Davide Romano

Giornata della cultura ebraica: non solo Shoah


Non solo Shoah. E’ anche questo il senso della “Giornata europea della cultura ebraica”, che domenica celebra l’undicesima edizione. Dopo decenni passati a combattere per affermare la verità della Shoah contro i tanti negatori e manipolatori della morte di sei milioni di ebrei, le comunità ebraiche di tutta Europa hanno percepito un rischio: che grazie al continuo accostamento mediatico dell’ebraismo al genocidio perpetrato dai nazisti la millenaria cultura ebraica venisse in un certo qual modo “schiacciata” ai soli anni ’30 e ’40 del ventesimo secolo. Il mondo ebraico vuole con queste giornate evitare che tra l’opinione pubblica passi il (brutto) concetto di un ebraismo legato alla sofferenza. Se è infatti vero che di persecuzioni antiebraiche ce ne sono state tante nel corso dei secoli, è anche vero che il popolo ebraico ha vissuto anche tanti periodi di pace e di prosperità. Inoltre l’ebraismo è tutt’altro che triste, ma – al contrario - una religione di gioia. E sarebbe un delitto – e qui arriviamo al senso della giornata della cultura ebraica – non mostrare al pubblico il contributo che la cultura ebraica ha sempre offerto al mondo circostante. Quest’anno in particolare, la giornata è dedicata al prolifico binomio tra arte e ebraismo: basti pensare al solo mondo della musica, dove il fruttuoso scambio melodico tra il popolo ebraico disperso nel mondo e le varie popolazioni limitrofe hanno dato luogo a veri e propri generi musicali quali il klezmer, la musica sefardita, quella ebraico-yemenita e quella israeliana. Frutti di una contaminazione culturale che ha arricchito l’umanità intera. Un discorso a parte andrebbe invece fatto per le arti figurative, laddove il divieto religioso di riprodurre l’immagine divina e umana ha in realtà dato luogo a disobbedienze assai fruttuose: pensiamo solo al pittore impressionista Camille Pissarro che raffigurava nelle tele non l’immagine reale, ma quella che la luce che cade sui soggetti rifrange. Poi ci sono stati giganti come Marc Chagall, Amedeo Modigliani e Roy Lichtenstein, che hanno invece proposto un modo nuovo di guardare alla realtà umana, trasfigurandola attraverso i filtri dettati dalle loro rispettive visioni creative. A Milano avremo l’opportunità di ascoltare presso la sinagoga di via Guastalla gli interventi su Arte ed Ebraismo di persone di spessore: Andrée Ruth Shammah, Haim Baharier, il rabbino Roberto Della Rocca, e il rabbino capo della nostra città, Alfonso Arbib. Solo guardando ai loro cognomi, tre su quattro di chiara origine non italiana, appare già chiaro come a parlare di arte ed ebraismo e delle contaminazioni culturali saranno persone esse stesse profondamente contaminate. A dimostrazione che se invece che farci impaurire dalle diversità sappiamo abbracciarle, e farle almeno in parte nostre, allora avremo fatto un passo in avanti: non solo nella direzione della tolleranza, ma soprattutto dell’arricchimento di noi stessi.Davide RomanoPubblicato su La Repubblica-Milano il 5 settembre 2010