Der Steppenwolf

Michela Murgia – Accabadora


  
  "Fillus de anima. È così che li chiamano i bambini generati due volte, dalla povertà di una donna e dalla sterilità di un'altra. Di quel secondo parto era figlia Maria Listru, frutto tardivo dell'anima di Bonaria Urrai." Alla fine l'ho letto  e sono contento. Più di qualcuno mi aveva suggerito questo romanzo, anche se nessuno aveva detto perché valesse la pena leggerlo, dire è bello o simili, vale poco e dice meno.Ma avevo letto delle interviste alla scrittrice e mi era piaciuta come persona, per cui alla fine ho letto questo libro. "Si intrecciava i capelli grigi in piedi, con lo sguardo fisso al vetro della finestra, mentre l'ombra le ricamava sul viso una trama di giorni sottili. Tra quelle pieghe di gonna e di donna Maria intuì per la prima volta la bellezza che non era più, e la ferì l'assenza di qualcuno che ne conservasse memoria." Si, è vero è un "bel" romanzo. Innanzitutto, perché mi ha riportato ad un passato ancora  o forse sempre più vivo nei  miei ricordi, gli anni cinquanta/sessanta, la mia infanzia, la mia giovinezza, con un'aria che forse sogno più che ricordare che è comunque piena di nostalgia, per il "paese", per i ritmi, per il "clima" e gli odori che non ci sono più!Infondo, anche se la storia è ambientata in Sardegna, certe realtà erano vere e vive in buona parte del meridione, la povertà e l'usanza di dare via un figlio da allevare, spesso a parenti non era cosa rara, così e davvero facile entrare subito nella narrazione vedersi in queste strade polverose a giocare con Maria e Andrìa, e dare dello  zio/a, a tutti quelli più grandi di noi! "Stavolta fu Bonaria a tacere per qualche momento. La musica classica che continuava a venire dalla radio non impediva al silenzio di sentirsi." Altri usi e altre figure presenti nel romanzo fanno parte dei ricordi della mia infanzia e rievocano nomi e momenti che avevo dimenticato, forse la vera novità è proprio la figura dell'accabadora, di cui invece non avevo mai sentito parlare.Ma andiamo per ordine. "portandola con sé ovunque si recasse, in modo che la gente potesse ingozzare fino a strozzarla la propria famelica curiosità sulla natura di quella filiazione elettiva." La storia che ci viene raccontata è quella di Maria Listru, quarta figlia di una vedova che fatica a mantenere la famiglia, quindi da in adozione la più piccola, ad una agiata donna del paese, sola e avanti con gli anni, Tzia Bonaria Urrai.La bambina di buon grado va con la nuova mamma, anche perché nella sua famiglia spazi ne aveva pochi o niente, e si sentiva nessuna.Crescerà con la nuova madre, alla quale si affezionerà e dalla quale imparerà il mestiere di sarta, credendo che quello sia il lavoro della Tzia Bonaria, anche se qualche dubbio le viene quando nota delle strane uscite notturne non spiegabili e non spiegate!Cosa fa la Tzia quando esce di notte? Aiuta, pietosamente, chi ormai è più di là che di qua e ha davanti solo inevitabile e sofferenza ad esalare l'ultimo respiro, l'accabadora! Una cosa inimmaginabile. "Quanti anni avesse Tzia Bonaria allora non era facile da capire, ma erano anni fermi da anni, come fosse invecchiata d'un balzo per sua decisione e ora aspettasse paziente di esser raggiunta dal tempo in ritardo." Mentre la bambina si trasforma in donna vediamo altri personaggi entrare nel nostro raggio visivo, per un attimo o per il resto del romanzo, come chi sollecita l'intervento dell'accabadora o come i componenti della famiglia Bastìu, la moglie amica della Tzia, e i figli, Nicola e Andrìa, protagonisti comunque delle vicende narrate!Che quando verrà alla luce sconvolgerà la nostra giovane Maria tanta da indurla a lasciare la vecchia Tzia e a scappare dal paese. "- Non dire mai: di quest'acqua io non ne bevo. Potresti trovarti nella tinozza senza manco sapere come ci sei entrata." La prosa è forte adeguata a ciò che ci racconta, a volte cruda, ricorre raramente ad espressioni dialettali, ma riesce comunque a farci evocare l'ambiente in cui la storia si realizza.Nella prima parte ci imbattiamo in metafore davvero avvincenti e stupefacenti, che donano un fascino particolare allo scritto, ma che nel prosieguo del romanzo diventano sempre più rare, peccato, perché forse erano una nota indelebile di qualità. "Ogni volta che apri bocca per parlare, ricordati che è con la parola che Dio ha creato il mondo."