Danza di Luna

Venere, La Stella del Mattino


 
 Venere era Colei che mostra la via alle stelle. Dea della sera, favoriva l’amore e la voluttà; dea del mattino, presiedeva alle operazioni di guerra e alle stragi. Era figlia della Luna e sorella del Sole. Mostrandosi all’alba e al crepuscolo, si presentava come un legame fra le divinità del giorno e quelle della notte. Perciò suo fratello era il Sole e sua sorella la dea degli inferi. Dalla sua parentela con il Sole, di cui era sorella gemella, provenivano le sue qualità guerriere: era detta la valorosa o la Signora delle battaglie. Tutto questo in quanto stella del mattino. Ma in quanto stella della sera, era influenzata da sua madre, la Luna, che predominava facendo di lei la divinità dell’amore e del piacere. I sigilli assiri, come le pitture del palazzo di Mari (secondo millennio) le danno come attributo il leone. Nella letteratura religiosa la si chiama talvolta leone furioso o leonessa degli dei del cielo.In quanto dea dell’amore, regina dei desideri o anche colei che anima il godimento e la gioia, il suo culto si associava alla prostituzione sacra.Il suo mito comporta una discesa agli inferi, il che spiega il senso iniziatico del simbolismo venusiano: un re di babilonia la chiama colei che al levare e al tramontar del Sole rende buoni i miei presagi.Presso gli Assiri e i Sumeri, appare nei sogni ed emette profezie sull’esito delle guerre: «io sono l’Ishtar d’Arbela - dice la dea in un oracolo di Asarhaddon - davanti a te, dietro di te io marcerò, non temere niente!». Fra i suoi attributi figurano l’arco e la freccia, simboli di sublimazione.Il pianeta Venere è estremamente importante presso le antiche civiltà del Centro America e segnatamente presso i Maya e gli Aztechi, sia per l’organizzazione del calendario sia per la loro cosmogonia, intimamente legate. Presso gli Aztechi, gli anni venusiani si contavano a gruppi di 5, corrispondenti a 8 anni solari.Venere rappresentava Quetzalcoatl, risuscitato all’est dopo la sua morte all’ovest. Il dio del Serpente Piumato, in questa reincarnazione, era rappresentato come un arciere, temuto lanciatore di malattie, o come dio della morte, con il viso coperto da una maschera a forma di teschio. Non bisogna dimenticare che si tratta di un aspetto della dualità simbolica, morte e rinascita, contenuta nel mito di Quetzalcoatl. Il ciclo diurno di Venere, che appare alternativamente all’est e all’ovest (stella del mattino e stella della sera) ne fa un essenziale simbolo della morte e della rinascita. Queste due apparizioni del pianeta alle due estremità del giorno spiegano come la divinità Azteca Quetzalcoatl potesse anche essere chiamata il prezioso gemello.I Maya concepivano l’universo come inscritto in una grande piramide appoggiata sul dorso di un coccodrillo impegnato a nuotare nel mare cosmico. Quattro divinità, poi, sostenevano il firmamento, che era raffigurato come un grande drago a due teste, il cui corpo, una grande striscia celeste, recava incise le stelle. Fra cielo e terra si muovevano il Sole, la Luna e la brillante Venere. L’origine del Sole e di Venere, tra l’altro, era collegata al mito di due gemelli che avevano sconfitto i signori della morte in una partita a palla, e che si erano poi trasformati nei due corpi celesti.L’associazione di Venere con il Sole fa talvolta di questo astro divinizzato un messaggero del Sole, un intercessore fra questo e gli uomini. Così avviene presso gli indios Gherente del Brasile per i quali il Sole ha due messaggeri: Venere e Giove.Chasca, nella mitologia Inca, era il pianeta Venere, noto come il giovane dai lunghi e ricci capelli. Chasca era adorato come paggio del Sole che assisteva il dio nel suo sorgere e tramontare.In Asia, i Buriati vedono in quest’astro lo spirito tutelare dei loro cavalli. Gli fanno offerte in primavera quando marchiano i puledri e tagliano la coda e la criniera ai cavalli adulti. Venere, per questo popolo di pastori nomadi, è il pastore celeste che guida il suo gregge di stelle. Il ratto rituale della fidanzata si ricollega al suo culto.Per gli Ienisseiani è la più antica delle stelle e protegge tutte le altre.Secondo un leggenda degli Yakuti, è una vergine superba che ha le Pleiadi come amanti.M 45, meglio noto come Pleiades (le Pleiadi), è l’ammasso stellare più brillante e famoso di tutto il cielo, citato in ogni tempo, da Omero a D’Annunzio. Il nome è di origine greca e deriva da plein, cioè navigare, oppure da pleios cioè molti. Ad occhio nudo si possono vedere circa sette stelle, le quali sono Alcyone, h (eta), la più brillante, quindi troviamo Celaeno, Electra, Taygeta, Maia, Asterope, Merope, Atlas, Pleione, una stella con inviluppo esteso che emette anelli di gas a intervalli regolari, la cui luminosità fluttua imprevedibilmente. In realtà, dell’ammasso distante da noi 415 anni luce, fanno parte circa 250 stelle, comprese molte giganti blu, immerse in una debole luminosità, residuo della nube da cui si sono formate “soltanto” 50 milioni di anni fa. Per i kirghisi, come per gli antichi popoli dell’Asia Minore, è figlia della Luna, in quanto stella della sera.Gli antichi Turchi la chiamavano Arlig (il guerriero, il maschio) o anche la Stella di luce e Coholban (il brillante, lo splendente).In Australia Venere, come stella del mattino, conosciuta dagli aborigeni come Barnumbir, era un importante segno per un popolo che si levava all’alba per accingersi alla caccia. Secondo la tradizione della Arnhem Land, Barnumbir aveva paura di annegare, così fu legata con un lungo laccio tenuto da due vecchie donne. La corda le impediva di salire troppo alta nel cielo e di annegare nel fiume della Via Lattea. All’alba le donne più vecchie la portavano in salvo in un cesto intrecciato.Barnumbir è anche identificata con Bralgu, l’isola della morte dove, quando una persona muore, il suo spirito è condotto. Da qui la cerimonia della stella del mattino è una importante parte dei rituali funerari, dove Barnumbir è rappresentata da un totem, un tronco con un mazzetto di piume bianche e lunghe corde terminanti in più piccoli mazzetti di piume a suggerire i raggi di luce.Nella civiltà classica, la divinità appare in ogni mitologia dotata delle migliori attrattive: non si vede quali ornamenti potrebbero rivaleggiare con quelli di Afrodite, protettrice dell’imene e prototipo perfetto di bellezza femminile.Sotto il suo simbolo regna nell’essere umano la gioia di vivere, nella festa primaverile dell’inebriamento dei sensi, come nel piacere più raffinato e spiritualizzato dell’estetica. Il suo regno è quello della tenerezza e delle carezze, dei desideri amorosi e della fusione spirituale, dell’ammirazione felice, della dolcezza, della bontà, del piacere e della bellezza, della pace del cuore.Era popolarmente ritenuta composta da due corpi separati: Lucifero (Eosphorus) come stella del mattino ed Espero come stella della sera.Nell’antica Roma, Venere rappresentava il fascino ed il desiderio sensuale; a lei era dedicata la primavera (la festa delle Veneralia cadeva il primo aprile).  
Nel mito greco, Afrodite nasce dalla schiuma del mare fecondata dal seme di Urano evirato dal figlio Crono (il nome Afrodite deriva da aphrs, schiuma e il suo soprannome Anadyomene significa colei che emerge dal mare) sulle coste dell’isola di Cipro e come attributo aveva il rame, ed il legame tra il rame ed il pianeta Venere è rimasto anche nell’alchimia. Il mondo degli astri, per l’alchimista, non è uno spazio vuoto nel quale splendono lontani corpi celesti, ma una sfera vivificata da entità possenti e piena di segni misteriosi per l’uomo comune. L’alchimia tende a far agire, sotto forma di metalli, le immagini terrene delle forze del cielo ed in funzione di questa aspirazione cerca di sollevare, insieme con i metalli che si purificano, anche l’uomo che li lavora. Ecco perché i simboli delle stelle e quelli dei metalli sono comuni all’alchimia ed all’astrologia.Il culto della dea dell’amore nell’accezione erotica è di origine pregreca: secondo Platone c’erano due differenti personificazioni dell’amore, una volgare (Aphrodite Pandemia), l’altra celeste (Aphrodite Urania). Essa era inoltre la protettrice della fertilità (Venus Genetrix a Roma).Venere è presente anche nei miti dei Nativi Americani.La mitologia degli indiani Pawnee è complessa e contiene molti riferimenti al cielo, al quale affidano un ruolo di primo piano nella creazione del mondo. Tirawahat è il dio supremo, padre e signore dell’universo che comanda i movimenti degli astri. Ha imposto il matrimonio fra la Stella del Mattino e la Stella della Sera (il pianeta Venere era da loro erroneamente distinto in due corpi), unione dalla quale è nata la donna. L’uomo era nato dall’unione di Sole e Luna. Alla Stella del Mattino era dedicato un rito che prevedeva il sacrificio di una giovane prigioniera, la quale, dipinta di rosso e di nero ad indicare il confine tra giorno e notte, viene trafitta con le frecce che la invieranno verso la Stella del Mattino, suo sposo celeste.Sempre tra i Pawnee si racconta come la Stella del Mattino sorveglia le anime dei morti mentre percorrono la Via Lattea. Tra i Pueblos si racconta di Cacciatore di cervi e di Fanciulla Grano Bianco, due giovani bellissimi che non avevano occhi che l’uno per l’altra. Un giorno la fanciulla morì, ma il giovane non volle lasciarla partire sola ed insieme sono stati trasportati in cielo, Cacciatore di Cervi come Venere (per la prima volta in senso maschile) e Fanciulla Grano Bianco come Mercurio.(http://planet.racine.ra.it/testi/venere.htmVENERE passeggiata tra nubi e mitidi Annalisa Ronchi)