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Che fine hanno fatto le istanze per le UOB? Un breve excursus tecnico-giuridico


A quanto pare nessun dirigente generale ha comunicato l'esclusione dei funzionari direttivi dalla "selezione" per l'attribuzione delle unità operative di base. Ci chiediamo e domandiamo ai DG: quale atto o provvedimento è stato emesso a riscontro della richiesta dei funzionari direttivi? Formalmente, i vari DG hanno usato il termine "archiviazione". Ora, per archiviazione si intende la conservazione di un atto attinente un procedimento amministrativo o perché concluso (archiviazione definitiva) o perché in attesa di essere ripreso per la successiva istruttoria (archiviazione temporanea).Di fatto sappiamo che trattasi, invece tecnicamente, di "inammissibilità" o "improcedibilità". In sostanza, le istanze neanche sono state prese in considerazione soltanto perché trasmesse da funzionari direttivi e non da dirigenti.Ma chi ha avuto notificata la relativa comunicazione? Pare nessuno.Vorremmo allora richiamare l'art. 2 della l.r. n. 10/1991, norma che così dispone: "Ove il procedimento consegua obbligatoriamente ad una istanza, ovvero debba essere iniziato d'ufficio, la pubblica amministrazione ha il dovere di concluderlo mediante l'adozione di un provvedimento espresso" nonché  l'obbligo di motivazione previsto dall'art. 3 della suddetta l.r. 10/1991.Le norme suddette si riferiscono, invero, ai provvedimenti amministrativi da cui la giurisprudenza della Cassazione ha escluso quelli attinenti gli incarichi dirigenziali. Tuttavia, la stessa Corte di Cassazione, in copiosa giurisprudenza (tra le più recenti sent. 9814/2008 sez. lav.), nell’elaborare i principi in tema di limiti interni dei poteri attribuiti dalle norme al privato datore di lavoro, ha affermato che “questi limiti si configurano in presenza di disposizioni, contrattuali o normative, che dettano le regole di esercizio del potere discrezionale, sul piano sostanziale o su quello del procedimento da seguire, regole suscettibili di essere integrate e precisate dalle clausole generali che obbligano ad applicarle secondo correttezza e buona fede (artt. 1175 e 1375 c.c.). Emerge in particolare il principio secondo il quale, nell'ambito del rapporto di lavoro "privatizzato" alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, il giudice (ordinario) sottopone a sindacato l'esercizio dei poteri, esercitati dall'amministrazione nella veste di datrice di lavoro, sotto il profilo dell'osservanza delle regole di correttezza e buona fede, siccome regole applicabili anche all'attività di diritto privato alla stregua dei principi di imparzialità e buon andamento di cui all'art. 97 Cost. (vedi Cass., S.U., 26 giugno 2002, n. 9332)”. Tali principi, aggiungiamo noi, consentono di invocare le norme della legge regionale 10/1991 (coincidente sostanzialmente con la legge 241/90 statale) in tema di obbligo di conclusione del procedimento (ancorché civilistico) e di motivazione. Infatti, in altre sentenze, viene correttamente affermato che “gli atti di diritto privato della P.A., come tutti gli atti di gestione iure privatorum che si inseriscono nell’ ambito di un rapporto di lavoro contrattualizzato, sono sindacabili dal giudice del rapporto, ovvero il giudice del lavoro, sotto il profilo del rispetto della legge, delle norme contrattuali, e dei principi generali di correttezza e buona fede ex artt. 1175 e 1375 cod. civ.” D’altronde, se così non fosse, come potrebbe il giudice del lavoro pronunciarsi sulla invalidità  dell’attribuzione dell’incarico o sull’inerzia dell’Amministrazione? E ancora, “Nel conferimento di incarichi dirigenziali la pubblica amministrazione gode di ampia discrezionalità, per cui gli aspiranti, pur non vantando un diritto soggettivo al posto, vantano il diritto soggettivo al compimento delle procedure selettive nel rispetto delle disposizioni di legge, contrattuali e regolamentari; di talché, al giudice ordinario cui spetta, ai sensi dell’art. 63 d.lgs. n. 165/01, la giurisdizione in merito alle relative controversie,  è consentito censurare l’arbitrarietà della scelta o la sua manifesta irragionevolezza” . Irragionevolezza in cui rientra, riteniamo, pure la fattispecie del silenzio o della mera archiviazione! Per quanto riguarda, infine, l’accesso agli atti relativi alla procedura di attribuzione degli incarichi in argomento, che qualcuno vorrebbe negare o differire, risulta pacifica la posizione della Commissione per l’accesso agli atti amministrativi presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri secondo cui “Nell’indicazione nel testo regolamentare delle tipologie di documenti soggetti a differimento dell’accesso non si giustifica la inclusione generica degli atti espressione dell’attività di diritto privato dell’amministrazione, attesa la possibilità che anche attraverso tale tipologia pattizia si perseguano interessi pubblici per i quali vale il canone della trasparenza” (parere 5/10/2004). E, ancora, “Il diritto di accesso ai documenti, ex art. 22 della legge n. 241/1990, é applicabile sia all'attività di diritto pubblico, sia all'attività di diritto privato svolta dalla P.A. Infatti la legge 241/90 stabilisce che sono accessibili i documenti amministrativi formati o comunque utilizzati dall’amministrazione nello svolgimento della propria attività amministrativa e la giurisprudenza ha successivamente ampliato la nozione di attività accessibile ricomprendendovi non solo quella espressione di potestà pubbliche ma anche quella privatistica, laddove volta alla cura di interessi pubblici ed esercitata nel rispetto del canone di imparzialità (C.d.S., Adunanza Plenaria n. 5, 4 febbraio 1997)” (parere 10/2/2004).Ebbene, valuteremo il da farsi, anche interpellando i nostri legali. Non va ad ogni modo sottovalutata la circostanza che il continuo richiamo da parte dell’amministrazione regionale alle norme di diritto civile in materia di attribuzione degli incarichi è un boomerang micidiale in quanto l’eventuale condanna dell’amministrazione medesima comporta pure il risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale al lavoratore leso.