Ma'pe iabbu

La notte magica di Santa Lucia


Un tempo era una delle figure più venerate dai nostri contadini e dalla gente del popolo
Anche se sono ormai pochi che il 13 dicembre ricordano il martirio di santa Lucia, non sono poi passati tanti anni da quando l’immagine di santa Lucia figurava tra le più venerate dai nostri contadini e dalla gente del popolo. Infatti la credenza popolare delegava a questa santa la protezione degli occhi e della vista e questo spiegava perché la vigilia del giorno dedicato a santa Lucia, le donne smettessero di lavorare nella stalla per dedicarsi al pomeriggio ai lavori di casa, specialmente per fare quei tortelli di zucca che erano il piatto tradizionale delle grandi festività contadine. I più ansiosi però erano i bambini, dato che la sera prima di andare a letto, mettevano un loro zoccolo sulla cappa del camino, sperando che in quella notte la santa dall’anima buona lo riempisse con una qualche noce, nocciola o flipa, che rappresentavano le uniche leccornie a cui i bambini di un tempo potevano aspirare durante l’inverno. Gli adulti invece usavano esporre alla rugiada di quella notte magica gli asciugamani per detergersi con questi gli occhi al mattino. C’era pure chi, a tale scopo, andava direttamente al mattino a sfregare l’asciugamano sull’erba rugiadosa del mattino. Alcuni, che avevano gli occhi malati o la vista debole, usavano addirittura mettere fuori un catino pieno d’acqua, per lavarsi il giorno dopo gli occhi malati, dovendo spesso spaccare il sottile strato di ghiaccio che si era formato durante la notte. Sempre allo scopo di proteggere la vista, il mattino della festività di santa Lucia, si assisteva alla messa officiata in chiesa in onore della santa. Anche se l’immagine di questa martire siracusana, che sopportò l’atroce mutilazione degli occhi pur di non rinunciare al voto di castità, è considerata nel culto e nell’iconografia cristiana protettrice della vista e della purezza verginale, forse nella celebrazione di tale festività da parte dei contadini si possono ravvisare alcune reminescenze pagane. Infatti non è da escludersi a priori che come nel caso delle altre due festività invernali cristiane, il Natale e l’Epifania, anche nelle forme culturali che i nostri contadini svolgevano alla vigilia del giorno dedicato al solstizio d’inverno. Ossia, essendo ritenuta quella notte la più lunga dell’anno – la notte te santa lucìa la chiu longa ca ncete (la notte di santa Lucia è la più lunga che ci sia), dice un proverbio dialettale – da quel giorno il sole avrebbe illuminato sempre più l’orizzonte, portando così nuova luce sulla terra. Essendo per l’appunto il solstizio d’inverno il punto a partire dal quale il sole comincia a mutare il suo corso, le antiche comunità agresti ritenevano che in tale periodo cominciasse il nuovo anno, quindi era d’uopo in quei giorni svolgere riti propiziatori per dare il benvenuto alla nuova luce che col suo calore faceva rifiorire la terra. Non è improbabile che pure l’usanza di metter uno zoccolo sul camino per ricevere doni, sia anch’essa da collegarsi a un antico rituale pagano, atto a rappresentare con la frutta donata in quella notte taumaturgica, gli auspici per buoni raccolti nel nuovo anno testé comparso.