Creato da Karmelia il 19/02/2007
Il mito e l'antica cultura della Dea Madre
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Nel secolo scorso ha avuto inizio un movimento di pensiero che ha ipotizzato la preesistenza all’insorgere del patriarcato dominante nella storia dell’Occidente, di un’epoca matriarcale, approssimativamente tra il 30.000 e il 3000 aC, che ruotava attorno al culto della Grande Madre.
Secondo questi studi, gli albori della storia umana sono stati contrassegnati dall’impronta unificante di una Grande Dea che governava e governa il ciclo delle stagioni, la fertilità della terra del bestiame, i moti della luna e delle maree come il ciclo femminile, e che in generale scandiva il ciclo continuo nascita – morte – rinascita che caratterizza la vita[1].
Il culto della Grande Dea ha trovato espressione in una proliferazione di immagini sacre e rituali di chiaro aspetto femminile, “collegate a tutti i principali momenti ed aspetti dell’esistenza umana, dalla nascita all’iniziazione, dal matrimonio, alla riproduzione e alla morte”[2].
Questa venerazione per la Grande Dea è verosimilmente incominciata nel Paleolitico, epoca in cui si è espressa attraverso una pletora di reperti archelogici. In particolare, la studiosa Gimbutas ha costruito una “sceneggiatura iconografata della religione della Grande Dea nell’Europa antica, consistente in segni, simboli e immagini di Divinità”[3].
Essa era raffigurata nella sua cosmologica funzione generativa, attraverso le note ‘Veneri paleolitiche”, o come le statuette dell’Europa neolitica o dell’Età del Bronzo cretese, cercando anche analogie con la Dea nell’Asia pre – vedica, in Egitto e in Mesopotamia. Tuttavia, secondo Gimbutas, le Dee ereditate dal Paleolitico, come le greche Atena, Era, Artemide e Ecate e le romane Minerva e Diana, non erano solo datrici di vita come reggitrici di morte, ma molto di più, essendo in quanto tali regine e signore.
In particolare, nel Neolitico la Dea assunse i volti di datrice di nascita, rappresentata nell’atto di partorire, come datrice di fertilità che influenza la crescita e la moltiplicazione, ritratta incinta e nuda, o come datrice di nutrimento e protezione, rappresentata come donna uccello con seni e natiche sporgenti; oppure venne connessa alla forza vitale ctonia, rappresentata dalla dea serpente, come simbolo di vita e in quanto tale estremamente benevolo (solo in epoca successiva, nell’ambito di una cultura misogina e sessuofobia, rovesciato in un’espressione negativa e peccaminosa); era anche rappresentata nella sua speculare espressione di reggitrice di morte, ritratta come nudo e rigido osso, o attraverso i suoi simboli, ovvero vulve, triangoli, seni, zig – zag, meandri e coppelle.
Dice ancora la Gimbutas: “Simboli e immagini si coagulano attorno alla Dea partogenetica (autogenerantesi) e alle sue funzioni di base di Datrice della Vita, Reggitrice della Morte e – non meno importante – Rigeneratrice, e intorno alla Madre Terra, Dea della Fertilità, che è giovane e vecchia a un tempo, sorgendo e morendo insieme alla vita delle piante”. Questo sistema simbolico si esprimeva attraverso un mitico tempo ciclico, non lineare, che a livello iconografico è palesato dai segni che esprimono movimento dinamico, ovvero spirali rotanti e intrecciate, serpenti, mezzelune, corna, semi germoglianti.
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