Creato da dolcevento45 il 29/06/2008
la vita è anche fatta di poesia
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DOLORE
Quel dolor profondo più del mare,
che tortura maciulla il core mio
quelle stille di pianto atroci amare
che solcano cadendo il viso mio.
Quel singulto represso soffocato
Che in gemito pietoso si trasforma
D’un cuore crudelmente lacerato
E indizio ver certezza e norma.
Nello spasimo tremendo invoco un core,
magnanimo leale, invitto e forte
in cui possa versare il mio dolore,
quello strazio crudel più della morte.
Ma quest’alma gentil invan la cerco
Nei diletti in cui alberga un solo tetto,
ancor nell’amistà la ploro e cerco
indarno, inutilmente e senza effetto.
Col ciglio ancor di pianto molle
Il guardo fiso alle fulgenti stelle,
alla vergine luna che s’estolle
Nel bruno firmamento alle sorelle.
Ma Diana mi risponde, cerchi un core
Che moscia e comprenda il duro affanno
Che gli strali roventi del dolore
Trasformi in voluttà che pochi sanno?
Ma non cercarlo in aspra valle infida
Più su più su di Febo e delle stelle,
il core troverai e a Lui ti affida.
“L’amor che move il sole e l’altre stelle”.
RAFFAELLA
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IDEALE
O di mia fanciullezza inclita Musa
O vago sogno di mia passione folle!
Perché, perché crudele alle pupille mie ardenti
T’involasti, allor che fisse e immobili in te le luci
mie, più di mirarti ognor faceansi accese?
Siccome augello che impennate l’ali
Fremente di passione si dispone
Nell’incantato azzurro il poderoso
Suo volo a vibrar robusto e ardito
Ma da fato crudele a terra spinto
Da fanciullo spetato immantinente
E’ ghermito afferrato e poscia spinto
In gabbia d’oro prigioniero ov’egli
Inutilmente si dibatte e freme
Alle sbarre si afferra, invido fissa
I compagni volar per l’infinito,
Con sforzo acuto si riscuote e allora
Tutte le vie ritenta per uscirne
Ma di suoi sforzi alfieri spossato e stanco
In sua gabbia gemendo si abbandona.
Studio; e dolce e casto sogno
Di mia ridente fanciullezza allora
Che ai tuoi prati fioriti mi appressavo,
Con lena ardita di spaziare, indietro
Crudel fato mi sospinge ed ora,
In gabbia d’oro prigioniera afflitta
Con ansia innamorata io ti fisso.
Poeti, voi che la mia mente popolate
E di sogni e d’immagini e di fate
Non meco vi adirate se natura
Di tanto in tanto a me strappa un accento
Che senz’eco nell’aria si disperde.
Febo, o biondo Febo, a me nessuno
Di tua dolce armonia dettò le chiavi,
Il metro l’accento e poi la rima,
Nessun maestro mai dettò con cura.
Che importa a me se solitario
Uccel di bosco i miei stonati accenti
So l’ode il Creatore Onnipotente?
Che importa a me, se in silenzio arcano
La mia diletta musa per me sola
Suona profonda un’armonia soave?
Se i miei poveri versi da nessuno
Giammai son letti ma da me che sola
Li compongo e con fremiti d’amore
Li leggo appassionata e mi abbandono?
RAFFAELLA
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ALLE STELLE
O del cielo già fosco e tenebroso
Leggiadre e gentili abitatrici.
Stelle, che l’alto ufficio aveste
Di trapuntar l’Empirio oscurato,
mentre quaggiù, da questo basso sito
immota, estatica ed ammirata
La gentil vostra beltà commossa ammiro,
nascer mi sento in core una tristezza
che il dolce piacer che provo allorché la sera
su questo balcone uscendo per ammirarvi
l’animo mio gode, mi amareggia.
O stelle, sì belle, sì gentili, sì leggiadre
Nel silenzio della notte scintillanti
Del mio tetto natio immensa volta
Di sì sublime vista godronne a lungo?
Dovunque, dappertutto e in ogni tempo
Potrò tacite stelle contemplarvi,
ma non han forse il terren natio
e la natale casa maggior pregio
di tante altre città e bei palagi?
Almeno, ah io spero almeno,
di poter dappertutto e in ogni tempo
contemplarvi con fronte schietta e serena,
di sostener senza chinar lo sguardo
per vergogna o rossor di male fatto
la vostra dolce, scrutante, sublime vista.
RAFFAELLA
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A LUCERA
Amo il nome gentile, amo l’ameno colle
su cui ridente si posa.
Amo i prati dove la rosa
sboccia profumata al ciel sereno.
Amo il Duomo dove si manifesta
la gloria e l’onor di che l’eresse.
Amo il castello, la rigogliosa messe
che forte mi dice sii fiera e desta.
Ma più delle sembianze gloriose e care,
amo il dialetto che mi fu insegnato,
quel dialetto gentil per chi vi è nato,
che dolce e commovente è l’evocare
Raffaella
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MAGGIO
Maggio,
col profumo dei fiori,
coi trilli giocondi di uccelli canori,
sei tornato quest’anno ripieno d’incanto.
Nell’azzurro tuo cupo, i miei sogni lontani
rivivo distinti nei fascini arcani,
che gli effluvi tuoi molli cullavan la sera,
al chiaro di luna, come dolce preghiera.
Maggio,
nel tuo vivo splendore, rivedo una Chiesa,
un materno pio core.
Rivedo la bruna, la Vergin Maria
che udiva la prece dell’anima mia.
E mi dava una casa, dei bimbi, l’amore,
i voti appagando di questo mio cuore.
Maggio,
sull’aure tue dolci, a quel tempio lontano,
porta il mio grazie e dille che l’amo,
ma dille che Maggio per me non c’è più,
come quelli trascorsi ai suoi piedi laggiù.
Raffaella
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Inviato da: Cuisine et saveurs
il 18/08/2013 alle 09:54
Inviato da: bizzina61
il 07/04/2013 alle 12:44
Inviato da: fiordilotodgl14
il 10/11/2012 alle 14:25
Inviato da: dolcevento45
il 09/08/2011 alle 11:20
Inviato da: Jane.Eyree
il 27/07/2011 alle 19:59