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L’ENIGMA della

Post n°32 pubblicato il 25 Agosto 2009 da GeppettoPinocchio
 
Foto di GeppettoPinocchio

AMEDEO RONTEUROLI*

L’ENIGMA della 

Presidente: Amedeo Ronteuroli

Hanno collaborato:

Antonio Anonide, medico;

Fernando Rocca, investigatore privato;

Raffaele Francesca, storico

del C.R.C.

CENTRO RICERCA CRIMINALISTICA

Comitato Scientifico: Via Fiume 4/5 (GE)

cell. 3392260204

 

Una pistola con silenziatore l’arma utilizzata per una serie di omicidi irrisolti ;

i misteri di Savona negli anni della «guerra civile»

Una serie di omicidi e violenze, non solo di matrice politica, caratterizzarono il 1945 in alcuni quartieri della città. Senza un vero colpevole

 

DOCUMENTO La carta che testimonia l’avvenuto arresto di Pietro Del Vento dopo il processo al Tribunale di Savona DAL VENTO Nella foto l’uomo indagato e condannato per alcuni omicidi avvenuti a Savona nel 1945

Dopo due anni di indagini la colpa dei delitti venne addossata a Pietro Dal Vento, fanatico che per difendere il partito fu pronto ad addossarsi ogni responsabilità

L'ultimo periodo della così detta «guerra civile» - 1945 - tolto false retoriche od alcune vicende effettivamente onorevoli, sostanzialmente si presenta con i connotati di una sanguinosa caccia ai ì«vinti» fondata non solo sulla

vendetta quanto su di una carica d'odio sconfinante in un delirio ideologico che si espresse in omicidi ed  efferatezze con picchi di sadismo e perversione pur nulla togliendo alle convenienze e particolarmente quelle economiche. Cioé, soggetti già moralmente limitati o fanatici di parte, non avendo trovato al momento alcun argine all'indole e comportamento trasgressivi o psicotici, poterono delinquere: infatti, in quel contesto sociale e politico confuso e degenerato non esisteva più un sicuro ed univoco riferimento d'ordine che li trattenesse. Riferimento d'ordine che è «il limite» che deve arrivare da fuori, dall'Autorità. Ma, per buona parte del 1945, chi era ormai più l'Autorità? Non certo il vecchio regime in disfacimento né esisteva ancora un nuovo Ordine bensì una vacatio che consentì ad ogni furia ed anche a quella omicidiaria di scatenarsi impunemente sino ad una sorta di licenza di uccidere. Per gli autori di diversi episodi, esaminati alla luce delle attuali classificazioni criminologiche e criminogenetiche, si potrebbe addirittura individuare lo status di serial killer ideologico o  pseudopolitico (v. classificazioni crimini seriali su «Anatomia del serial killer» - De Luca - e su «Tecnica  investigativa » - Lavorino-): ovvero trattasi di coloro che attuano l'omicidio contro una sola categoria di persone (nemici) in modo metodico e sistematico, programmato e sotto spinta di impulsi – suggestioni ideal-politiche.

I caratteri menzionati riguardano quindi anche i componenti della banda autrice delle triste vicende comunemente riunite nel titolo «enigma della pistola silenziosa » e che si snodarono tra Savona e Genova. Soprattutto dopo il 25 aprile 1945 nel savonese vennero compiuti sanguinari misfatti e non solo nei confronti degli ex della ormai defunta Repubblica Sociale ma anche contro benestanti locali o presunti tali. Da una attenta rilettura dei fatti e delle modalità esecutive, emerge la presenza di una sanguinaria banda politica, organizzata in sistema verticistico, dedita all'omicidio con l'uso di pistola calibro 9 di fabbricazione inglese e munita di silenziatore: materiale paracadutato dagli Alleati alle formazioni partigiane montane della zona. Da una attività informativa operata da collaboratori del Centro Ricerca Criminalistica si é concluso che tale arma, utilizzata «ad hoc» di volta in volta, sarebbe infine stata definitivamente nascosta in qualche sede politica ove ancora potrebbe trovarsi ed anzi, interesserebbe almeno anonimamente recuperarla quale reperto di storia criminale e ciò in buona pace che i delitti per cui fu usata non sono più assolutamente perseguibili. I vari sforzi investigativi per risolvere gli omicidi che la stampa dell'epoca chiamò «della pistola silenziosa» furono vanificati dalla palese generalizzata omertà e per l'inadeguatezza strumentale da parte dei pochi elementi qualificati all'epoca in servizio presso la Questura di Savona e che comunque si trovavano abbandonati in uno stato di aleggiante intimidazione.Quindi non si arrivò mai a scoprire nulla: né mandanti né esecutori dei delitti ed ogni prova fu sistematicamente occultata per le coperture di cui godeva quella corrente partigiana localmente più forte dentro la quale tutti sapevano annidarsi gli assassini. Nel savonese, contestualmente agli eccidi di Cadibona ed Altare ed alla strage causata da una bomba lanciata dentro lo stesso carcere di Sant'Agostino, iniziò una sequela di omicidi e violenze molti dei quali perpetrati per esclusivo evidente motivo economico. Esempio atroce ne fu l'eliminazione dell'intera famiglia del Dr. Domingo Biamonti – un facoltoso professionista che abitava con la moglie, la figlia sedicenne, la domestica ed il cane in una villa dell'entroterra -. Nella notte tra il 14 ed il 15 maggio 1945 tutto il gruppo sparì misteriosamente. Successivamente venne fatta circolare la voce che fosse ospite del campo di concentramento di Segno (Vado Ligure): alcuni conoscenti interpellarono a tal proposito l'allora questore di Savona – in quel momento l'alta funzione era rivestita dall'operaio verniciatore Armando Botta! -, sollecitarono la conclusione delle «indagini» per cui i Biamonti sarebbero stati fermati. Fu risposto in modo tranquillizzante e che, anzi, tutta la famiglia sarebbe stata presto rilasciata. Però, quando si andò con un'ambulanza a recuperarla per riportarla a casa, non la si trovò più. Di fatto, alcuni testimoni racconteranno poi che, quella notte, un gruppo di sconosciuti armati si sarebbe effettivamente presentato alla villa dei Biamonti ma poco dopo avrebbero caricato su delle auto solo alcuni pesanti fardelli: per altro, gli stessi testi narrano di non aver udito alcuno colpo di arma da fuoco né grida.

Solo a distanza di qualche mese ci si accorgerà che nel cimitero di Zinola era sorta una nuova tomba intestata ad un mai vissuto «Tosi» e scavando quel sepolcro vi furono rinvenuti la carogna di un cane ed i corpi  decomposti dei Biamonti e della domestica. Per la cronaca, nella villa dei Biamonti contemporaneamente agli abitanti sparirono anche i loro averi. Dalla ricognizione esterna e successivi atti medico legali espletati sui cadaveri si poté stabilire che erano stati attinti da colpi di arma da fuoco: quei colpi che non udì alcuno dei testi successivamente , come vedremo, ascoltati anche in sede giudiziaria. Fu una pistola con silenziatore che dopo pochi giorni , uccise nell'ospedale di Savona il degente cap. Lorenza che si riteneva al corrente di informazioni sul caso: l'ufficiale era cieco per pregresse ferite e comunque venne seguito all'obitorio da altre persone lui collegate ed uccise tutte con le stesse modalità.

Per fronteggiare una situazione così grave e comunque lesiva alla nuova immagine di Stato, il Ministero degli Interni mandò a dirigere l'Ufficio della Questura di Savona il Commissario di P.S. Amilcare Salemi, giovane funzionario nativo di Cosenza, noto per l'estraneità politica e proveniente dall'Ufficio Stranieri della Questura di Como ove si distinse per l'aiuto offerto a numerosi Ebrei perseguitati. Il Salemi inizialmente si dedicò al tentativo di risanamento della Questura che, in pratica, era in mano ad un gruppo di circa 400 ex partigiani tutti già appartenenti a formazioni comuniste. Quindi, iniziò ad occuparsi del caso in questione ed incominciò a procedere verso piste certe giungendo ad individuare mandanti ed esecutori dei delitti sopra raccontati. Ma il segreto che stava scoprendo fu la sua condanna a morte: venne anch'esso assassinato dalla precisamente la sera del 18 novembre 1946 mentre stava cenando nella saletta riservata di un ristorante centrale della città. Il Commissario doveva essere arrivato molto vicino alla verità: lo dimostra che, cotemporaneamente al suo assassinio, sparirono dal suo Ufficio tutti i fascicoli e gli appunti relativi al giallo cui stava lavorando e comunque gli atti non furono mai più ritrovati. L'impressione per questo delitto fu grande, seguì una imponente mobilitazione dal Ministero del Interni che, tuttavia, non ebbe alcun riscontro degno di nota.

Anzi, la   continuò indisturbata – ne è esempio l'uccisione avvenuta in Vado Ligure di tale Rosa Amodio di anni ventitrè e che qualcosa conosceva circa il caso Biamonti -.A questo punto, le indagini Ven nero affidate esclusivamente ai Carabinieri di Genova e l'Arma si impegnò con iniziative di forte serietà delle quali la prima conseguenza fu che il 17 dicembre 1947, verso le ore 20, il cap. Pietro Zappavigna mentre scendeva dall'auto di servizio in piazza della Vittoria di Genova venne raggiunto da una raffica di pallottole partite da una pistola con silenziatore nascosta dietro il colonnato della medesima piazza. L'ufficiale, nonostante le gravissime ferite riportate, riuscì a salvarsi. Morì invece una guardia notturna – certo Domenico Cevasco - che casualmente transitava a pochissima distanza dalla macchina dei Carabinieri. Questo episodio fu l'epilogo della «pistola silenziosa» e di essa non se ne parlò più sino a che nel gennaio 1948 un tal Pietro Dal Vento, panettiere di Sanremo si accusò degli omicidi Salemi-Lorenza-Amodio indicando quali mandanti due ex partigiani comunisti savonese (certo Bisio Dalmazio e certo Genesio detto «Tigre»). Alla lettura dei fatti non sfugge che, evidentemente, le indagini dei Carabinieri erano riservatamente ben proseguite e stavano concludendosi verso una cerchia di individui ben definita: allora, per confondere le acque, i futuri imputati opereranno un depistaggio utilizzando il Dal Vento – soggetto gravemente ammalato di TBC, pericoloso fanatico capace di addossarsi colpe non sue pur di favorire i disegni del partito -. Che si trattassse di un preciso disegno depistante demandato

ad un attore psichiatrico lo si capì comunque da subito: il panettiere, messo a confronto con i due da lui accusati, ritrattò addebitandosi tutte le colpe nel corso di una confessione contenente comunque molti elementi inventati. Tuttavia, a seguito anche di alcuni riscontri apparsi veritieri, il Dal Vento – subito trasferito per opportinità al carcere di Genova – Marassi – venne rinviato a giudizio e comparve nel novembre 1952 avanti la Corte d'Assise di Savona. Fu un processo confuso e male condotto, le parti civili erano impaurite, i testi si dimostrarono reticenti o di poco interesse. L'imputato fu condannato a trent'anni di reclusione e la sua figura finì per perdersi nel circuito delle carceri sino alla sua veloce morte preannunciata dalla grave patologia di cui soffriva.

Se anche il Dal Vento fosse stato effettivamente coinvolto nella saga di sangue, non ne fu il solo protagonista come avrebbe inteso far credere bensì, dati i suoi limiti, avrebbe soltanto avuto una funzione marginale ed il suo accondiscendente utilizzo é da riportarsi solo nel progetto di fuorviare le indagini – cosa riuscita anche perché così evidentemente deciso nelle alte sedi – al fine di chiudere un capitolo la cui continuazione sarebbe diventata pericolosa per il partito e la sua epica immagine resistenziale ed avrebbe comunque condotto in Assise ben altri personaggi. Di tutta la vicenda, oltre che le vittime assassinate, rimase la figura decorosa ma vivente di un'altra vittima: la moglie del povero commissario Salemi che anche durante il processo in Assise venne più volte avvicinata da sussurri minacciosi. Questo saggio é opera del Centro Ricerca Criminalistica operante in Genova che, trattandosi di organizzazione apolitica ed apartitica, ha cercato di evitare – sin ove la storia lo conceda – ogni valutazione coinvolgente movimenti e/o partiti. Il lavoro svolto nasce solo da una rivisitazione in chiave storico criminalistico di vicende conclusesi giudizialmente, con sentenze passate in giudicato ed atti giudiziari contenenti argomentazioni certe ed a tutt'ora depositati presso le sedi competenti. Nell'opera, quindi, non vi é stato revisionismo ma si snoda sulla semplice rievocazione meditata di episodi criminosi  .

*Presidente Centro Ricerca Criminalistico

 

 
 
 

De Martino, La Diplomazia dal 1811 al 2009

Post n°31 pubblicato il 05 Agosto 2009 da GeppettoPinocchio

De Martino, la diplomazia dal 1811 al 2009

Renato de Martino –La vita e l'attività del Consolato napoletano in Tunisi sono rese con maggiore vivacità e ricchezza di particolari soprattutto con la destinazione a quella reggenza del già citato Renato de Martino, nipote di Mariano Stinca. Nel carteggio consolare sono conservati, tra l'altro, i decreti con i quali Gioacchino Murat, durante l'occupazione francese di Napoli, nominava Renato de Martino prima console provvisorio(17/01/1812) e poi Console generale (09/04/1812), in sostituzione di Nicola Quagliarelli che era stato destinato a quella sede nell'ottobre del 1810 .

La caduta di Napoleone e la restaurazione dei Borboni sul trono di Napoli non portarono alterazioni nel Consolato di Tunisi che restò affidato alle mani sagaci del de Martino. La già menzionata spedizione  della squadra navale inglese dell'ammiraglio Exmouth ebbe,come se in altra parter accennato,l'effetto di indurre il Bey di Tunisi a firmare un regolare trattato di pace con Napoli .

Le relazioni tra i due Paesi che durante il periodo napoleonico erano state condizionate dall'appoggio francese per la parte continentale del regno delle Due Sicilie e dall'appoggio inglese per la parte insulare(cioè la sicilia), tornarono a svolgersi su un piano normale ed unitario .

Salvo alcune questioni di scarso peso politico e salvo quella più grave del 1833, tali relazioni durarono senza interruzione fino alla caduta del regno borbonico determinata dalla spedizione garibaldina dei Mille

La crisi del 1833 provocata da alcune pretese tunisine nei confronti del regno delle Due Sicilie e di quello di Sardegna, fu risolta con l'invio nelle acque della Reggenza di una spedizione navale sardo-napoletana; il fermo atteggiamento delle due potenze cristiane convinse il Bey di Tunisi a non insistere nel suo atteggiamento e a concludere un rapido accordo. Sempre nell'ambito di questa azione, i poteri conferiti da Ferdinando II° al Comandante Caracciolo consentirono a quest'ultimo di stipulare  il 17 novembre 1833 un trattato di commercio tra Napoli e Tunisi ed una convenzione destinata a regolare il trattamento dei sudditi delle Due Sicilie che si fossero recati un Tunisia .

(19) Ciò in esecuzione di una convenzione stipulata nello stesso 1833 dai governi Sardo e Napoletano in base alla quale le due parti si impegnavano a nmettere insieme le loro forze per una comune difesa od offesa contro la Reggenze nord-fricane .

De Martino Giacomo. - Uomo politico (Tunisi 1811 - Pontedera 1877). Fu rappresentante diplomatico delle Due Sicilie a Roma e a Londra, e nel 1860, come ministro degli Esteri nel gabinetto costituzionale di Francesco II, tentò invano di migliorare, tra l'altro incontrando a Fontainebleau Napoleone III, la difficilissima situazione internazionale della monarchia. Si dedicò poi ad attività industriali (diresse, dal 1868, le Ferrovie romane); deputato al Parlamento dal 1865.

Il duca di San Martino nel 1853 era a Roma come aggiunto della rappresentanza del Regno delle Due Sicilie a palazzo Farnese.Morì proprio in Palazzo Farnese nel 1904 . Fedelissimo ad i Borboni, era noto nei salotti romani per il suo carattere vivace.

La confusione tra il duca di San Martino e Giacomo De Martino è probabilmente dovuta non solo all'assonanza dei nomi ma anche per alcune comuni caratteristi che fisiche(entrambi erano di piccola statura)e caratteriali(prontezza di spirito e vivace conversazione) .Gelasio Caetani, che tentava diversi decenni dopo, di individuare i personaggi raffigurati negli album, potè incorrere in questo errore.D'altronde non fu l'unico ad avere difficoltà; anche Ada Caetani pur avendo chiesto aiuto per le identificazioni al vecchio Camillo Capranica, che aveva potuto conoscere di persona molti protagonisti della vita romana ottocentesca, non sempre riuscì ad individuare correttamente i soggetti delle caricature di Filippo sui fogli dell'album, molte sono le correzioni apportate ai nomi, segno di alcune incertezze .

Giacomo De Martino, nato nel 1811 , avviato come il padre, Console borbonico a Tunisi, alla carriera diplomatica, fu prima a Tangeri poi a Marsiglia, nominato poi ambasciatore a Rio de Janeiro, riuscì a non recarvisi e farsi trasferire a Roma nel 1855, come incaricato d'affari del Regno delle Due Sicilie. Vi rimase fino al 1859 ;di matrice liberalmoderata e malvisto dalla componente più conservatrice del regno, nel 1860, dopo il suo ritorno a Napoli,tentò di avviare una nuova politica estera, tendente a realizzare un accordo con il Piemonte ed a ottenere la protezione di Napoleone III° . Nominato Ministro degli esteri, tenne questa carica solo per due mesi nel nuovo governo costituzionale presieduto da Spinelli, tentando invano di trovare un accordo antigaribaldino con Cavour . Dopo la battaglia di Milazzo continuò disperatamente la trattativa ritirandosi dalla politica fino al 1865 .

Vi rientò in quell'anno come deputato, essendo stato rieletto ininterrottamente dalla IX alla XIII leggislatura. Direttore della società delle strade ferrate romane, non la condusse in maniera ottimale, non essendo estraneo a sprechi e disordini amministrativi. La società fu chiusa nel 1873. Il De Martino morì qualche anno dopo, nel 1879, a Pontedera .

 S. E. il Barone GIACOMO DE MARTINO - Nuovo Ambasciatore d'Italia a Washington -

EVERY SHIP THAT COMES TO AMERICA GOT ITS CHART FROM COLUMBUS - EMERSON

COLUMBUS THE MAGAZINE OF ITALO - AMERICAN RELATIONS

137 GKAND STREET, NEW YORK. S. U. A.

•PER FAR CONOSCERE L'ITALIA ALL'AMERICA E L'AMERICA ALL'ITALIA" - V. CAMPORA

Come la stampa americana saluta l’arrivo del nuovo Ambasciatore N.H. GIACOMO De MARTINO

(Traduzione del COLUMBUS)

Le nomine alle più alte cariche nel servizio diplomatico d" Italia sono determinate per giudizio personale del Presidente dei Ministri o del Ministro degli Affari Esteri anziché per anzianità. Ciò è semplicemente naturale, poiché lo statista il quale è responsabile verso il sovrano e verso la nazione della direzione degl'interessi del proprio paese e della politica estera, preferisce naturalmente di avere come Ambasciatori nelle principali capitali del mondo uomini che siano intimamente a conoscenza delle sue vedute, che seguano le sue direttive, e sulla cui lealtà egli possa fare assegnamento per il compimento dei suoi piani. Poiché la scelta fatta dal Presidente Mussolini a successore del popolare Principe Gelasio Caetani, come Ambasciatore d'Italia negli Stati Uniti, é finalmente caduta sul Commendatore Giacomo De Martino, possiamo aspettarci che la missione di quest'ultimo sarà di carattere permanente, e Washington ha ogni ragione di congratularsi per la scelta, che é stata decisa solamente dal "Duce", come è chiamato il presente Primo Ministro dai fascisti , dopo il più accurato e meditato esame. Non si può negare che il nuovo Ambasciatore é forse il più abile membro del corpo diplomatico italiano. E mentre non può vantare un lignaggio che dati da più di mille anni in linea diretta, come Don Gelasio Caetani i cui antenati furono Duchi di Gaeta cento anni prima che i Normanni conquistassero l'Inghilterra e diedero due Papi, cioè Gelasio II e Bonifacio VIII al Pontificato, tra gli anni 1100 e 1300, Don Giacomo De Martino rappresenta l'ottava generazione della sua famiglia al servizio della diplomazia Napoletana ed Italiana. Il nonno del nuovo Ambasciatore fu l'ultimo Ministro degli Affari Esteri del Regno di Napoli. Uno dei suoi zìi fu Ministro Plenipotenziario Italiano in Egitto durante il Regno del Kedivé Ismail e fu presente in quella epoca all'apertura del canale di Suez, mentre il padre di Don Giacomo morì a Tokio come Ministro plenipotenziario.

La sorella del nuovo Ambasciatore sarà ricordata con piacere a Washington come l'affascinante moglie di quel Conte Albert von Quadt, per qualche tempo incaricato d'Affari dell'Ambasciata Tedesca presso gli Stati Uniti, dove la situazione divenne alquanto imbarazzante dopo l'arrivo in qualità di Ambasciatore del defunto Barone Speck von Sternberg, a causa del fatto che la Contessa, come moglie di un rampollo di una delle già piccole case regnanti d'Europa, era in rango superiore all'Ambasciatrice. Il Conte von Quadt, che si ritirò dal servizio diplomatico col grado di Ministro Plenipotenziario e di membro del Consiglio Privato Imperiale, attualmente ha stabilito con la sua consorte italiana la propria residenza nel suo pittoresco castello di Moos, vicino Lindau, grande e bella tenuta sulle rive del Lago di Costanza.

COLUMBUS

Il nome di De Martino è familiare alla più vecchia generazione di editori e proprietari di un grande numero dei  maggiori giornali degli Stati Uniti. Poiché il padre del nuovo Ambasciatore, che trascorse una considerevole parte della sua carriera diplomatica nell'Estremo Oriente, mentre era Ministro a Pechino, fu improvvisamente sospeso dall'ufficio con qualche pretesto, in seguito all'avvento al potere in Roma di un ell'Oriente scrivendo per i giornali quotidiani americani. Fu mia buona fortuna d'essere in grado, alla richiesta di sua figlia la Contessa von Quadt, allora a Washington, di procurare ad un certo numero di grandi giornali e di sindacati giornalistici i suoi servizi di corrispondente, che furono particolarmente importanti per la ragione che 1e sue furono una fonte di informazioni sulle cose dell'Estremo Oriente. Dopo pochi anni, in seguito ad un altro mutamento di Gabinetto a Roma, ed alla caduta dei suoi avversari dai quali egli era stato assoggettato a sì gretto trattamento, fu riassunto nel corpo diplomatico, nominato "Ministro Plenipotenziario di prima classe al Giappone, e morì mentre reggeva tale ufficio a Tokio.

Suo figlio, il nuovo Ambasciatore italiano negli Stati Uniti, parla l'inglese senza alcuna traccia di accento straniero, poiché, nato a Napoli nel 1868, passò la sua fanciullezza a Londra, dove suo padre era allora Consigliere d'Ambasciata e ricevette la sua prima istruzione in una scuola inglese.Entrò nel corpo diplomatico italiano nel 1891 e vinse le prime difficoltà a Eterna compiendo felicemente i delicatissimi negoziati per la soluzione di controversie Italo-Elvetiche, piuttosto amare, che avevano assunto per qualche tempo forme violente. Nel 1906 fu promosso Primo Segretario di Legazione in Egitto e quattro anni più tardi fu promosso al grado di Ministro Plenipotenziario ed Agente Diplomatico al Cairo. Quivi egli riuscì ad ottenere la vivissma amicizia e, ciò che più importa, la fiducia di Lord Kitchener, che a quel tempo era il più accorto Plenipotenziario inglese della regione del Nilo. E, data la grandissima popolazione italiana di Egitto, fu di molta utilità ed aiuto per il defunto Feld-Maresciallo.Quando per l'Italia arrivò il tempo di riprendere? le relazioni diplomatiche colla Turchia, dopo avere tolto alla Sublime Porta la regione nord africana di Tripoli, Giacomo De Martino fu trasferito dallo Egitto a Costantinopoli, dove rimase fino alle susseguenti guerre balcaniche che portarono i Serbi, i Bulgari ed i Greci alle stesse mura di Stambul, e che precedettero immediatamente lo scoppio della guerra mondiale nell'estate del 1914. Fino al termine di questa egli fu Segretario Generale al Ministero degli Affari Esteri, all'allora Palazzo della Consulta in Roma, e come tale prese parte in tutte le numerose conferenze tra i Presidenti delle potenze della Intesa, a Londra, Parigi e Roma, mentre si svolgeva il conflitto. Dopo il ristabilimento della pace divenne uno dei principali rappresentanti dell'Italia all'epoca del Congresso della Pace di Versailles, dopo, alla ripresa delle relazioni diplomatiche fra l'Italia e la Germania, fu mandato come Ambasciatore a Berlino.

Questa fu per lui una delicatissima e particolarmente difficile missione. Poiché era stato uno dei principali luogotenenti dei Ministri degli Affari Esteri dell'Intesa, il Marchese di San Giuliano ed il suo successore Barone Sonnino, così fortemente legati alla loro politica e con l'abbandono da parte dell'Italia della così detta Triplice Alleanza per la Triplice Intesa, i Tedeschi, il cui risentimento contro l'Italia era segnatamente amaro, gli fecero capire in mille modi diversi che lo consideravano come un nemico e come persona che aveva avuto una grande parte di responsabilità nella loro sconfitta e nella loro sventura. La sua posizione esigeva l'uso del massimo tatto, dignità, pazienza e fermezza. Dopo pochi mesi ricevette la ricompensa con la sua nomina ad Ambasciatore presso la Corte di San Giacomo, dove egli era molto conosciuto e dove era stato sempre bene accetto. Ma non vi stette a lungo.  

 Mentre era persona gratissima alla famiglia reale ed al gran mondo, trovò delle condizioni ufficiali piuttosto difficili, dovute ai dissensi tra il Marchese di Curzon, allora Segretario di Stato per gli Affari Esteri e Lloyd George, allora Presidente dei Ministri, ed alla invadenza di quest'ultimo nella direzione delle relazioni coll'estero del suo governo, seguente una politica che non incontrava l'approvazione di Lord Curzon. Non è un segreto che De Martino dal risultato della sua esperienza durante la guerra e dopo nel Congresso della Pace di Versailles, non precisamente si schierò in favore dell'allora Presidente dei Ministri. Lloyd George, ed è probabile che in considerazione di ciò Mussolini, rievocando le forti amicizie fatte dal padre dell'Ambasciatore in Giappone durante la sua permanenza colà quale corrispondente di giornali americani ed ulteriormente come Inviato, mandò in tutta fretta Giacomo De Martino lontano nel Giappone, dove era necessario di avere un uomo del cui tatto ed esperienza il Dittatore potesse assolutamente fidarsi. Avendo compiuta la sua missione con molto successo, contribuendo a rialzare il prestigio dell'Italia nell'Estremo Oriente in un periodo particolarmente critico, egli riceve ora la ricompensa con il suo trasferimento a quella che agli occhi degl'italiani è divenuta forse la più importante di tutte le ambasciate d'Italia all'estero quella di Washington. Infatti, mentre le ambasciate d'Italia in Europa non presentano seri difficoltà perchè sono relativamente vicine per potere giungere a Roma ed avere degli abboccamenti personali con il Presidente ed il Ministro degli Affari Esteri, il che è molto più soddisfacente delle comunicazioni scritte, l'Ambasciatore di S. M. il Re Vittorio Emanuele presso le rive del Potomac è spesso costretto a prendere delle decisioni senza attendere a lungo istruzioni dalla patria, ed inoltre è incaricato di tenere il suo governo continuamente intimamente informato dei costanti e caleidoscopici cambiamenti della situazione politica ed economica locale. Il Principe Caetani ancora celibe, lascia gli Stati Uniti, per intraprendere quello ch'egli pensa sia la principale occupazione della sua vita, cioè il prosciugamento delle vaste paludi Pontine, vicino Roma, che appartengono alla sua famiglia. Impresa questa che Cesari e Imperatori e Papi e Cardinali e Duchi della sua casa hanno tentato invano da due mila anni o più, allo scopo di liberare la Città Eterna dalla maligna febbre malarica che è la maledizione dei suoi pittoreschi dintorni, progetto nel quale ora è investito capitale americano e che, se realizzato, sarà grandemente dovuto all'esperienza d'ingegneria che il Principe acquistò alla "Columbia University", di New York e nelle grandi aziende minerarie degli Stati occidentali d'America. Il suo successore, Comm. Giacomo De Martino, ha una avvenente moglie nella persona di sua cugina Donna Antonietta De Martino, che sarà certamente una nuova ospite molto gradita del Corpo Diplomatico di "Washington.

{New York Times)

ANNO 2009

GianLudovico De Martino di Montegiordano  Tra gli incarichi ricoperti nel corso della carriera, dopo un periodo presso la Direzione Generale Cooperazione Culturale Scientifica e Tecnica, dal 1981 ha prestato servizio a Seoul.

Dal 1983 è stato vice console a Londra e, dal 1984, console nella stessa sede. Dal 1985, poi, ha prestato servizio a Mosca come primo segretario commerciale.

Rientrato a Roma nel 1988, è stato Capo Ufficio Stampa del presidente del Senato. Reggente il Consolato Generale in Leningrado dal 1990 è stato poi confermato, nel 1992, a San Pietroburgo (già Leningrado) come console generale.

Dal 1995 è stato primo consigliere a Parigi. Rientrato a Roma nel 1998 ha prestato servizio alla Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo e, in seguito, presso la Direzione Generale degli Affari Economici. Capo della Delegazione diplomatica speciale a Baghdad dal 1999, nel 2003 è stato insignito dell’onorificenza di Commendatore dell’Ordine al Merito della Repubblica e nominato ambasciatore nella stessa sede nel 2004.Rientrato a Roma nel 2006, è stato Coordinatore della "Task Force Iraq".

 

 
 
 

CORREVA L’ANNO 1862

Post n°30 pubblicato il 31 Luglio 2009 da GeppettoPinocchio
 
Foto di GeppettoPinocchio

<1>La conversione ducato borbonico-lira italiana.

da : LA GRANDE TRUFFA DEL CAMBIO.

di ENZO REGINA.

 La conversione ducato-lira avvenne in virtù della legge 786 del 24 agosto 1862. Essa è a mio avviso la causa “storica”, sotto il profilo valutario, che ha determinato quella condizione di depressione del Mezzogiorno d’Italia che prese il nome di << Questione Meridionale>>.

I sistemi monetari bimetallici sono caratterizzati da due grandezze : il peso e il titolo monetario. Gli economisti monetaristi l’uno lo interpretano come valore di consumo e l’altro come valore di scambio. Ora, se si vuole procedere alla conversione tra monete diverse, occorre tener conto non solamente del peso delle monete impegnate, ma anche dei titoli vigenti nel sistema monetario assorbito : qualora non tenessimo conto di questo realizzeremmo si una unificazione monetaria ma non avremmo realizzato l’unificazione valutaria. In altri termini operando in siffatto modo, rimane unificata la produttività interna ma non quell’esterna, cioè il costo anticipato e non il ricavo in quanto si stabilisce una ragione di scambio errata nei rapporti bancari e commerciali tra le aree preesistenti l’unificazione. Ciò premesso, i titoli legali allora vigenti per l’oro e l’argento per la lira italiana erano di 900 millesimi. Il sistema era uniformato a quello del franco francese, notoriamente bimetallico zoppo ( per i non addetti ai lavori chiariamo che un sistema monetario è bimetallico zoppo quando non c’è costanza di rapporto fra i valori dell’oro e dell’argento ). Il sistema monetario del Regno delle Due Sicilie era da riguardarsi come un sistema bimetallico con il ducato ancorato al prezzo dell’argento : i titoli legali valevano 833,33 millesimi per l’argento e 996 millesimi per l’oro. Quindi : lira per l’oro 900 per mille; lira per l’argento 900 per mille. Ducato per l’oro 996 per mille; ducato per l’argento 833,33 o 834 per mille.

Le conseguenze furono:

1)      plusvalenza per l’oro a vantaggio del ducato di 96 millesimi;

2)      minusvalenza per l’argento a svantaggio del ducato di 66 millesimi.

Ne discese che bilanciando la valuta-costo in oro e la valuta-ricavo in argento ( il ducato era ancorato al prezzo dell’argento ) avemmo una plusvalenza di costo pari al 30 per mille cioè il 3 per cento a carico dell’area meridionale

Le questioni economiche, in particolare quelle monetarie, sono sempre un po’ complesse. Volutamente tacerò ( potrà formare oggetto di un’altra riflessione ) della rottura esistente all’interno dell’area del Ducato nella circolazione bancaria tra il Banco Regio dei Domini al di qua del Faro ( Banco di Napoli ) e il Banco regio dei Domini al di là del faro ( Banco di Sicilia ) dovuta a una circolazione bancaria unica ma con due casse, una di Stato (Banco di Napoli) e una privata (Banco di Sicilia). Come pure tacerò (dovremmo tirare in ballo l’eccesso di parità aurea della lira egiziana…) del dato originalissimo di aliquota di sovraccosto che coincise con la plusvalenza di tutta la circolazione mondiale dell’epoca: il che conferma la tesi di illustri monetaristi che la rottura della circolazione tra i Banchi di Napoli e di Sicilia fu rottura tra un’area Nord Euro-Americana e un’area Sud Afro-Asiatica nella cui eliminazione si è fatta consistere la pianificazione valutaria internazionale.

Tornando a noi, ritengo che il cambio ducato-lira per come venne assunto 4,25 (4,24) lire per ducato fu un cambio errato. Era un cambio di banconote che doveva essere rettificato come cambio di valuta con un incremento a favore del ducato del 3 per cento.

E cioè : 1,03 x 4,25=4,3775 lire per ducato.

Ricordiamo che quattro anni dopo (nel maggio 1866) la lira venne dichiarata inconvertibile ( di una inconvertibilità interna) e la plusvalenza del 3 per cento rimase all’interno dell'area   segue<2>

CORREVA L’ANNO 1862segue<2>

da : LA GRANDE TRUFFA DEL CAMBIO.

                                                        di ENZO REGINA.

 

                              CONSEGUENZE GRAVISSIME!

 

Le conseguenze furono:

1)      maggiorazione del tasso di sconto;

2)      sovraccosto dei trasporti;

3)      sovrimposta di consumo;

4)      e<< last but not least>> la plusvalenza valutaria all’esterno dell’area meridionale di conseguenza richiamava altrove la giacenza bancaria in virtù della maggiore valuta con interesse maggiore a vista sui risparmi.

Tutto ciò impedì la formazione di capitali nel Sud-Italia bloccando l’espansione industriale e commerciale secondo quel ritmo accelerato che ha caratterizzato lo sviluppo economico delle regioni del Nord. Ricordo che nel Sud Italia, dive c’era stata la prima ferrovia italiana, i Guppy avevavo cominciato a stanziare grossi investimenti industriali quando intere aree del Nord erano ancora ad economia prevalentemente rurale.

Le considerazioni finali attengono alle dinamiche di investimenti e reddito che si dovrebbero fare partendo non dal capitale ozioso ( quello che gli economisti chiamano “ Hot Money”) ma dalle unità di reddito risparmiate e dovrebbero svolgersi in equilibrio tra produzione e consumo, reddito e capitale.

A mio avviso in economia non si può rimanere in un ambito rigorosamente scientifico bensì anche di elevazione individuale perseguendo il superiore fine della civiltà umana che l’Artiere Galileo ci ha mostrato. Cioè non possiamo interpretare la realtà che ci circonda adeguandovi il ns. pensiero senza stabilire la finalità da raggiungere. Anche nel campo sociologico gli indirizzi oggi prevalenti non sono quelli positivisti di Comte o di Durkheim bensì quelli etico-umanistici di Sturzo e di Timasheff, in quanto si è compreso che ogni speculazione teorica deve tener conto di tutto l’uomo : sinolo stupendo di spirito e di materia. E il sinolo uomo deve lasciare agire in sé il Creatore che silenziosamente ma attivamente opera, e non anteporsi a Lui.

Se il fine dell’Italia del 1862 e del 1866 rispetto alla questione della conversione Ducato-Lira e del Debito pubblico integrato fosse stato anche etico,

OGGI NON CI TROVEREMMO DI FRONTE AL SOTTOSVILUPPO DEL SUD E A UN’ITALIA A DUE VELOCITA’.

 

 
 
 

UN POCO DI CULTURA TECNICA: Idraulica e Depurazione

Post n°29 pubblicato il 22 Luglio 2009 da GeppettoPinocchio
 
Foto di GeppettoPinocchio

CARI AMICI del BLOG , vorrei tenere allenata la mente per quanto esercitavo negli anni verdi della mia professione; ora che gli anni diventano sempre più "argentei" sento il bisogno di comunicare con qualcosa di utile a chi vuole ancora operare nel campo della Impiantistica Idraulica, nella Depurazione Biologica e nel Trattamento delle Acque ad uso umano ed alimentare .

Vi sarei grato se mi rimetteste tramite facebook quesiti generali e particolari, scrivendo su Facebook a :

Bruno DeMartino

MastroGeppetto

Vi risponderò nei primi tempi, celermente a partire dal 5/09/2009, poi vedremo .

Cordiali saluti, MastroGeppetto

 
 
 

LA DEPURAZIONE A NAPOLI

Post n°28 pubblicato il 03 Luglio 2009 da GeppettoPinocchio
 
Foto di GeppettoPinocchio

Hydrogest: «Pronti a lasciare gli impianti».

 

fonte: Corriere del Mezzogiorno 23- 04- 2009

 

(Fabrizio Geremicca) «Siamo pronti ad andar via anche domani. Ci stiamo rimettendo la faccia e temiamo conseguenze penali. O la Regione Campania ci garantisce quanto prima le condizioni per gestire i depuratori secondo le regole, o risolveremo unilateralmente la convenzione». Enzo Papi presidente di Hydrogest (già top manager della Cogefar Impresit, arrestato da Di Pietro durante tangentopoli nel ’92 per corruzione e finanziamento illecito dei partiti) fa i conti con il bubbone dei cinque depuratori gestiti dalla sua società: Acerra, Cuma, Napoli Nord, Villa Literno e Marcianise. Impianti che cadono a pezzi nonostante nel 2003 la sua società (controllata al 90% da Termomeccanica) abbia vinto la gara di appalto proprio per adeguare gestirli. Ieri, mercoledì, Papi ha partecipato al convegno sul ciclo integrato delle acque — promosso dall’assessore all’Ambiente di palazzo Santa Lucia Walter Ganapini — e ha lanciato il suo ultimatum alla Regione «Materialmente — ha spiegato— noi abbiamo iniziato a gestire i depuratori a novembre 2006, perché, per tre anni siamo rimasti in attesa che il Tar si pronunciasse sul ricorso degli altri concorrenti. Avremmo dovuto investire certo, ma il Commissariato alle Acque avrebbe dovuto girarci i canoni per la depurazione fognaria dovuti dai Comuni o dagli enti che gestiscono per conto di questi ultimi la distribuzione dell’acqua. Non abbiamo avuto mai nulla. Vantiamo un credito di 50 milioni e intanto abbiamo dovuto fronteggiare le spese correnti, a cominciare dal pagamento degli stipendi ai circa 450 dipendenti». Ammette: «È vero, i depuratori che abbiamo ereditato sono altamente degradati. Nessuno di essi è in possesso delle autorizzazioni allo scarico, o forse solo qualcuno, ma con mille eccezioni». Aggiunge «Non accetteremo di rimanere in questa situazione inerti, esposti alle inchieste della Procura e alle critiche dell’opinione pubblica».

A palazzo Santa Lucia Hydrogest chiede di rivedere la convenzione stipulata nel 2003 e di garantire nei confronti delle banche il credito vantato dalla società. In questo modo, è la tesi del gruppo partecipato al 40% da Banca Intesa, gli istituti di credito potrebbero finanziare gli investimenti indispensabili alla manutenzione dei depuratori e alla rifunzionalizzazione degli stessi, prevista dal project financing varato nel 2003. Intanto, dopo la denuncia del Corriere del Mezzogiorno, qualcosa si muove. Oggi sopralluogo congiunto dei tecnici del concessionario e della Regione, per stabilire tempi e modalità di instazione ldelle 4 coclee (servono a sollevare l’acqua) nell’impianto di Villa Literno. Le vecchie sono guaste da due anni. Le nuove, acquistate da mesi, non sono state ancora installate. Secondo Hydrogest, perché non sono ancora arrivate le autorizzazioni necessarie dalla Regione, la quale, però, nega che fossero necessarie. Non c’è solo il caso dei depuratori gestiti da Termomeccanica, peraltro nella Campania dove un chilometro su cinque di litorale è interdetto alla balneazione, perché inquinato. Nelle foto sopra i casi clamorosi di «acqua» colorata alla foce degli scarichi, quasi sempre in corrispondenza dei depuratori «Nel salernitano — denuncia l’assessore Ganapini, — ad Angri ed a Nocera, mancano da anni gli ultimi pezzi della rete fognaria, indispensabili a chiudere adeguatamente il sistema depurativo. Il depuratore di San Giovanni, a Napoli ha bisogno di interventi urgenti e radicali, peraltro già previsti. A Ercolano e Torre Annunziata non ci sono ancora gli impianti di sollevamento, indispensabili a trasferire i liquami fognari nel collettore costiero». Non è un caso che il mare compreso tra Portici e Castellammare — tuffi proibiti ovunque — sia l’altro grande ammalato, in Campania dopo quello che bagna la costa casertana. Sversamenti illegali (clamoroso l’esempio dei Regi lagni) e impianti di depurazione tutt’altro che efficienti: ecco perché, lungo 82 km di costa, anche l’estate 2009 sarà ricordata per il mare negato.

 Scandalo depuratori, scontro tra commissariato e Regione.

 fonte: il Corriere del Mezzogiorno, 24-04-2009 14:40

 

(Simona Brandolini) Hydrogest e assessore da una parte, commissariato alle bonifiche e tutela delle acque dall’altra. E non è un piacevole incontro.

«È meglio chiarire definitivamente un equivoco. Le competenze una volta del commissario, ora sono tutte passate agli enti locali competen­ti, Regione in testa». Ad affermarlo con forza è il vicecommissario Claudio Cicatiello. «Scemenze », la risposta secca dell’assessore regionale competente, Walter Ganapini. Come se non bastasse il mare rosso, pure le polemiche. O le po­lemiche scoppiano per il mare rosso? Negli anni abbiamo imparato che la burocrazia è una macchina lenta, nei cui meandri si perdono le responsabilità. I rifiuti sono stati il simbolo di un quindicennio. I depuratori e la tutela delle acque lo saranno del prossimo. Capire perché il mare non bagna la Campania è impresa ardua. Prendiamo il caso del depuratore di Villa Li­terno uno dei cinque gestiti dalla società Hydrogest con un project financing. Da un pa­io di giorni il Corriere del Mezzogiorno se ne sta occupando. La conclusione evidente di una vicenda annosa è il mare inquinato. Abbiamo scoperto che le coclee, ovvero grosse viti che servono a sollevare le acque reflue, erano state acquistate da mesi e mai installate. Perché la Hydrogest pretende dalla Regione 50 milioni di euro arretrati, frutto delle tariffe di depurazione che i cittadini pagano, altrimenti, minac­ciano, rescinderanno il contratto. Ora chi deve questi soldi alla Hydrogest? Non certo il com­missariato. «Noi gestiamo — spiega Cicatiello — il completamento di una quindicina di ope­re, eredità degli anni ’70, e dobbiamo seguire il trasferimento delle competenze. Ma di fatto tutti i poteri già sono in mano agli enti competenti ». Regione, comuni, Ato. «Il punto nodale è che non esiste un ciclo unitario dell’acqua». Non s’incontrano chi incassa e chi spende. Su questo l’assessore regionale Ganapini è d’accordo. «Entro l’anno dobbiamo arrivare al gestore unico», spiega. Però sul resto no. «Il nodo dei nodi è che questo credito l’Hydrogest lo vantava nei confronti del commissario. Perciò dico che sono scemenze di cui renderanno conto a consuntivo del loro lavoro. La Regione alla scadenza del commissariato ha chiesto pieni poteri. Loro hanno voluto e ottenuto una proroga. Non sono Giovanna d’Arco, ma non possiamo essere presi in giro. Io mi sto occupando di una questione di cui da anni dovevano occuparsi loro». Quanto all’importo, fatti i dovuti calcoli, Ganapini dice che la Regione deve una quindicina di milioni ad Hydrogest, «mettendo in conto gli investimenti che dovevano realizzare».

 

 

 
 
 
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