Abbiamo un puntino sulla cartina stradale che voglio vederti a conoscerlo anche solo per sentito dire. Abbiamo un alberghetto che costeggia una rotonda situata ai margini di questo puntino sulla cartina, un posto che profuma di familiare, senza tanti fronzoli. Dove la cortesia e la pulizia sopravvanzano qualsiasi altra scintilleria, e dove chi ti porta da mangiare è un signore piccino e mai invadente che se non lo cerchi rischia di passare inosservato. Mi piace pensare, con un filo di malinconia, a quante persone transitano di lì ogni giorno, spesso occasionalmente, e magari di Riccardo conoscono solo la frittura. Come i clienti che a mezzodì di domenica scorsa si sono seduti ai tavoli apparecchiati ignari di ogni cosa. L'area ristorante era esattamente come l'avevamo trovata il giorno prima, senza una virgola fuori posto. Il camiciotto di Riccardo, bianco e stirato. La penna e il taccuino per gli ordini, la cameriera che ti cambia il piatto. Abbozzavo un sorriso, giusto pochi attimi prima di mettere in moto e fuggire via, scorgendo quei clienti pranzare in quella parentesi di inconsapevolezza. Vaglielo a spiegare che su quelle piastrelle, pochi giri di lancette indietro, ci stava una batteria affittata a Cecina, con i piatti rastrellati a Torino, le aste portate da Bari e i microfoni raccattati a San Giovanni Rotondo. Vaglielo a raccontare che dietro di lui scorrevano centinaia di cavi, che una montagna di amplificatori, tastiere, reggichitarre e trick e track seppellivano il pavimento, che c'era un gruppo di innamorati che si emozionava ad ogni respiro, che cantava, ballava, soffriva e si deliziava di esserci. Ma nulla, quel signore si gustava il quartino e di certo non sospettava alcunchè. Non una traccia visibile, Zero di zero. Tutto smontato e ripulito durante la notte, quasi con furtività, con metodo mordi e fuggi. Come le bolle di sapone di Simo nascevano, screziavano il soffitto e pluff... così noi siamo arrivati in punta di piedi, abbiamo cinto quelle mura di una scorza agrodolce, costruendo mirabili castelli in aria sorretti dalle nostre note, dai nostri sogni, dal nostro emozionarci senza vergogna e alle luci dell'alba siamo volati via, eclissandoci dietro i cieli di Toscana. Nell'aria nemmeno più l'eco della chitarra di Francesco. Un senso di normalità in quel ristorante, ora che tutto era ritornato al suo posto, che quasi mi veniva il magone. Vaglielo a dire a quel tipo là che c'ero io che sbuffavo sudore e lacrime su quel rullante, urlando idealmente in faccia a chi mi vorrebbe sempre intriso di cinica razionalità, che io sono fiero di essere un debole. Sono fiero di piangere, sono fiero di non amare il potere, sono fiero di non saper comandare nessun'altro se non il ritmo di quella Any Colour che ad ogni rullata diventava sempre più furiosa, sempre più palpitante. Mi ci rivedo: eccomi lì, ci sudo l'anima, ci rovescio dentro 28 anni di vita, mordo il tamburo coi denti se posso. Se non mi fermano ci sanguino pure, l'avrei fatta tre volte più veloce. Sono posseduto, indiavolato, brucio da solo, sono vivo. Li ho fatti ballare i ragazzi su Any Colour, a sto giro li ho fatti sudare diciotto camicie; c'era Arber al basso con le dita che fumavano da sole, Vince ha consumato la plastica e su quei tasti c'ha mollato i polpastrelli. Enzo poi, ah ah, Enzo!... da english man impassibile e serafico s'è trasformato giocoforza in un improbabile mix fra Mick Jagger e Keith Emerson, con qualche pennellata di lussuria sfrenata di pornografica memoria. Enzo è stato il polso della situazione, vederlo saltare sui synth come un canguro mi ha fatto capire che l'avevo inventata bella. Un cambio di tempo che chissà. Metafora di vita, come spesso solo la musica può fare.
26/5/2007 The great gig of Pink Floyd Sound 2 (Bibbona marittima on air)
Abbiamo un puntino sulla cartina stradale che voglio vederti a conoscerlo anche solo per sentito dire. Abbiamo un alberghetto che costeggia una rotonda situata ai margini di questo puntino sulla cartina, un posto che profuma di familiare, senza tanti fronzoli. Dove la cortesia e la pulizia sopravvanzano qualsiasi altra scintilleria, e dove chi ti porta da mangiare è un signore piccino e mai invadente che se non lo cerchi rischia di passare inosservato. Mi piace pensare, con un filo di malinconia, a quante persone transitano di lì ogni giorno, spesso occasionalmente, e magari di Riccardo conoscono solo la frittura. Come i clienti che a mezzodì di domenica scorsa si sono seduti ai tavoli apparecchiati ignari di ogni cosa. L'area ristorante era esattamente come l'avevamo trovata il giorno prima, senza una virgola fuori posto. Il camiciotto di Riccardo, bianco e stirato. La penna e il taccuino per gli ordini, la cameriera che ti cambia il piatto. Abbozzavo un sorriso, giusto pochi attimi prima di mettere in moto e fuggire via, scorgendo quei clienti pranzare in quella parentesi di inconsapevolezza. Vaglielo a spiegare che su quelle piastrelle, pochi giri di lancette indietro, ci stava una batteria affittata a Cecina, con i piatti rastrellati a Torino, le aste portate da Bari e i microfoni raccattati a San Giovanni Rotondo. Vaglielo a raccontare che dietro di lui scorrevano centinaia di cavi, che una montagna di amplificatori, tastiere, reggichitarre e trick e track seppellivano il pavimento, che c'era un gruppo di innamorati che si emozionava ad ogni respiro, che cantava, ballava, soffriva e si deliziava di esserci. Ma nulla, quel signore si gustava il quartino e di certo non sospettava alcunchè. Non una traccia visibile, Zero di zero. Tutto smontato e ripulito durante la notte, quasi con furtività, con metodo mordi e fuggi. Come le bolle di sapone di Simo nascevano, screziavano il soffitto e pluff... così noi siamo arrivati in punta di piedi, abbiamo cinto quelle mura di una scorza agrodolce, costruendo mirabili castelli in aria sorretti dalle nostre note, dai nostri sogni, dal nostro emozionarci senza vergogna e alle luci dell'alba siamo volati via, eclissandoci dietro i cieli di Toscana. Nell'aria nemmeno più l'eco della chitarra di Francesco. Un senso di normalità in quel ristorante, ora che tutto era ritornato al suo posto, che quasi mi veniva il magone. Vaglielo a dire a quel tipo là che c'ero io che sbuffavo sudore e lacrime su quel rullante, urlando idealmente in faccia a chi mi vorrebbe sempre intriso di cinica razionalità, che io sono fiero di essere un debole. Sono fiero di piangere, sono fiero di non amare il potere, sono fiero di non saper comandare nessun'altro se non il ritmo di quella Any Colour che ad ogni rullata diventava sempre più furiosa, sempre più palpitante. Mi ci rivedo: eccomi lì, ci sudo l'anima, ci rovescio dentro 28 anni di vita, mordo il tamburo coi denti se posso. Se non mi fermano ci sanguino pure, l'avrei fatta tre volte più veloce. Sono posseduto, indiavolato, brucio da solo, sono vivo. Li ho fatti ballare i ragazzi su Any Colour, a sto giro li ho fatti sudare diciotto camicie; c'era Arber al basso con le dita che fumavano da sole, Vince ha consumato la plastica e su quei tasti c'ha mollato i polpastrelli. Enzo poi, ah ah, Enzo!... da english man impassibile e serafico s'è trasformato giocoforza in un improbabile mix fra Mick Jagger e Keith Emerson, con qualche pennellata di lussuria sfrenata di pornografica memoria. Enzo è stato il polso della situazione, vederlo saltare sui synth come un canguro mi ha fatto capire che l'avevo inventata bella. Un cambio di tempo che chissà. Metafora di vita, come spesso solo la musica può fare.