Creato da tobias_shuffle il 31/05/2013

Incursioni

Il blog di chi non dimentica

 

 

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Post n°271 pubblicato il 20 Febbraio 2017 da tobias_shuffle











Vocali

L'aspetto era quello di navi gotiche
bacelli di fronzuta, argentea radica
scivolavano tra intarsi e rientranze
lavorate con largo gusto da maestri
squattrinati. Io aspettavo la Tormenta
mentre il padrone di casa si ostinava
a sciorinarmi dei tesori che per me
avevano ormai lo stesso valore di un
occhio allenato, e di un silenzio contrito.
Lei era uscita a marzo senza più tornare
se non per le anticamere della percezione
quando mi rapprendevo a un sonno antico,
pascolavo confuso, posso dire, le mie greggi
e tutt'intorno si faceva quiete innaturale
prima dell'esplosione di una rabbia primeva,
gli asfalti celesti erano disegnati da vene in
rilievo sotto la compatta e fitta trama di nuvole
nere e sparuti fulmini. Sedevo, ricordo, su una
sedia di paglia mentre si radunava tutto la
servitù per vedermi maledire l'imminenza dei
rovesci; ma nulla era più lontano dalla mia
volontà, mi limitavo a contemplare le distese
di temporali a miriade e microconcentrazione
senza alzare il pugno contro il mio destino.
Le grandi piogge mi tallonavano e la Storia
si raggomitolava come un cane davanti alla
sua cuccia. Mi alzavo, talvolta, e pestavo il
locale avvicinandomi alla notte quasi fosse un
catino rovesciato mentre tardavano i sommovimenti.
 
                                     
Poi, arrivata la scorsa Estate, mi sorpresi a fare
cose intessute all'arcolaio, situazioni come altre
solo un pò più abbandonate per entrare nello spirito
della situazione-riscatto-pagamento della taglia. Ero
con un sorriso che mi andava da un orecchio all'altro,
pastorizzavo. Così come erano venuti le Tempeste
se n'erano andate e parecchia gente coglieva l'occasione
per restare un pò di più all'aperto per giocare a ramino
e a riconoscere gli stracci che le Torri di Avvistamento,
in lontananza, lasciavano penzolare. Fumavo poco,
l'hashish per una stagione mi aveva dato alla testa e
aveva collocato silenziosi moloch tra la mia comprensione
e l'esposizione dei miei casi alla corte competente. Ero
viola e giallo, allora li ricordavo i miei colori. Irene piangeva
sopra grandi nappe intrecciate per la morte improvvisa del
suo cagnolino, e Io sospiravo e lavoravo: avevo una nuova
professione e dodicimila testimonianze di fede. Partivo al
mattino e tornavo di sera. I glicini si diffondevano sulla
superficie mentre fischiettavo arie tirate fuori dal mio I-pod,
sembrava di galleggiare e non ero, come magari potete
pensare, per nulla contorto. Sopravvivevo bene al calo di
zuccheri o anche a improvvise biopsie. Mi sbucciavo le
ginocchia e rincorrevo i calabroni, visto e placato ramazzavo
le distanze con un colpo d'occhio chiaro, portavo mazzetti di
margherite all'ombra di un orecchio e mi mangiavo i dieci
chilometri di andata e ritorno. Sopravvivevo. Quando poi
incuteva la rabida tenebra, stringevo intorno alle spalle la
mia coperta e coprivo i fianchi con polvere di gesso per non
fare accedere gli spiriti mozzicati. Mi pare chiaro che La stavo
aspettando.
 
                                               
Quando arrivò il giorno, affittai una grancassa di musicanti
rubati dalle prove per Il Trovatore nella versione da Circo,
spostai i granulomi dai miei lillà da giardino e versai miele
nella gola di Clorinda, fingendomi un grande Ispirato. Rolf
si masticava i baffi, grandi e rossi, e mi mormorava ogni
mezzo minuto :"Ma quando arriva?". Aspettavamo dalle
undici di quella mattina sulla banchina della stazioncina
riverniciata di fresco e dalle forti inflessioni ardesia e oro.
La notte la avevo trascorso a giocare pesante e a bere
forte fianco al mio pappagallo dalla tinta ribalda: mi ero
rovesciato su un baule e alla fine avevo tirato un tappeto
a drappeggiarmi tutto il corpo. Era afoso e la banda
dilagava sui binari, provando, di volta in volta, tutta una serie
di melodie sbagliate e informi e Io mi stavo già colando di
cerone ed henné. Tutto ricordava gli otto anni precedenti
a Denver dove ogni cosa era partita con il piede sbagliato
e avevo messo su un business di chitarre solari in amplessi
bislunghi con la pretesa di ingannare i veri cultori ed esperti,
ma era finita con il mio abbandono dell'attività e con la
ripresa di una vita errabonda segnata dall'incuria e dalla
disperazione. Avevo abitato, ricordai, per un periodo in vecchie
fabbriche dismesse sull'orlo della febbre embrionale e della
consacrazione pestifera. Ma questo era finito...stavo dileggiando
me stesso per gli sprazzi di incoscienza e e il furore spezzato
che mi mordeva la gola. Il trenino poi entrò a Castres con un'ora
di ritardo per qualche problema alle caldaie verdi, d'improvviso
calò dalla volta celeste una compatta umidità e un sospetto
lucore smorzatissimo. Era giovedì, credo e la banda attaccò
a suonare mentre mi lisciavo le penne e devastavo nell'aria
come peltro pregiato sotto le lacrime.














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Commenti al Post:
several1
several1 il 20/02/17 alle 16:57 via WEB
giaculatorie a cavallo degli anni
 
 
tobias_shuffle
tobias_shuffle il 20/02/17 alle 17:09 via WEB
Balbuzie di Peltro
 
fin_che_ci_sono
fin_che_ci_sono il 20/02/17 alle 21:38 via WEB
Quale fonte avrebbe ispirato questa composizione? Sembra un monologo interiore, un rifare mente locale a fatti accaduti, a una parte della vita, tanti frammenti che ritornano alla memoria presente, come posti sulla stessa linea temporale. L’io narrante dà l’impressione di raccontare fatti ordinari senza alcunché di particolare, e senza entusiasmo. La memoria, per un gioco del caso, si sofferma su certi scorci di vita e non su altri; ma se i fatti narrati fossero diversi, non cambierebbe lo scenario interiore di chi racconta. Questi sembra aver superato diversi limiti: ha fatto esperienza di vario genere in vari luoghi: lavoro, circostanze affrontate, “sopravvivevo”. Uno che non sembra facile alle impressioni e porta qualche marchio invisibile, ma certamente ha vissuto, ha cercato e forse ha finito di cercare.
Al suo contorno alcune labili figure: “Lei era uscita a marzo senza più tornare”, “Ma quando arriva?”. E altro ancora, a sfumare al suono della banda con cui si chiude. E stranamente anche lacrime.
Una descrizione secondo una linea uniforme che conferisce equilibrio al testo, dall’inizio alla fine. Non mancano le espressioni felici e qualche termine che consente voli forse improbabili di fantasia, come il titolo che rimanda direttamente al celeberrimo sonetto di Rimbaud. E ci metterei anche qualche pennellata di Van Gogh, magari all’insaputa dello stesso autore che scrive sempre più di quanto ha intenzione di raccontare - vale per tutti! - ... Beh, che dire? Mi è venuta così! Ciao, Jo. Una buona serata.
 
 
tobias_shuffle
tobias_shuffle il 21/02/17 alle 09:28 via WEB
Si può dire, Fin, che è il sunto di una vita: fughe, impieghi improbabili, vita bohémienne, riscatti, cadute, successi strampalati in cittadine come Castres, e l'attesa di lei, finalmente su un treno non in fuga ma in arrivo. La banda che suona, pennacchi, colori e un sorriso dirompente. Questa lirica è marcatamente autobiografica: il dipinto di un'esistenza e il coraggio di affrontarla. Marca una rinascita, segna una vittoria. E grazie a Rimbaud, e grazie a Vincent. e Grazie a Te... Giorgio
 
woodenship
woodenship il 22/02/17 alle 15:42 via WEB
Una narrazione sul filo del surreale,per restituire al mondo quella sfumatura che la modernità sottrae...Ed alla memoria quel che di non arreso che le compete..........Un caro saluto.........W........
 
 
tobias_shuffle
tobias_shuffle il 22/02/17 alle 16:09 via WEB
L'esplosione definitiva, Wood...Colori e parole e un viaggio molto lungo dietro l'angolo...il sapore delle perle negli angoli...Ciao, e GRAZIE
 
EMMEGRACE
EMMEGRACE il 24/02/17 alle 15:33 via WEB
https://www.youtube.com/watch?v=ufG9WEaE1gc
 
 
tobias_shuffle
tobias_shuffle il 24/02/17 alle 17:10 via WEB
Straziante. Ora che mi allontano da Libero questa è la colonna sonora più toccante che possa esistere. "Don't wanna hip, but thanks for the great trip..." :) Grazie, Grazie di cuore, Grace
 
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