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Post n°36 pubblicato il 18 Luglio 2009 da walther_ppk0
La plebe arricchita e sazia, compiaciuta del proprio (apparente) benessere, include tra le sue più indiscutibili esigenze quella di "viaggiare". Il suo non è un vero viaggiare, beninteso; niente a che vedere con il viaggiare che Paul Bowles ha rappresentato nel "Tè nel deserto"; niente a che vedere con il perdersi, con il contraddirsi, con l'entrare umili in mondi nuovi, con l'adattarsi a nuove costellazioni di usi e valori. Il "viaggiare" della plebaglia è un banale spostamento geografico verso la spiaggia più assolata, nel quale il contesto (ciò che i nostri nonni chiamavano saggiamente "le comodità" e che alcuni chiamano oggi stupidamente "comfort") deve essere così come lo si può trovare in una qualsiasi città italiana. Ebbene, il frenetico bisogno conformistico della plebe arricchita di "viaggiare" non mi dà solo ulteriori ragioni per irritarmi e per disprezzarla; da quando si è diffusa la paura della pandemia, i suoi stupidi viaggi intercontinentali sono diventati anche comprensibile motivo di preoccupazione per le autorità sanitarie di ogni Paese. Propongo una legge: vietare gli spostamenti superiori a trecento kilometri a meno che non siano motivati da comprovate ragioni di studio (quindi i viaggi nell'ambito Erasmus diverrebbero illegali) o di lavoro. La civiltà e l'igiene pubblica se ne gioverebbero.
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