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PERLE DI SAGGEZZA

Ci vogliono il tuo nemico e il tuo amico insieme per colpirti al cuore, il primo per calunniarti, il secondo per venirtelo a dire. (Marrk Twain)

Colui che sorride quando le cose vanno male, ha già trovato qualcuno a cui dare la colpa. (Arthur Block)

 
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LE PRIME SCARAMUCCE

Post n°28 pubblicato il 19 Agosto 2010 da diogene1_2009

LE PRIME SCARAMUCCE
La lotta per il contratto del 1979 rappresenta il tentativo della Fiat di saggiare la consistenza del nemico. Sulla vertenza contrattuale del 1979, infatti, l'azienda si impunta; 100 ore di sciopero non piegano la resistenza padronale. L'azienda può permetterselo (tanto gli autoparchi sono stracolmi) ed è confortata ad insistere grazie alla partecipazione agli scioperi non elevata e passiva da parte dei lavoratori.

Oltre ai fattori di carattere generale prima esposti, pesa sui lavoratori della Fiat l'atteggiamento dei vertici sindacali; le direzioni di Cgil-Cisl-Uil hanno imposto una piattaforma rivendicativa non condivisa dalla maggioranza delle assemblee di fabbrica. Ad appesantire l'atmosfera di pessimismo fra i lavoratori e a rendere più arrogante il padronato contribuisce anche la sconfitta elettorale del Pci nel giugno 1979, la prima dal 1948; per la direzione del Pci sono i primi frutti amari della politica dell'Unità nazionale.

Quando l'azienda porta lo scontro più a fondo e decide la messa in libertà di migliaia di operai, la risposta della direzione dell'Flm (sindacato metalmeccanici) è demoralizzante per i lavoratori: continuare gli scioperi articolati, ma cercando di garantire scorte di materiale in tutte le sezioni! In altre parole scioperare cercando di minimizzare i danni recati alla controparte. Molti delegati cominciano a ribellarsi all'indirizzo che viene dai vertici sindacali.

Allo stabilimento di Lingotto, dove è maggiore la concentrazione di giovani neo-assunti, per primi franano gli argini della mediazione sindacale; gruppi di centinaia di operai si riversano per la città di Torino, improvvisando blocchi stradali e occupazioni simboliche della Rai, de La Stampa e della stazione ferroviaria. A Lingotto la produzione è bloccata a oltranza. Dopo sette giorni i vertici sindacali firmano un accordo con i padroni dell'azienda che lascia ai lavoratori molto amaro in bocca: varie conquiste del 1969 vengono rinnegate.

Con la vertenza contrattuale conclusasi nel luglio del 1979 gli Agnelli e i loro galoppini hanno riportato una vittoria solo parziale, ma hanno saputo molto sulla consistenza dell'avversario: la direzione sindacale è più disposta a mediare che a lottare, mentre la combattività dei lavoratori, sotto la rassegnazione apparente, può riaccendersi rapidamente.

 I 61 licenziamenti

 Da questo punto di vista va interpretata la decisione, nel novembre del 1979, di licenziare 61 lavoratori,  a luglio; i 61 vengono licenziati con motivazioni generiche, ma facendo filtrare sottobanco l'idea di un possibile loro collegamento con il terrorismo.

La  direzione del sindacato, nel propagandare lo sciopero, pone l'accento sulla lotta contro il terrorismo  e i licenziamenti. Lo sciopero fallisce. Subito la segreteria confederale convoca un'assemblea al Palasport con gli operai Fiat.

Alla richiesta di intensificare la lotta sindacale, la segreteria di Cigl-Cisl-Uil risponde che il nemico sono il terrorismo e la violenza.

 La diffidenza tra operai e vertici sindacali si approfondisce. All'inizio del 1980 gli iscritti al sindacato alla Fiat scendono al 25 per cento circa. Ad incoraggiare di fatto il distacco dalla base da parte dei vertici sindacali, concorrono anche membri della direzione del Pci come Giorgio Amendola. Amendola, in un suo discorso divenuto famoso in quel periodo, richiama i dirigenti sindacali all'applicazione della "linea dell'Eur" e condanna quelli che gli operai hanno sempre considerato come una loro conquista: i Consigli di Fabbrica. Amendola critica il "sindacato dei Consigli" e ne chiede il superamento. Il terreno per l'attacco decisivo da parte della Fiat è ormai pronto. Ai primi del maggio 1980 l'azienda torinese mette in cassa integrazione 78.000 operai per sette venerdì consecutivi; la direzione sindacale reagisce solo verbalmente. Il primo luglio Umberto Agnelli, allora amministratore delegato, davanti all'assemblea degli azionisti ribadisce il proposito di licenziare 15.000 lavoratori.

 Lo scontro dei 35 giorni

 Primo settembre 1980, lunedì: la Fiat riapre i cancelli dopo le ferie, ma torna al lavoro solo metà dei dipendenti; gli altri rimangono in cassa integrazione per due giorni. Il vertice sindacale sta a guardare e la paura per il posto avanza tra i lavoratori.

 8 settembre, lunedì: riprende il negoziato tra Fiat e sindacato. La direzione Fiat insiste per 12-15.000 licenziamenti e 24.000 da cassa integrare a zero ore e senza rotazione, il giorno successivo l'annuncio formale dei licenziamenti. La direzione del sindacato indice 3 ore di sciopero nel gruppo Fiat a partire dalle otto del giorno successivo.

 11 settembre, giovedì: lo sciopero parte subito alle sei in quasi tutti i reparti del gruppo. Rivalta è bloccata e la Lancia di Chivasso è bloccata con i cancelli presidiati. Da Mirafiori e dal Lingotto escono cortei enormi; in testa al corteo di Mirafiori il ritratto di Karl Marx.

 12 settembre, venerdì: la produzione è bloccata in tutti gli stabilimenti.

 15 settembre, lunedì: la direzione dell'Flm accetta di parlare di "mobilità esterna", cioè, più semplicemente, di licenziamenti. Mentre i lavoratori si preparano a moltiplicare l'intensità della lotta, c'è già chi, nella direzione del sindacato, comincia a trattare la resa.

 17 settembre, mercoledì: sciopero provinciale dei metalmeccanici; manifestazioni imponenti; in testa alle mobilitazioni, oltre ai Consiglio di fabbrica (Cdf) i giovani e le donne recentemente assunti.

 25 settembre, giovedì: sciopero generale dei metalmeccanici e sciopero generale del Piemonte. I lavoratori chiedono lo sciopero generale nazionale di 8 ore. Uno degli slogan più diffusi è: "Danzica, Stettino, lo stesso sarà a Torino!". Quando la manifestazione si chiude, migliaia di lavoratori e studenti da varie parti d'Italia devono ancora entrare in piazza San Carlo. Su pressione della base, le segreterie sindacali accettano che si passi all'occupazione qualora non vengano ritirati i licenziamenti. La risposta dei lavoratori sta superando le previsioni della Fiat, che lo stesso giorno invia a tutti i dipendenti una lettera in cui spiega perché il sindacato avrebbe torto.

 26 settembre, venerdì: Enrico Berlinguer, segretario del Pci, visita gli stabilimenti e parla a migliaia di lavoratori. Alla sera si tiene una grande manifestazione del Pci; Berlinguer esprime il pieno appoggio del Pci per sconfiggere la posizione del padronato Fiat. L'entusiasmo dei lavoratori è all'apice. Sette anni più tardi, alla trasmissione televisiva Mixer, un protagonista di quei giorni dichiarerà: "Ci rendevamo conto che sul piano strettamente sindacale non c'era sbocco. L'unica possibilità era una svolta politica generale, un governo delle sinistre che desse il potere ai lavoratori e lo togliesse agli Agnelli". Per tutti gli operai è chiaro che solo il Pci può guidare questo cambiamento.

 27 settembre, sabato: cade il governo Cossiga. La direzione della Fiat, "per spirito di responsabilità" rinvia i licenziamenti sino a fine anno, ma conferma la decisione di cassaintegrare migliaia di lavoratori (senza più specificare quanti) in tempi rapidi. I padroni sono spaventati dalla decisione dei lavoratori e fanno una ritirata tattica. Qui invece la direzione del movimento dei lavoratori denuncia tutti i suoi limiti; mentre la direzione del Psi è ormai al governo, le direzioni nazionali del sindacato e del Pci non sembrano cercare la vittoria, bensì una mediazione. Come il padrone si ritira, cominciano a far ritirare anche i lavoratori. Infatti, in questa nuova situazione, le direzioni di Cgil-Cisl-Uil si affrettano a revocare lo sciopero generale. La direzione del Pci, dal canto suo, esce con un manifesto che titola: "Vittoria operaia; caduto il governo; ritirati i licenziamenti".

 29 settembre, lunedì: in tutti gli stabilimenti del gruppo le assemblee decidono la continuazione della mobilitazione, ma serpeggia l'incertezza e il disorientamento. I vertici sindacali hanno ripreso le trattative con la Fiat a Roma in presenza del ministro del Lavoro, Foschi.

 30 settembre, martedì: il padronato coglie la palla al balzo e, insieme alla busta paga, consegna ad oltre 23.000 lavoratori la lettera che annuncia la cassa integrazione a zero ore per tre mesi. La cassa integrazione colpisce i delegati Flm, i lavoratori più combattivi, i giovani e le donne. Poi ci sono gli invalidi e gli handicappati. È un provvedimento antisindacale che tenta di dividere i lavoratori; si fa sapere chi è direttamente nel mirino del padronato e chi invece no.

 Il consiglione di Mirafiori che riunisce i delegati di tutti gli stabilimenti decreta il blocco dei cancelli e delle merci e chiede lo sciopero generale nazionale.

 Primo ottobre, mercoledì: si fanno le assemblee, il dibattito fa prevalere la combattività sulle perplessità e i timori che cominciavano a manifestarsi. Si organizzano ufficialmente i presidii ai cancelli.

 La Fiat avvia una campagna pubblicitaria sulla vertenza con intere pagine a pagamento sui giornali. La Fiat sostiene che i cassa integrati non sono destinati a perdere il posto.

 2 ottobre, giovedì: alla porta 5 di Mirafiori viene dipinto su di un grande drappo rosso il ritratto di Marx. In pochi giorni il ritratto di Marx compare ai presidii di tutti gli stabilimenti del gruppo.

 3 ottobre, venerdì: continuano i presidii, molto nutriti anche di notte. Arrivano telegrammi di solidarietà dei lavoratori della Volvo, della Seat, dei lavoratori polacchi e cileni.

 La Fiat ritira i dirigenti da Rivalta e Cassino. I lavoratori della Fiat di Bruxelles e Waterloo bloccano l'invio a Torino di 2.300 vetture. Continua il blocco delle merci a Desio in Lombardia. Davanti ai cancelli partecipano al blocco delegazioni dei Cdf di varie parti d'Italia.

 5 ottobre, domenica: Lama, Carniti e Benvenuto si incontrano con Romiti a Roma alla presenza del ministro Foschi. Il ministro autorizza la cassa integrazione per un mese a partire da lunedì.

 Alla sera Annibaldi, portavoce della Fiat, minaccia rappresaglie per chi, non autorizzato, entrerà in fabbrica.

 6 ottobre, lunedì: ai presidii arrivano migliaia di lavoratori, c'è tensione. Iniziano le assemblee alle porte, si invitano i lavoratori ad entrare senza timbrare i cartellini. Gli operai entrano in fabbrica senza timbrare. Un altro tentativo del padronato per dividere i lavoratori non è riuscito. Quella mattina si tiene a Mirafiori la più numerosa manifestazione operaia nella storia della Fiat.

 7 ottobre, martedì: i presidii proseguono con alta presenza di lavoratori. La Fiat comincia l'opera di aggregazione e pressione sui capi, si parla di lettere inviate direttamente alle case dei singoli capi. Il padrone ha trovato un punto debole nello schieramento dei lavoratori. Un comunicato di un sedicente Coordinamento quadri intermedi, capeggiato dal repubblicano Arisio, denuncia una situazione di violenza a causa dei presidii.

 9 ottobre, giovedì: alcune persone in due automobili cercano di sfondare i cancelli di Mirafiori. Tra loro sono riconosciuti noti picchiatori fascisti. Alcuni feriti fra gli operai. A Chivasso i carbinieri stazionano davanti ai cancelli per consentire l'entrata dei dirigenti, che peraltro nessuno ostacola. A Rivalta nel pomeriggio sfila un corteo di capi e impiegati.

 12 ottobre, domenica: la Fiat sparge la voce, tramite la stampa "indipendente", che alcune 127 sarebbero state prodotte a Mirafiori.

 14 ottobre, martedì: al Teatro Nuovo si raduna la destra di Torino attorno al Coordinamento quadri intermedi. Parte un corteo che si ingrossa lungo la strada per la partecipazione di molti negozianti (lo sciopero ha fatto calare le vendite). La Tv alla sera parla di 20.000 persone in corteo. Sulla stampa "indipendente" i partecipanti nel giro di due giorni diventano 30-35.000. Passerà alla storia come il corteo dei 40.000.

 Gli operai sono pronti ad un'immediata contromanifestazione. Ma dai vertici sindacali arriva solo il silenzio; si parla anche di un vero e proprio veto. Il governo ingiunge alla procura di Torino la rimozione dei presidii. Nella notte arrivano foltissime delegazioni, in massa quella milanese.

 15 ottobre, mercoledì: i carabinieri davanti ai presidii sono riluttanti ad intervenire. Centinaia di capi e impiegati cercano di entrare, ma i presidii, affollatissimi, tengono. Il vertice sindacale, a Roma, cede. La sostanza dell'accordo è questa: rimane la cassa integrazione a zero ore per i 23.000 senza rotazione. I delegati riuniti al cinema Smeraldo respingono l'ipotesi d'accordo.

 16 ottobre, giovedì: si tengono le assemblee con l'intervento diretto dei vertici nazionali del sindacato. L'accordo non piace praticamente a nessuno tra gli operai. Ma gli operai si sentono traditi dai dirigenti e abbandonati al loro destino. La paura per il posto si ridesta. C'è la sensazione che ormai sia tutto deciso e che ogni resistenza sia inutile. Carniti e Benvenuto vengono malmenati dagli operai. Le assemblee, pur con la partecipazione dei crumiri (capi e impiegati) hanno un esito incerto; la direzione di Cgil-Cisl-Uil decide che "nell'insieme si registra una maggioranza favorevole all'accordo".

 In proposito il 18 ottobre, il Cdf della Fiat Lingotto diffonde un documento sull'accordo molto esplicito. Ne riportiamo alcuni passi: "Sull'accordo Fiat... il giudizio è estremamente negativo sia per quanto riguarda il metodo e sia per quanto riguarda il merito. In particolare sulla mancata rotazione della cassa integrazione e sulla mobilità esterna... La scelta del non confronto con i consigli, arrivando all'accusa di non rappresentatività, degli stessi, la scelta di andare direttamente alle assemblee dei lavoratori, strumentalizzandole, rappresenta la chiara volontà di accantonare il sindacato del controllo operaio in fabbrica...

 "La conclusione di questo accordo è legata più ad orientamenti politici derivanti dall'impostazione seguita dalla federazione Cgil-Cisl-Uil, che a reali rapporti di forza esistenti in fabbrica: infatti la scelta politica che la maggioranza del gruppo dirigente sindacale ha fatto è quella di voler cambiare la natura di questo sindacato. In sostanza l'attuale gruppo dirigente del sindacato ha di fatto accettato che per uscire dalla crisi si deve privilegiare la competitività del prodotto basata sull'aumento dello sfruttamento dei lavoratori. La stessa causerà un restringimento della base produttiva creando una polmonatura di manodopera da utilizzare nei momenti di oscillazione del mercato..." (approvato all'unanimità).

Conclusioni

 L'ambiente negli stabilimenti Fiat dopo l'accordo è quello di una resa totale da parte della classe lavoratrice alla repressione padronale; gli spostamenti dei delegati sono limitati; è vietata la diffusione di giornali e materiale sindacale; è proibito agli operai riunirsi in più di 3, anche durante le pause. Gli scioperi indetti alla Fiat di Torino saranno fino ad oggi un fallimento. La sconfitta dell'80 alla Fiat è una tappa negativa per tutto il movimento deilavoratori italiani. Ricordo di operai che messi in cassa integrazione si sono ammalati di depressione grave, famiglie sfasciate,qualche operaio si è anche suicidato, molti operai sono tornati al paese d'origine pur di sopravvivere e mantenere decorosamente la famiglia.

Dall'80 all'88 i disoccupati sono quasi raddoppiati, mentre nello stesso periodo il Pil italiano è cresciuto del 16 per cento e i profitti delle società quotate in Borsa sono aumentati dell'800 per cento. Grosso modo quello che è passato alla Fiat è passato in tutti i luoghi di lavoro in Italia.

Vorrei ricordare che dal 43 al 45 furono gli operai a difendere dai Tedeschi gli stabilimenti Fiat a Torino , finita la guerra torno' al comando Vittorio Valletta che molti lo ricordano per la dura repressione nei confronti degli operai sindacalizzati che venivano confinati in un reparto soprannominato reparto confino o stella rossa il lavoro di questi operai consisteva nel radrizzare chiodi arruginiti che tanto poi venivano buttati via  senza vedere e parlare con nessuno durante il turno di lavoro, pena il licenziamento, all'epoca c'erano le commissioni interne e oltre ai sindacati storici c'era anche un sindacato sopranominato sindacato giallo molto sensibile alle esigenze della Fiat, non a caso il padre dello Statuto dei lavoratori Gino Giugni nello Statuto dei lavoratori fece inserire un articolo che vieta ai datori di lavoro di costituire sindacati di comodo, sempre in quegli anni nel 61 ci fu' la rivolta degli operai della Fiat in Piazza Statuto in quanto un sindacato aveva firmato da solo il contratto dei metalmeccanici, che era molto penalizzante per i lavoratori, le lotte del 68 e 69 cambiarono un po' le cose all'interno dei luoghi di lavoro. A metà degli anni 70 arriva al comando della Fiat Cesare Romiti che aveva l'obbiettivo di distruggere il movimento sindacale, e vero che nell'80 il sindacato ebbe una dura sconfitta, ma guarite le ferite e ritornato a essere un punto di riferimento importante  per i lavoratori. Oggi al comando della Fiat c'e Marchionne a lui dei contratti non importa nulla, ed il sindacato gli stà stretto.

 
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