DanyLove

Post N° 125


Il racket di Bushhttpdi Tito Pulsinelli[Tito Pulsinelli è un giornalista italiano residente da molti anni in Venezuela. Con questo articolo inizia la sua collaborazione periodica a Carmilla.]
Il (man)rovescio elettorale di Bush è il primo nodo – ad alto valore simbolico - che viene al pettine del racket petrolifero-armamentista che finanziò la sua scalata al vertice politico degli Stati Uniti. Questo racket, vorace e cinico, è andato assai oltre il fisiologico darwinismo sociale che sostanzia il liberismo in qualsiasi latitudine. Non si è accontentato del ruolo di anti-Robin Hood: rubare la spesa sociale destinata ai poveri per distribuire diminuzioni fiscali ai ricchi. No, il racket pensava in grande ed agiva di conseguenza: ha praticamente trasferito il grosso del bilancio statale alle guerre, all’armamentismo e alle “ricostruzioni”. Questo succulento assegno in bianco è stato girato integralmente ai compari, cioè al comitato d’affari che finanziò le due campagne elettorali di Bush. Fino agli estremi di una corruzione di tipo “bananero”. Bizzarri assai questi ultras, apostoli del liberismo universale che vivono esclusivamente dello Stato, con bilanci approvati in clima di emergenza, leggi speciali e sospensione dei diritti civili. Guarda caso, il vasto comparto delle armi è un settore protetto dell’economia, che gli Stati Uniti hanno sempre escluso dal dogma della concorrenza e del mercato aperto. Eppure, all’inizio Bush era un presidente debole, uscito da un’elezione truffaldina, grazie ai maneggi del fratellino Jeb in Florida e della mafia dei fuoriusciti cubani, specialisti con post-master in imbrogli elettorali. Grazie alla Corte Suprema di Giustizia, con membri - praticamente vitalizi - tutti di nomina presidenziale, Bush ottiene la prima carica istituzionale. Giudici designati da Reagan e da papi Bush. Era un potere dalle basi precarie, ma l’11 settembre cambia radicalmente il panorama, il racket mette a segno un auto-golpe tra il plauso universale. Miracolo delle nuove tecnologie e delle reti della comunicazione a proprietà iper-concentrata. Poi passa a una rapida riprogettazione delle istituzioni, alla misura degli interessi del 5% della cittadinanza, e a un espansionismo estremista e velleitario. Sotto la sferza immaginaria del “nemico esterno”, il racket impone alla plebe la dissociazione psicotica, paranoia intensa e diffusa, riduzione drastica dei diritti individuali, azzeramento dello spazio di manovra per la critica sociale. Chi infrange sistematicamente la legalità internazionale è ovvio che non ha scrupoli per passare come un rullo compressore sulla plebe domestica. Dopo la tortura di contrabbando, camuffata, il racket esige una normativa che ne sancisca la liceità. I legislatori dicono ok, e dall’Europa dei Lumi e dalla terra di Cesare Beccaria, classi dirigenti cieche e sordomute continuano a chiamarla democrazia, e certuni anche Grande Democrazia. Erano i tempi della “guerra infinita” e della caccia al mullah Omar tra le montagne afgane. Tempi di cieco furore, trionfalismo, dosi goebbelsiane di propaganda bellica, del stai con me o sei mio nemico. Mentre il mullah Omar iniziava l’epica e inconclusa fuga in motocicletta, i Paesi europei diedero corpo e linfa a quella nuova NATO, sottoscritta alla chetichella durante i bombardamenti di Belgrado. Non è più un’alleanza militare difensiva, il mondo intero deve essere un “Atlantico del nord”, massime quando le civiltà sarebbero in “scontro” indotto. Perciò gli europei partecipano alla vendetta del racket contro l’inerme Afghanistan, promosso a pericolo pubblico planetario. In corso d’opera mutò l’iniziale motivazione della guerra, rimpiazzata dall’urgenza filantropica di “esportare democrazia” (sic), in una terra dove lo Stato non è mai esistito. Una forma originale, senza Stato, senza partiti, solo con basi militari, oppio, oleodotti e bombardamenti. La venalità e la vocazione atavica al saccheggio piratesco, sposati al delirio di onnipotenza unilaterale, portarono a una ragion di Stato e a una geopolitica con il petrolio come asse esclusivo. Gli interessi aziendali del racket dominante trasformati in meta strategica e politica di Stato, appena malamente camuffati dagli ideologismi rupestri dei neocons. Siamo all’arrembaggio per il monopolio mondiale delle fonti energetiche, sostenuto da spese militari esponenziali a carico dall’erario pubblico. E’ la nuova pietra filosofale per soddisfare la bulimia dei grandi elettori di Bush. Dopo due tentativi andati a vuoto per coprirsi le spalle, tra l’aprile e il dicembre del 2002 (un golpe classico e un sabotaggio dell’industria petrolifera venezuelana), il racket si vede costretto a rompere ogni indugio e a lanciarsi proditoriamente all’avventura in Mesopotamia. D’altronde la NATO disse no, così pure Francia e Germania, unici depositari di una visione degli interessi strategici europei, soprattutto nei momenti burrascosi. Sembrava una cavalcata trionfale, è diventata una marcia funebre: la sconfitta più grave, che mette in secondo piano persino la ritirata dalla Corea nel 1954 e la fuga dal Vietnam. Non è di molto ausilio l’alta macelleria sperimentata da John Negroponte in Centroamerica , con full squadroni della morte e big terrorismo di Stato. Negroponte ora è capo dei capi di tutte le riunificate polizie imperiali segrete. In Iraq, però, le truppe di occupazione muovono la macchina bellica con benzina importata dal.. .Kuwait. Il petrolio, in otto anni – nonostante l’uso delle riserve strategiche- ha moltiplicato per dieci il suo valore, riempiendo i forzieri russi, iraniani e venezuelani, che cominciano a giocare su tutto lo scacchiere mondiale. Quando il barile aumenta di un dollaro, a Caracas entra un miliardo di dollari annuale addizionale, e a Teheran quasi il doppio. Il FMI diventa prescindibile, così pure altri organismi multilaterali sedimentati nel 1946; il dollaro dall’anemia passa alla leucemia, la Cina – il competitore globale più pericoloso - si è già garantita l’autonomia energetica per i prossimi 30 anni. La Russia non va al tappeto, come pronosticavano gli allibratori globali, ma rinazionalizza gli idrocarburi, mette in riga oscuri oligarchi venuti dal nulla, azzera il debito estero, e con la Cina fonda l’Organizzazione del Patto di Shangai. Da iniziale contrappeso all’estremismo unipolare del racket, oggi è un blocco di potere commerciale, finanziario e militare che raccoglie vari Paesi asiatici (incluso il Kazakistan ricco di idrocarburi). L’India ed Iran sono nella sua orbita immediata. Le nuove basi militari degli Stati Uniti, in questa zona, sono poco più che sperduti avamposti nelle distese percorse con gloria da Gengis Kahn.