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Nel pensiero di H.G. Gadamer, «comprendere» non è interpretare né sapere...perchè si delinea piuttosto come una «esperienza»: "esperienza di verità" che accomuna l'uomo e che "si declina" nell'arte...nella storia...nel linguaggio; «esperienza» che il filosofo intende rivalutare contro la "riduzione-della-verità" e del suo "senso" operata dal "metodo-scientifico". Nella «comprensione» è da vedersi l'articolazione stessa dell'esistenza ed il carattere-finito -"limitato"- di ogni "esperienza umana". Quella di Gadamer può, perciò, esser chiamata -"definita"- a buon diritto come «filosofia-della-finitezza»...ma (si badi bene!) basata su una concezione-positiva del «limite» (sempre "letto" -"visto"- come «l'oltre dell'altro»)... In questa prospettiva, quindi, nulla può esser definitivo: la «ricerca-filosofica» è sempre "aperta"...non può mai "fissarsi" o trovare "sistemazione" (tanto meno nei limiti di un testo scritto!)...rinviando, perciò, al "dialogo-orale" ed alla "vita-vissuta"; si rivela proprio qui, l' "ispirazione-socratica" dell'«ermeneutica-filosofica»: quest'ultima, articolata nel "movimento di domanda e risposta" -e, perciò, costitutivamente aperta al confronto con l'altro!- la "dialettica di Socrate" (così come la troviamo raccontata nelle opere di Platone) è da Gadamer assunta a modello di riferimento (si spiega, così, il suo interesse per la filosofia greca!). Leggendo i dialoghi platonici, il "filosofo di Marburgo" vuole, infatti, mostrare come la «dialettica» sia essenzialmente una «esperienza»...piuttosto che un "metodo"; una esperienza, cioè, che vive della "com-partecipaz-io-ne" dell'altro" (proprio come il "personaggio" di Socrate -messo in scena nei dialoghi- sta appunto a testimoniare!). Quindi NON il Platone «metafisico» -che mira alla «più assoluta verità» (come leggiamo nel Sofista)...NE' il Platone «fondatore di una teoria dei principi»...Ma il Platone «maestro del dialogo» (dietro cui si "nasconde" Socrate e rimane vivo il suo insegnamento). Si tratta, quindi, di un'«ermeneutica-della-finitezza» che intende distinguersi dal "pensiero-debole" come da ogni "deriva nichilista" o "relativista": infatti, dietro la contrapposizione tra "assolutismo-della-verità" e "relativismo" si cela -si nasconde!- una più profonda "complicità"... La «metafisica» (con la sua "verità-assoluta") e il «nichilismo» sono da intendersi come due facce della medesima medaglia poichè «con-dividono» la medesima "logica di fondo": ossia quella di un "fondamento-incrollabile"...che l'ermeneutica intende, invece, lasciarsi alle spalle. "Sottrarsi a questa logica" significa rifiutare una "concezione-della-verità" che intende irretire l'«esperienza-umana» in un "senso-utimo" e "conclusivo"...senza per questo abdicare alla «verità» (o negarla "nichilistica-mente") ma, bensì, declinandola come «dialogo», ovvero "esperienza-dell'altro"...«evento-del-comprendere»...
alogico "Il Grande" (ndr)
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