Dave's Blog

Like there's no tomorrow


Mangiare come se non ci fosse un domani? Ogni tanto capita. Oggi non era previsto, ma quando all'Università, a metà mattina di un lungo giorno di lavoro, inizia il rinfresco del Rettore, non ci vogliono gli aruspici per presagire che si tratta solo dell'inizio. Ahimè, non ci sono più soldi, e l'opulenza di fine millennio ha ceduto il passo a quintali di pandoro del discount e pizzette di plastica. Per cui, dopo l'abbuffata di carboidrati scadenti, passo al Lambrusco. Si sà che il farinaceo assorbe il liquido, per cui il mezzo litrozzo di vino entra gradualmente, ma costantemente, nel sistema linfatico, generando uno stato di coma vigile e sguardo vitreo verso l'orizzonte, seduto davanti allo schermo del PC, come Leopardi quando contemplava l'Infinito. E' ora di tornare a casa, e la frescura del primo giorno d'inverno mi riporta tra i vivi, giusto in tempo per farmi le penne rigate con un vasetto di ragù che trovo nel frigo (sono circa le 6 di sera). Poco più di un'ora dopo sono fuori a bere qualcosa per gli auguri di Natale con gli amici. Birra d'ordinanza accompagnata con una miriade di prelibatezze. Mozzarelline impanate, panna fritta, crostini vari: tutto mio! La serata trascorre e quasi alle 11 gli astanti rimasti, pochi a dire il vero, avrebbero un languorino. Proprio dall'altra parte della strada c'è un accogliente ristorante giapponese. Per non essere scortese mi aggrego, al grido di "io prendo solo un saké". Ma quando cominciano arrivare delle barche (e non è una metafora) piene di roba colorata e spaghettiforme, come si fa a restare imbelli? Affondato il natante, ci sono gli altri piatti, le cui portate non saprei certamente elencarvi, anche perché è sempre difficile distinguere l'ornamento dal commestibile. Ora sono finalmente a casa, gonfio come un'astronave, ma c'è quel sacchetto aperto da ieri di patatine alla panna acida e cipolla che mi sta implorando. Come faccio a non curarmi del suo richiamo? Domani, spero di fare tanta cacca...