppo lungo ( il CORPO DEL DIO, visibile con gli occhi della mente, sarebbe un altro asterismo di cui fa parte il "triangolo di Primavera" detto "diamante della vergine", in sanscrito vajra, come il canale sottile associato a citrā nadi) e forse non è argomento da sviscerare in un blog. Quello che è importante, per adesso, credo sia il cominciare a pensare alla possibilità che dietro alla simbologia spesso oscura dello yoga ci sia una scienza antica che analizzava e utilizzava rapporti tra stelle, vibrazioni e corpo umano. L'onda di bellezza (questo è il significato di saundaryalaharī) sarebbe la "musica delle sfere". Ogni organo del nostro corpo sarebbe in grado di entrare in risonanza con questo o quel corpo astrale, trasformando il nostro corpo e la nostra mente per darci modo di partecipare"fisicamente" alla danza dell'universo. |
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