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La disoccupazione moderna

Post n°396 pubblicato il 02 Maggio 2007 da sinemoiaquai
 

Se noi non sentiamo la necessità di ciò che i disoccupati non
producono, abbiamo anche ovviamente la possibilità di fornire loro
quello di cui essi hanno abitualmente bisogno

J.K, Gailbraith, La società opulenta, 1958

immagine



Non è affatto vero che se la domanda tira tutto si sistemerà.
Lo
sviluppo infatti dura ormai poco e alimenta l'inflazione;
anche se ci
vuole non è detto che venga né che risolva.
Aveva ragione F.Caffè a
criticare la sviluppomania su "Micromega".



La questione della disoccupazione, per Caffe' come per Keynes, e'
strettamente legata alle questioni monetarie e finanziarie.
Come ormai si dovrebbe sapere, il governo della moneta
ha conseguenze non neutrali sugli aspetti reali dell'economia,
sulla domanda effettiva, dunque sul livello di
attivita', dunque sull'occupazione.
Posto che i banchieri centrali
sostengono che e' necessario mantenere una disciplina finanziaria,
come condizione essenziale per fare arretrare l'inflazione
e ripristinare la stabilita' dei prezzi, Caffe' si chiede come mai
non si affermi, con pari vigore e con analogo intimo convincimento,
la necessita' di combattere e ridurre la disoccupazione:
"nessun male sociale puo' superare la frustrazione
e la disgregazione che la disoccupazione arreca alle
collettivita' umane";
per non parlare dello "scoraggiamento di coloro che
hanno finito per considerare lo stato di precarieta'
e la prestazione occasionale come un fatto abituale e sistematico".
immagine
Lo schema keynesiano non funziona più anche perché ha già funzionato.
Ma oggi la disoccupazione moderna è altra cosa, giacché risulta
da una nuova interazione storico-sociale tra domanda e offerta,
innescata dalle cure keynesiane mezzo secolo fa, all'epoca
della dominanza taylor-fordista sul sistema produttivo
e sul sistema allocativo.

 
Rispondi al commento:
sinemoiaquai
sinemoiaquai il 02/05/07 alle 11:18 via WEB
La presenza crescente delle donne tra la popolazione attiva negli ultimi dieci quindici anni, al di là delle possibilità concrete o meno di trovare lavoro, è un dato di portata sconvolgente che chi si occupa di occupazione tende di solito ad ignorare o a considerare ancora come un boom di breve durata che prima o poi subirà gli effetti di scoraggiamento della crisi, della caduta dei livelli generali di occupazione. La crisi, invece, la diminuzione dei posti di lavoro, non ha comportato il minimo movimento di ritorno delle donne al focolare domestico. Anzi, proprio la carenza di occasione di lavoro, sembra rendere più irriducibile la scelta delle donne di presentarsi sul mercato del lavoro. Questo mutato atteggiamento delle donne nei confronti dei lavori e dell'occupazione, che si collega con altri mutamenti sia soggettivi che strutturali (la modifica delle strategie matrimoniali, la riduzione del numero dei figli e una scelta di maternità sempre più consapevole, l'aumento dei livelli di istruzione, l'introduzione di leggi di parità non solo nel lavoro ma nel diritto di famiglia, ecc.) sconfigge, forse per la prima volta nella storia, la tesi delle donne come esercito industriale di riserva, delle donne che entrano nella sfera del lavoro remunerato nei periodi di espansione economica o di penuria di manodopera e che vengono espulse dal lavoro nei momenti di crisi e di disoccupazione.Al dato della maggiore presenza delle donne tra le forze attive del lavoro (occupate e occupati più disoccupate e disoccupati) si accompagna anche un mutamento nell'equilibrio tra livelli di occupazioni maschili e livelli di occupazione femminili. In quasi tutti i paesi dell'Ocde, con l'esclusione dell'Inghilterra che rappresenta un caso a parte, l'occupazione femminile negli ultimi dieci anni non solo ha retto, ma è aumentata, contrariamente a quella maschile che è invece diminuita. Ciò significa che la crisi avrebbe beneficiato le donne a danno degli uomini? Basta osservare, anche per un istante soltanto, le curve della disoccupazione per rendersi conto del contrario; insieme alla crescita vertiginosa della presenza attiva nel mercato del lavoro, alla crescita meno vistosa ma pur sempre significativa dell'occupazione femminile, anche la disoccupazione delle donne non cessa di crescere, in particolare per quanto concerne le giovani generazioni. Può sembrare un paradosso ma è la stessa crescita della disoccupazione femminile a rappresentare un formidabile indicatore dell'evoluzione radicale del rapporto delle donne con il lavoro e disoccupazione.
 
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