Der Steppenwolf

Susan Abulhawa - Ogni mattina a Jenin


 "In un tempo lontano, prima che la storia marciasse per le colline e annientasse presente e futuro, prima che il vento afferrasse la terra per un angolo e le scrollasse via nome e identità, prima della nascita di Amal, un paesino a est di Haifa viveva tranquillo di fichi e olive, di frontiere aperte e di sole." La storia la scrive chi vince e, al giorno d'oggi, chi detiene il potere economico, così generalmente noi europei abbiamo una visione parziale di molti conflitti, corrispondente a ciò che ci vuol far sapere il potere economico/politico, il grande fratello! Così è anche di parte l'informazione che ci viene resa su quella che è la situazione ebreo/palestinese. Questo romanzo cerca di riequilibrare questa visione dandoci un  punto di vista che non ci avrebbe altrimenti raggiunto! "Le radici del nostro dolore affondano a tal punto nella perdita che la morte ha finito per vivere con noi, come se fosse un componente della famiglia che saremmo ben contenti di evitare, ma che comunque fa parte della famiglia. La nostra rabbia è un furore che gli occidentali non possono capire. La nostra tristezza può far piangere le pietre. E il nostro modo di amare non è diverso, Amal. Un romanzo molto, molto doloroso, come quasi tutti quelli che ci narrano di conflitti, di stermini, di sopraffazione, di violenza, che ci mostra quanto possa scendere in basso l'uomo, sicuramente il peggiore degli animali, e suscitando in noi un miscuglio di emozioni non ultimo l'odio, o almeno questo è quello che è successo a me, in certi momenti ho sentito di 'odiare', era un sentimento al quale non era abituato, forse un simile moto lo avevo provato leggendo degli Armeni in Anatolia, o di quanto successe a Srebrenica, odio rabbia dolore per i più deboli, non mi sarei mai aspettato queste emozioni, io che se potessi vedere un desiderio realizzato, vorrei la pace tra tutti gli uomini, ma certe cose, non si riescono a metabolizzare. Poco dopo Giordania, Iraq e Siria mandarono qualche tenda e a Jenin sorse un campo profughi, dalle cui colline gli abitanti di 'Ain Hod potevano guardare verso le case a cui non sarebbero mai tornati. Fu così che, otto secoli dopo la sua fondazione ad opera di un generale dell'esercito del Saladino, nel 1189 d.C., a 'Ain Hod non si videro più bambini palestinesi. Bellissimo, ma si corre il rischio di diventare razzisti. Ci racconta di atrocità che ci faranno star male, ma al contempo ci rivela particolari che forse ignoriamo su come vanno lette alcune notizie che ancora oggi ascoltiamo nei notiziari!Più che avvincente, scorrevole per quel che riguarda la scrittura, forse meno per quel che riguarda i contenuti, ogni tanto bisogna riprender fiato.Assolutamente da leggere Essendo cresciuta in un panorama di sogni improvvisati e astratti desideri patriottici, tutto mi sembrava transitorio. Non si poteva fare affidamento su niente, né sui genitori, né sui fratelli o le sorelle, né sulla propria terra. Nemmeno sul proprio corpo, visto com'era vulnerabile ai proiettili.