Ma'pe iabbu

Stessi servizi a costi diversissimi da città a città


     Sostegno alla famiglia.
Mai come negli ultimi mesi questo vessillo è stato agitato con tanta forza,a tutti i livelli istituzionali e politici.In verità il dibattito pubblico si è concentrato più sui modelli sociali(matrimoni, convivenze) e i diritti civili delle persone e delle coppie di fatto,che non sulle difficoltà economiche della famiglia e sulle politiche di aiuto sociale.Secondo gli ultimi dati Istat, l’11,1% delle famiglie italianevive sotto la soglia di povertà. Si tratta di un indice di povertà relativa (vedi cartina),
che tiene conto della media dei consumi mensili delle famiglie italiane:al di sotto di questa soglia si è considerati poveri in termini relativi, cioè in confronto alla media degli italiani.Per avere un’idea, nel 2005, il valore/soglia per una famiglia di due persone era di 936,58 euro al mese. Sappiamo però che anche la famiglia media arranca, avendo perso molto del suo potere d’acquisto.Carichi familiari, lavoro precario, disabilità e mancanza di autosufficienza, vecchiaia, esclusione sociale, diffi coltà di accesso a opportunità formative sono tutti fattoriche determinano situazioni di difficoltà quando non di vera e propria povertà.In molti paesi europei le politiche di sostegno alle famiglie in diffi coltà,nonostante si tratti di misure che pesano sui bilanci pubblici, hanno avutoun grande sviluppo, soprattutto dopo la spinta data dal Consiglio Europeo di Lisbona nel marzo del 2000, che ha dettato i princìpi fondamentali per costruire un “modellosociale attivo”.Le politiche di aiuto ai più deboli, infatti, non sono solo delle forme di solidarietà cheuna società equa deve garantire,ma una forma di investimento per il futuro, dal momento che occupazione femminile e invecchiamento demografico sono due facce della stessa medaglia. Senza azioni di sostegno alla maternità, servizi per l’infanzia, assegni familiari e detrazioni fi scali che aiutino a compensare il costo dei fi gli, nonché servizi di assistenza per gli anziani (la cui cura spesso ricade sulla donna) saràdifficile che l’indice di natalità aumenti e che venga posto un argine all’invecchiamento demografico tipico del mondo occidentale, con gravi ricadute anche sul sistemapensionistico.Per questo i destinatari di tali politiche non dovranno essere più solo gli anziani, i disabili e i disoccupati, ma anche le donne che lavorano, i minori in condizioni di povertà, le famiglie numerose.Nei Paesi del Nord Europa questo modello è già stato recepito. Se alcuni interventi di solidarietà sociale vengono elaborati a livello nazionale, altri trovano nelle amministrazioni regionali e nei Comuni i loro promotori e attuatori. Quanta giustizia sociale c’è nelle nostre città?