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YOGA E ALTRE STRANEZZE

LA PRATICA DELLO HATHA YOGA - VIDEO

 

 

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SIMPOSIO

Post n°82 pubblicato il 21 Novembre 2013 da paoloproietti.rnk
 

NESSUNO HA MAI VISTO SOCRATE UBRIACO.

Socrate era un guerriero, un grande guerriero, e beveva come una spugna.
Sembra strano. Eppure è così che ce lo descrive Platone.

soldaati micenei

Nel Simposio racconta di un gruppo di amici (le menti più acute dell'Atene del tempo) che si ritrova per festeggiare la vittoria di Agatone in una competizione teatrale.
Sembrano divertirsi un mondo,  bevono, scherzano e discutono di Amore.
Ad un certo punto arriva, ubriaco fradicio, Alcibiade.
Socrate trasalisce e chiede aiuto  al padrone di casa:

-" Difendimi da Alcibiade .... in sua presenza non posso né guardare né parlare con nessuno senza che, geloso ed invidioso compia azioni incredibili, 
mi insulti e trattenga a stento le mani... non permettere che si lasci andare. 
Fa qualcosa, tenta una riconciliazione o difendimi, perché ho un vero terrore della follia di costui e della sua passione di amante"-

Alcibiade si arrabbia:
-" Tra me e te non è possibile nessuna riconciliazione ma mi vendicherò  un'altra volta"-

Platone narra l'episodio con dovizia di particolari come se la lite da scolaretti trai due fosse di grande importanza.Il Simposio è un libro sorprendente.
Sorprende coloro che conoscono superficialmente Platone, perché propone un Socrate lontano anni luce dall'immagine del filosofo serio, pacifico e un pò noioso che proviene dai ricordi del liceo o dai programmi televisivi.
Socrate, che non ha rivali nel bere, è aggressivo, polemico e soprattutto è un grande guerriero.
L' odio  di Alcibiade per il Maestro nasce dall'immensa ammirazione e dall'amore , non corrisposto, che egli nutre per Socrate dai tempi della  guerra contro Troia ( cfr. "Simposio"- a cura di G.Colli, Adelphi editrice, 219 e):

-"...partecipammo insieme alla campagna di di Potidea ..... 
Anzitutto invero, rispetto alle fatiche, 
egli era superiore non soltanto a me ma a tutti gli altri.

Ogni volta che, tagliati fuori da qualche parte, 
come appunto accade in guerra, eravamo costretti a rimanere senza cibo, 
nel sopportare ciò gli altri, di fronte a lui, non valevano nulla, e quando poi le provviste erano abbondanti egli solo era in grado di goderne, tra le altre cose nel bere: su questo era riluttante, ma qualora vi fosse forzato vinceva tutti e, cosa più mirabile di tutte, nessun uomo ha mai visto Socrate ubriaco.....
Inoltre nel sopportare i rigori dell'inverno, in quel paese gli inverni sono terribili, faceva meraviglie.
In particolare una volta che ci fu un gelo quanto mai atroce e tutti non uscivano dai rifugi oppure si coprivano con una quantità davvero straordinaria di indumenti.... costui usciva in mezzo agli altri col solito mantello di sempre e, a piedi nudi, camminava sul ghiaccio più agevolmente degli altri con le loro calzature.
Gli altri lo guardavano con sospetto convinti che volesse umiliarli.
..... Un giorno .... essendosi concentrato a meditare.... a partire dall'alba era rimasto in piedi nello stesso posto a riflettere.....fermo ad indagare.Si giunse a mezzogiorno...."-
Per farla breve Socrate rimane immobile a meditare fino all'alba del giorno successivo.
All'alba fa la "preghiera al sole" (?)e si accinge al combattimento.
Sembra un Samurai, più che un filosofo greco.O forse sono i guerrieri giapponesi che somigliano...


In questo brano del Simposio ci sono alcuni punti su cui dovremmo riflettere:

1)Socrate che medita per un giorno intero e poi fa la preghiera al sole (e non è l'unica parte del simposio in cui si parla di tecniche di meditazione).

2)Socrate che mostra agilità e di resistenza fisica non comune e, viene detto esplicitamente nel seguito del brano che ho copiato, che mostra doti di guerriero paragonabili a quelle degli eroi omerici.

3) Socrate che risponde ad Alcibiade in maniera  sarcastica.

Alcibiade è uno dei giovani più belli , più ricchi e brillanti o addirittura il più bello, il più ricco e il più brillante, di Atene e  vuole donarsi anima e corpo a Socrate.
Vuole essere sua allievo e suo amante.
Socrate lo rifiuta e dopo aver ascoltato per l'ennesima volta le dichiarazione d'amore del giovane (218 e)
-"... disse, con molta dissimulazione.... e secondo la sua consuetudine: 
mio caro Alcibiade c'è caso che tu realmente non sia stupido se le cose che dici di me sono proprio vere e se dentro di me esiste una forza grazie alla quale tu potresti diventare migliore: di certo avrai visto in me una bellezza smisurata e di gran lunga superiore alla avvenenza che ti appartiene. 
Se a questo punto accorgendoti di tale bellezza tu cerchi di venire a patti con me e di scambiare bellezza con bellezza ti proponi allora di trarre non poco vantaggio a mie spese tentando di acquistare...la verità in luogo dell'apparenza e intendendo realmente avere armi d'oro in cambio di quelle di bronzo"-
Che strano Socrate viene dipinto nel Simposio!
Un guerriero infaticabile e privo di ogni paura che prima di combattere recita la preghiera al sole....
Un maestro che, in pratica,dice all'allievo, davanti ad un folto auditorio: 
-"che ti sei messo in testa, ragazzino? vuoi scambiare la tua apparente bellezza per la bellezza autentica che alberga dentro di me?"-

 
 
 

PORFIRIO

Post n°81 pubblicato il 21 Novembre 2013 da paoloproietti.rnk
 

Doveva essere un tipo particolare Porfirio, il suo maestro Plotino lo definiva poeta, filosofo e ierofante.Ierofante è il termine con cui veniva indicato il sacerdote incaricato, durante i Misteri di Eleusi, di celebrare i riti e di far luce sui simboli sacri. 
Certe sue "sentenze" ricordano da vicino i  versi vedici o i sutra i Patanjali e di Shankara. La mia idea, è che l'insegnamento dello yoga e quello dei misteri egizi o greci sia legato da più di un rapporto di simiglianza.

Credo si tratti dello stesso insegnamento.







1) "La morte (thànatos) è di due tipi. La prima, più conosciuta, avviene quando il corpo si separa dall'anima. La seconda, propria dei filosofi (philosòphon), quando l'anima si separa dal corpo. La seconda non accade dopo la prima" 
(Sentenze sugli intellegibili, estratti dal frammento 9)



2) "Tutto è in tutto (pànta men en pàsin)" (Sentenze sugli intellegibili, estratti dal frammento 10)




3) "Vita (zoè) si dice in molti sensi: vita della pianta (fitou), dell'animale (empsìkou), dell'essere intellettuale (noerou), della natura (fiseos), dell'Anima (psikès), dell'Intelligenza (nou), di Colui che è al di sopra (tou epèkeina)"(Sentenze sugli intellegibili, estratti dal frammento 12)


4) "... il corpo cosmico (kosmikou somatòs) si rivolge all'Anima ... l'Anima si rivolge all'Intelligenza e l'Intelligenza al Primo Principio ... Ogni realtà non solo aspira a Dio, ma ne gode secondo le sue possibilità"
(Sentenze sugli intellegibili, estratti dal frammento 30)


5) "Dio (theòs) è ovunque perché non è in nessun luogo ... l'Intelligenza (nòus) è ovunque perché non è in nessun luogo, l'Anima (psikè) è ovunque perché non è in nessun luogo ... l'Intelligenza è in Dio ... l'Anima è nell'Intelligenza e in Dio ... il corpo (sòma) è nell'Anima, nell'Intelligenza e in Dio" 
(Sentenze sugli intellegibili, estratti dal frammento 31)


6) "... Il fatto che ci sia l'Anima universale non impedisce che le molte anime sussistano in lei ... Tutte le anime sono una sola, mentre quella universale è diversa da tutte"
 
(Sentenze sugli intellegibili, estratti dal frammento 37)
 
 
 

IL MISTERO DELLA PRIMA

Post n°80 pubblicato il 21 Novembre 2013 da paoloproietti.rnk
 

Ogni persona (parola che in etrusco significa "maschera") è la rappresentazione "artistica" di un'idea o divinità con determinate caratteristiche , funzioni ed attributi, anzi potremmo dire che è la forma visibile di una vibrazione.




La "Persona" con la "P" maiuscola è il guerriero, l'amante divino, la danzatrice sacra che in qualche modo a "livello vibratorio(?)"vivono dentro di noi. 
A volte, nei momenti di crisi o di grande intensità emotiva la Persona, la divinità, emerge. 
Possiamo chiamare questa Persona "Corda Coscienziale". 
Una particolare vibrazione, una coloritura o qualità della vibrazione fondamentale, l'Aum.
E' relativamente facile, una volta "accordata" la propria corda coscienziale, vibrare all'unisono con l'universo. 
E' difficilissimo, nella nostra società svelare la propria tonalità nel frastuono creato dagli innumerevoli piccoli io che si agitano per fingere di avere un'esistenza propria. 
Tutti i piccoli io che compongono ciò che definiamo (con involontaria ironia) identità inalienabile o individualità non sono altro che echi della corda coscienziale, riflessi della Persona che dorme dentro di noi, e, in quanto riflessi, ripropongono, in scala, i medesimi meccanismi che hanno condotto all'individuazione, alla prima determinazione ovvero alla creazione del mondo sensibile.




Se lo scopo della vita, secondo lo Yoga, è l'identità con l'assoluto, i piccoli io lottano per aggregarsi in un qualcosa che possa rassomigliare all'Essere e tendono a mitizzare ed esaltare le singole individualità per costruire un feticcio ad immagine del dio unico. 
La "realizzazione"  diviene sinonimo di SUCCESSO, di pieno sviluppo delle "proprie" possibilità creative e produttive. 
Non potendo, il frammentato io empirico, lavorare sul piano della qualità, si riduce a cercare la risoluzione dell'ansia di incompiutezza nella quantità'. 
Se lo scopo del capofamiglia è quello di garantire la sopravvivenza di moglie e figli (cibo quotidiano, abiti per proteggersi dal freddo, un tetto per proteggersi dalla pioggia), lo sciocco io empirico arriva a pensare  che se è bene avere pane averne tanto con l'aggiunta di companatico, dolce, frutta, amaro e caffè sarà meglio. 
Non si cerca più di garantire la sopravvivenza dei familiari, ma di mostrare la possibilità di sprecare. 
Se è bene procurarsi degli abiti per proteggersi dal freddo (pensa l'io empirico) avere tanti abiti sarà meglio. 
Se è bene costruirsi un tetto per proteggersi dalla pioggia costruirsi cinque o sei case sarà meglio. 

E ogni volta che lottiamo per stare meglio (ovvero avere di più) ci allontaniamo dallo stato naturale.



Ahamkara, che si traduce con ego, nello lo yoga è una funzione dell'"organo interno".
Ahamkara permette di  conoscere tramite la discriminazione tra interno ed esterno per cui è naturale che  si rivolga all'esterno.
Il problema nasce dall'identificazione della "Persona" con lo strumento del conoscere.
Ahamkara serve a "prendere le misure"ed è quindi incapace di percepire la "qualità", e per questo che  l'io fittizio si dedica, spasmodicamente,alla ricerca della "quantità", ma questa carenza qualitativa alla lunga condurrà insoddisfazione, dolore, senso di inadeguatezza e di inutilità. 



Nel fare teatro ho avuto modo di osservare uno strano fenomeno: 
più si avvicina la prima e più  l'emozione aumenta (per tutti: attori, costumisti, scenografi, regista). 
Un'eccitazione palpabile che diviene quasi insopportabile nell'attimo che precede, la sera dell'evento, l'apertura del sipario. 
Il giorno seguente (a prescindere dal responso del pubblico) l'energia è azzerata. 
La seconda replica di uno spettacolo è  penosa: gli attori, i tecnici, il regista sembrano tutti stanchi, mogi, annoiati, distratti. 
Dove è finita la gioia creatrice che li faceva tremare di passione fino a poche ore prima? 


Il lavoro dell'attore, un tempo sacro, è basato sull'ascolto e sull'introspezione. 
Sulla ricerca dei misteriosi processi psichici che danno autenticità ai gesti ed alle parole. 
L'attore o il danzatore lavorano (dovrebbero lavorare) per mettersi a nudo. 
La sera della "Prima" l'eccitazione è a mille perché si sta per "costruire" qualcosa. 
Si sta per realizzare qualcosa. 
il giorno dopo l'io sciocco ed ingenuo è costretto ad ammettere che quel qualcosa è stato si creato e realizzato, ma, non ha prodotto nessun mutamento sostanziale.
Non è successo ciò che si sperava: l'io è rimasto diviso! 
L'io diviso non ha nessuna possibilità di risalire alla"sorgente" della conoscenza, perché  la sua natura lo porta ad apprezzare la quantità e non la qualità.
Le luci del palcoscenico e l'applauso del pubblico non hanno innescato l' incendio catartico, ma un fuoco fatuo che lascia inalterata la sensazione di incompiutezza, compagna fedele dell'uomo moderno dalla nascita alla morte. 
.

 
 
 

UN'UNICA VIA

Post n°79 pubblicato il 21 Novembre 2013 da paoloproietti.rnk
 

Taoismo, Vedanta e Zen sono nomi diversi che indicano la medesima linea di insegnamento. 


Questa identità di teorie e pratiche emerge anche dalle parole usate nei testi.
Un termine che torna spessissimo nelle pratiche operative taoiste è 丹 dān​ ( Tan) che significa Cinabro, rosso, solfuro di mercurio... e indica il movimento delle energie sottili.
 Dan tien sono i centri della fronte, del cuore e del ventre, nei dan  sono gli esercizi "interni" di circolazione delle energie, wai dan gli esercizi "esterni" ecc. ecc. In cinese l'ideogramma  dān​ [formato dai segni 月 yuè​ che significa luna e bǔ​ che significa analizzare, esaminare, scegliere, divinare (nel senso di fare oracoli)] assume, in genere, il significato di "campo interno" ovvero di quell'insieme di energie che talvolta  nello Yoga viene chiamato "corpo interno" e tal'altra Prana. Nello yoga, con pronuncia pressoché identica si trova la radice तन् tan  in तन्त्र tantra e in ताण्डव tâṇḍava.
Da tan derivano l'italiano "danza", il francese "danse", l'inglese "dance", il tedesco "tanz"... 
तन् tan indica il corpo in movimento o le energie che muovono il corpo.
Dall'assonanza tra il cinese  dan  e il sanscrito tan possono  scaturire una serie di riflessioni che secondo me, potrebbero portare alla dimostrazione non di una vicinanza o un'analogia tra le tecniche operative cinesi e quelle indiane, ma di una identità sostanziale. L'esperto di Qi Gong Nei Dan cinese, colui che lavora sullo 田中 Tián​zhōng​, non è altri che il "conoscitore del campo" di cui parlano le upanishad.
Cambiano i nomi, o forse solo la pronuncia, ma le tecniche operative, il loro fine, l'insegnamento generale sono gli stessi.
L'advaita vedanta, il taoismo, lo zen sarebbero nomi diversi che indicherebbero non diversi rami tradizionali, ma un unica linea di insegnamento.



Se immaginiamo la manifestazione dell'Essere come una piramide avremo al vertice dell'insegnamento tradizionale taoista un "uno senza secondo":

"Yuan-shih T'ien-tsun"




Che corrisponde, nello yoga al brahman nirguna  o paramashiva, il principio che "comprende" l'uno primordiale, la causa di tutta la manifestazione formale ed informale, brahman saguna o isvara, che potremo definire "corpo causale".
Anche nel taoismo c'è un corpo causale universale: è l'imperatore di Giada,  

"Yu-huang"

 



Dal corpo causale nel taoismo procedono tre dei che hanno "tre qualità " diverse corrispondenti a manifestazione, conservazione, e assorbimento/distruzione, ovvero gli altissimi: 

Yu-ch’ing= Giada Puro,
Shang-ch’ing= Più-alto-Puro 
T’ai-ch’ing= il puro supremo.



Che corrispondono a ConfucioBuddha Shakyamuni e  Lao tzu 
Le analogie con la Trimurti indiana sono evidentissime: Brahma è rappresentato con i rotoli dei Veda, così come Confucio ha i rotoli della legge, Lao tzu se ne va a zonzo su un toro, esattamente come Shiva e Buddha, in India, è  considerato un avatar di Vishnu.



L'assonanza tra le parole dei maestri taoisti e le scritture del vedanta è impressionante, per darne l'idea metto a confronto alcune sentenze di lao tzu (laozi) con dei passi delle upanishad e di Shankara. Non credo ci sia bisogno di commenti:

Si legge nel Laozi zhongjing 
[riferimento bibliografico: Fabrizio Pregadio, "Early Daoist Meditation and the Origins of Inner Alchemy," in Benjamin Penny, ed., Daoism in History-Essays in Honour of Liu Ts'un-yan, 122 (London: Routledge, 2006) 
NB.La traduzione/interpretazione è mia e quindi sarrebbe da verificare... Per la parola Huangtian, - che con lo stesso suono può significare sia  il cielo dell'imperatore sia il cielo giallo - ho preferito usare il secondo significato]

"Il Signore del dao è l'uno [Yi].
Egli dimora nel cielo giallo divino [di Dio]"


Così invece la Mundaka upanishad II,3,10:

"Nel Sublime aureo involucro dimora Brahman [....] 
Egli è colui che splende, luci nelle luci, 
l'Uno che conobbero i conoscitori[...]"


Laozi zhongjing:

Il Sè è figlio del Tao: Questo è quello che è.


Mandukya upanishad, 2:

"Tutto questo è Quello (Il Brahman): 
questo Sè (atman) è il Brahman che possiede quattro pàda"


Laozi, zhongjing:

"Negli esseri (umani) c'è Lui, non solo io"


Brahmabindu, 20:

"[...] Lui dimora in tutti gli esseri. 
Quello, Vasudeva sono io"

Laozi, zhongjing:

"Questo[il Sè figlio del Tao] siede 
con la faccia rivolta a Sud su un trono di Giada e Perle"


Samkara, dakshinamurti stotra:

"Dinanzi a Questo (idam) che siede con la faccia rivolta a sud, 
mi inchino (nama) riconoscendolo incarnazione del Guru"
 
 
 

IL MIELE DELLA CONOSCENZA - LE PAROLE SEGRETE DI BABAJI, quinta parte

Post n°78 pubblicato il 22 Ottobre 2013 da paoloproietti.rnk
 

4) MADHUKAITHABA - IL MIELE DELLA DEA

brahmari devi

 

Ci ho messo una settimana a capire (o credere di aver capito) cosa intende  Babaji quando racconta del demone madhukaithab.

Dice (pag. 63 dell'edizione italiano del Gorakhvani):

" [...] Quando il demone Madukaitabb(4) attaccò Brahma, Brahma corse alla porta di Vishnu, pianse e pregò la "Dea del Sonno" [nidrā devi].

Allora lei [nidrā devi] svegliò Vishnù che lottò [...] contro Madhukaitabb.
[...]
Vieni Kamalo, quando hai cominciato a cantare come il Rishi Narada (7), come hai cantato bene!"

Si è già visto ( vedi "LA DEA DEL SONNO" ) che nidrā non significa sonno , ma indica  il "SEGRETO DELLA VITA", il misterioso potere che fa sbocciare un fiore o fa crescere il bambino  nel grembo materno e si è accennato al reale significato di  Madhukaitabb, ovvero "MIELE DELLA DEA" [मधु madhu vuol dire "MIELE" e कैटभ kaiṭabha è uno dei nomi della dea durgā] me questo più  che chiarire i versi, sembra renderli ancora più sibillini. Il mito cui si riferisce Babaji,abbastanza noto, sembra frutto di un'allucinaziuone da LSD

Viṣṇu, è immerso in yoga nidrā, mentre la Dea  della Luce [lakṣmī]gli massaggio il piede di sinistro. dal suo ombelico sboccia un fiore di loto dentro al quale appare Brahma che recitando i Veda crea il mondo.

brahma e vishnu


A un certo punto dalle orecchie di Viṣṇu esce il "MIELE DELLA DEA" sotto forma di cerume, il cerume si trasforma in due demoni invincibili  [madhu e kaiṭabha] che rubano i Veda a Brahma e li nascondono nelle profondità dell'Oceano di Latte. Brahma Piange, la Dea sveglia Viṣṇu che decide di recuperare i Veda, ma, visto che i demoni sono INVINCIBILI, si fa trasformare in un "DEMONE CON LA TESTA DI CAVALLO" [हयग्रीव hayagrīva, letteralmente "COLLO DI CAVALLO"] che con l'inganno, riesce a fare a pezzi i due demoni [12 pezzi anzi, 2 x 6....] e a recuperare i Veda.

[NB. Esistono varie versioni del mito, ho scelto questa perchè in linea con alcuni brani del Samaveda che, come si vedrà in seguito, è alla base di questo insegnamento di Babaji].

La storia è decisamente delirante, senza capo né coda, ma se si tratta di un mito così importante per l'induismo,e per Babaji, significa che c'è qualche significato nascosto. Oddio, nascosto è una parola grossa, perchè se si guarda, con mente libera e scevra da pregiudizi, l'iconografia tradizionale, scopriremo che, come spesso accade, non c'è niente di nascosto: TUTTO è SCRITTO A CHIARE LETTERE. Solo che noi non sappiamo più leggere.

Cominciamo dal "piccolo" Brahma che dall'interno di un loto recita i Veda:

brahma

 

Le nostre menti di adulti eruditi non riusciranno a  cogliere il succo dell'immagine, ma cercheranno di interpretare l'immagine come una metafora di qualcosa,  il loto, le quattro teste e le quattro braccia  ad esempio saranno, per noi, simbolo di qualche insegnamento filosofico, di qualche potere, di qualche realizzazione.

Ma se proviamo a guardare con gli occhi di un bambino e ci chiediamo: "Chi è che sta seduto dentro a un fiore, ha sei arti [quattro braccia e due gambe] e quattro teste?" la risposta arriverà quasi subito: l'APE!

ape

 

Sembra sciocco, ma  l'ape ha QUATTRO BRACCIA E DUE GAMBE [le due zampe posteriori sono più lunghe e articolate], HA QUATTRO TESTE [i due grandi occhi laterali, e la parte anteriore e posteriore della testa] e si "siede spesso sui fiori per sorbire il NETTARE.

E il suo ronzio? Non ricorda forse il suono dei mantra?

Un bambino ci arriverebbe subito, o quasi. Per noi forse è meglio usare Google. Visto che Babaji parla spessimo di Narada e della sua abilità nel canto, facciamo una ricerca su NARADA +  MADHU ["miele] e ci verrà fuori un mondo intero fatto di api, di canti e di Vidya.

La parola विद्या vidyā viene tradotta di solito, correttamente, con CONOSCENZA o FILOSOFIA, ma, come succede spesso con il sanscrito, cela altre significati.

Innanzitutto è il nome "mistico" della lettera " I" che rappresenta una delle tre potenze supreme [A, I ed U] icchā, desiderio. In secondo luogo la conoscenza a cui ci si riferisce è la CONOSCENZA MAGICA, il POTERE INCANTATORIO, l'INCANTESIMO. Nello yoga, vidyā rappresenta sia l'ottenimento della conoscenza [ovvero dei poteri che dà la conoscenza] che il sadhana, la pratica necessaria per ottenerla.

Ne esistono vari tipi:

 la śrī vidyā, o conoscenza radiosa, riguarda ad esempio la pratica dello śrī Yantra e del Kadi mantra, o mantra delle 15 sillabe [KA E I LA HRIM...]

sri yantra

 

La gāyatrī vidyā ha invece a che vedere con  la pratica del  gāyatrī Yantra e del  mantra delle 24 sillabe (OM BHUR BHUVAH SVAH TAT SAVITUR  VARENYAM..)

GAYATRI YANTRA

 

La Madhu vidyā,  o conoscenza del miele [che riguarda il mito di cui stiamo parlando] è la scienza delle vibrazioni che, nella Chandogya upaniṣad [una delle Upanishad più antiche] viene insegnata  a Narada.

Il Miele rappresenta l'essenza stessa dei Veda e spesso vengono chiamati miele anche l'alcool e le droghe usati, nei riti vedici, per ottenere stati di coscienza alterati.

Le api, rappresentate da Brahma  e dai mantra che è intento a salmodiare, sono i versetti del ṛgveda, le formule dei sacrifici [yajus] dello yajurveda, i canti del sāmaveda, gli aṅgiras (inni) dell' atharvaveda e i versetti di tutte le upaniṣad.

Per chiarire lqa natura della "CONOSCENZA DEL MIELE" si dovrebbero citare e spiegare quasi per intero la Chandogya Up. e la Brihadaranyaka Up. e sarebbe cosa assai lunga. Per adesso basti sapere,  che se si leggono con attenzione le due upaniṣad, i simboli più assurdi del mito citato da Babaji [quello dell'Oceano di Latte e dei "demoni" Madhu - Kaithaba], dal cerume che esce dalle orecchie del Dio che dorme, alla testa di cavallo, si fanno improvvisamente più chiari. La conoscenza del miele riguarda il Suono, ma  attenzione: non si deve intendere SUONO con qualcosa che ha a che vedere con l'ACUSTICA ma con la CHIMICA o meglio, con l'ALCHIMIA.

 

babaji di hairakhan

babaji

L'insegnamento della Chandogya up. è impressionante. Tanto per fare un esempio il Sole, simbolo della divinità e della conoscenza è "IMMOBILE" al centro del nostro sistema planetario. Per gli autori della Chandogya [Si parla di diverse migliaia di anni fa] l'idea secondo noi moderna, che sia la terra a girare intorno al sole e non viceversa, è una verità scontata [ ch. up. III, XI,1: "... (il sole) non sorgerà né tramonterà, ma  se ne starà dal solo nel centro..."], ma ciò che più ci interessa è l'insegnamento alchemico. La Chandogya si basa sulla "Legge del Cinque": Cinque direzioni dei raggi del sole, cinque tipi di celle esagonali del favo, cinque tipi di scritture [i quattro veda più gli "insegnamenti segreti" ovvero ciò che poi verrà chiamato TANTRA"] che corrispondono ai CINQUE CAKRA su cui lavora l'alchimia interiore e ai cinque soffi vitali [i cinque VAYU] chiamati nel testo "i cinque guardiani delle porte" ecc. ecc. Ma alla base di tutto c'è il suono. le api sono i versi di tutti gli inni, i canti, i mantra e i riti sacrificali. Le loro danze, legate al sole e ai pianeti, sono le lettere dell'alfabeto sanscrito e il ronzio è la vera natura delle lettere, ovvero della manifestazione. Lavorando sui suoni come l'alchimista lavora con gli elementi chimici, si può modificare la sostanza dell'universo e "SCONFIGGERE LA DEA DEL SONNO" ovvero avere la visione della realtà attraverso i cinque  veli di māyā.

Chandogya Upanishad ,III prapāṭhaka (libro), khaṇḍa (volume, capitolo), 1:

"Il sole è il miele degli dei, il cielo è il ramo da cui pende il favo, il favo è la sfera terrestre, le larve nelle celle sono le particelle di luce,  le api sono i versi del ṛgveda, e il fiore è il ṛgveda [...]"

 

Chandogya Upanishad ,III prapāṭhaka , II khaṇḍa 1:

" Così i raggi meridionali del sole sono le celle piene di miele meridionali [a sinistra del favo],le api sono le formule degli yajus [sacrifici] e il fiore è lo yajur veda [...]"

Chandogya Upanishad ,III prapāṭhaka , III khaṇḍa 1:

" Così i raggi dell'ovest sono le celle di miele occidentali [ dietro al favo]. Le api sono i sāman (canti) e il fiore è il  sāma veda [...]"

Chandogya Upanishad ,III prapāṭhaka , IV khaṇḍa 1:

" così i raggi del nord sono le celle di miele settentrionali [ a destra del favo]. le api sono gli inni degli  atharvan e degli angiras [...]"

Chandogya Upanishad ,III prapāṭhaka ,khaṇḍa 1:

" Così i raggi superiori sono le celle del miele superiori. le api  sono gli insegnamenti nascosti  e il fiore è Brahma [...]"

 

A questo punto le parole di Babaji cambiano completamente senso. il canto di Narada, uno dei protagonisti della chandogya up. non è un canto normale, ma è il CANTO DELLE API, la vera essenza delle scritture, in grado di modificare il mondo la Natura, l'essere umano.

 

-continua....

 

 


 
 
 
 
 

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