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Ti amo? Facciamo il conto...

Post n°523 pubblicato il 16 Febbraio 2009 da sinemoiaquai

Quando bisogna operare una scelta, noi confrontiamo il nostro mondo di regole, valori e principi con ciò che la situazione richiede. La situazione, si intende, così come noi al interpretiamo.

 

Sono le nostre regole, i nostri valori, i nostri principi che stabiliscono quali soluzioni, fra quelle possibili, sono, per noi ammissibili.

 

Alla logica della consequenzialità, che regge i modelli tradizionali della decisione. La Teoria dell'Immagine oppone una logica dell'appropriatezza.

 

Nella decisione, la persona si chiede che tipo di relazione si possa, o si riesca a, stabilire tra la situazione e la propria identità, personale e sociale.

 

Quando noi prendiamo una decisione prendiamo in considerazione una gamma di alternative: Il modo in cui queste alternative si formano è molto importante nel processo decisionale. Le alternative che possiamo prendere in considerazione devono essere compatibili con un ristretto insieme di regole e modelli, ossia "immagini" , che ciascuno di noi, ha. Sono queste le priorità. Qiondi un approccio più dinamico di quello "razionalistico", tradizionale.

 

La nosta vita non è il risultato delle scelte che facciamo, in realtà dipende dalle situazioni e da  come sappiamo intepretarle).

 

Non facciamo calcoli, ma seguiamo priorità, quindi principi, valori.

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Commenti al Post:
ladymiss00
ladymiss00 il 16/02/09 alle 14:05 via WEB
I conti si fanno anche in base alla chiarezza di informazioni! Mobilitiamo le nostre risorse più per capire cosa veramente volgiamo, appunto!!!
 
MalmignattaTaranta
MalmignattaTaranta il 16/02/09 alle 14:17 via WEB
Indagini recenti hanno dimostrato come il raggiungimento di alti livelli di performance, indipendentemente dal tipo di lavoro, per il 66% dipenda dall'intelligenza emotiva e solo per il 33% dall'intelligenza classica e dagli skill tecnici. Nel caso dei leader il peso dell'intelligenza emotiva arriva addirittura all'85%.
Purtroppo la cultura occidentale ha da sempre un difficile rapporto con le emozioni che necessariamente ricade profondamente anche sulle pratiche manageriali, spesso e volentieri fondate sull'imperativo: "qui si usa la testa, non la pancia". Che equivale a dire che le emozioni non esistono, non sono importanti. Nonostante ciò le organizzazioni rimangono e rimarranno sempre spazi fisici permeati da una dimensione sommersa dominata proprio dalle emozioni umane, dalle paure e dai desideri delle persone, dai miti e dalle fantasie, dalle ansie individuali e collettive e dalle difese che tentano di annullarle.
Infatti certi luoghi (e l'azienda tra questi) evocano nel nostro profondo delle emozioni distintive per il solo fatto di sapere che lì ci sono capitati degli eventi particolari. E così non sono più uno spazio neutro, ma sono amati, odiati, temuti, evitati, etc.
Pertanto è assolutamente necessario recuperare il significato emotivo ed espressivo che connota il lavoro ed imparare l'arte del management delle emozioni e dei sentimenti, nel tentativo di aumentare le possibilità di gestire efficacemente i complessi vissuti emotivi che permeano ogni aspetto della vita organizzativa e ne ostacolano l'efficacia e l'efficienza.
Che fare quindi? Occorre essere consapevoli che le capacità relazionali necessarie allo svolgimento del ruolo sono connesse, innanzitutto, a fattori di ordine emotivo-affettivo. Fattori che sono il substrato di una serie di processi di cui, a livello manifesto, spesso osserviamo solo gli esiti, come ad esempio la presenza di un clima collaborativo piuttosto che conflittuale, la motivazione ovvero la sua mancanza, la capacità di apprendimento e di cambiamento. La maggiore criticità di tutto quanto detto ricade sulla gestione delle risorse umane e quindi, primariamente, sul ruolo del capo, che deve diventare "il regista" del futuro organizzativo.
La difficoltà maggiore di questa trasformazione consiste nel modificare radicalmente la propria mentalità. Infatti il leader deve rompere i paradigmi e magari contraddire la cultura aziendale, per esplorare stili di management mai prima praticati o considerati: non può più essere un pianificatore analitico che interpreta, nella struttura organizzativa, le domande attuali del mercato e che assegna compiti e obiettivi; bensì un "nuovo capo" mosso dal desiderio di lavorare su se stesso in modo da:

* acquisire il giusto grado di autoconsapevolezza per riuscire a liberare il proprio potenziale di intelligenza emotiva e incoraggiare la leadership ad ogni livello della organizzazione; * trovare il coraggio per affrontare il cambiamento prendendo decisioni sulla base dei propri giudizi e per riesaminare le cause dei propri errori

 
 
marineblue
marineblue il 07/03/09 alle 16:32 via WEB
Sarà per la mia giovane età ( solo 84 anni )ma a me piacciono i post leggeri e divertenti
 
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il Salento in poesia. Ieri e oggi.

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