Serendipity

Joy (to have been there)


27 marzo 2007, teatro Colosseo di Torino. Giovanni Allevi "Joy tour"Il palmo della mano cerca il pianoforte. Necessita di esperirlo comunque, come se a stare senza mancasse il pavimento. Non sono (solo) i tasti, è la sensazione fisica di averlo lì con se, di non staccare il cordone ombelicale. Quando si alza in piedi, nei fugaci intramezzi fra un pezzo e l'altro, Giovanni Allevi sembra proiettato in un altro mondo, il nostro per intenderci, e la voce si fa tremante e l'equilibrio scarso. Ed ecco quel gesto continuo, che colora il personaggio di infinite
sfumature, quel cercare comunque il contatto con lo strumento, che a questo punto assume ben altri contorni che un agglomerato di legno e avorio da cui esce poesia. Piccole introduzioni verbali ai pezzi che seguiranno, simpatici siparietti che ti vien voglia di pensare che sono preparati ad hoc, che sennò non gli uscirebbe un filo di voce, e intanto quel cercare appoggio, con la mano, quel toccare il legno nero. Carezze, appigli, prospettive di fuga dalla nostra realtà. Il concerto è breve, un'ora e scampoli di quella successiva. Forse un'ora e dieci, forse ventisette anni di vita. Com'è capitato a me, ad esempio. Con gli occhi chiusi, a volte aperti appena, screziati da insistenti lacrime di emozione e solcati da ricordi e divagazioni, spesso da giudizi sulla mia vita attuale, spesso da voli nel futuribile, nel chissà e nel se Dio vuole sarà o sarebbe stato se solo...Ci ho visto volti che non mettevo a fuoco da anni, parole, brevi fotogrammi di esistenza. Ci ho visto me stesso in svariate pose, ho scorto i miei sedici anni e poi i venti, i venticinque, ho idealizzato i quaranta. Mi sono perso in uno sguardo fissato nella memoria. E senza schema ho riprovato il dilaniante senso d'impotenza di fronte a un addio passato, poi il dolce senso di protezione che sa darmi Lei oggi. Risiedeva tutto in quelle note così avvolgenti. Come se la mia vita si stagliasse impressa su uno spartito che devo sempre capire se suona con grazia o necessita di gomma e matita per un rapido cambio di ottava.  In tutto questo vorticoso girare, al centro del palco c'è lui che suona e vola di suo. E il teatro che viene giù dagli applausi. Non è il fragore di un pubblico che apprezza. E' qualcosa di più, uno scrosciare così forte che non ci credi. Assordante, deciso, che nasce da dentro. Le sue parole poi; ne ho conservate alcune che mi hanno toccato, come quando allude alla sua unica forza: la sua fragilità. E poi racconta di quando ha volato (si premetta che io e gli aereoplani non ci siamo ancora capiti del tutto), di quando nei cieli newyorkesi ha pilotato un apparecchio. "E quel volare fa così". Si siede al piano e quelle note ti fanno librare, vedi i grattacieli dall'alto, solchi i fiumi a miglia e miglia di altezza. E Lei che a brano concluso mi dice: "Hai visto amore, hai volato anche tu finalmente". Attimi. Ma li poterò dentro.Quando l'ho incontrato a fine serata, due chiacchere e un
autografo, sono rimasto colpito dalla sua cordialità, dal suo essere disponibile, dal suo firmare "Ciao Stefano. Giovanni Allevi". Un ciao. Non l'avevo mai pensata una dedica del genere. Non so perchè, ma l'ho trovata così semplice da farmi pensare di aver portato a casa un piccolo insegnamento di vita. O forse sono io che in un'ora ho avuto la fortuna di cambiare prospettiva. Non una, ma mille volte. Ho cambiato pelle tante di quelle volte da non avere più abiti nuovi. L'ho fatto sì, scivolando sulle sue note. Per poi ritrovarmi nei miei occhiali di sempre a fine concerto, con la mia faccia di sempre e le mie solite domande. Come se questo concerto non fosse stato ventisette anni di vita, e nemmeno un'ora. Nemmeno un minuto, e ancor meno pochi attimi. Di certo non una nota. Un soffio forse. O una lacrima che sono orgoglioso di aver pianto ancora.