ARCHEOLOGIA NUOVA

Operazione "Sfingi 2007"


A parte queste considerazioni, avevo ancora in mente il preoccupante scetticismo di Carlo, e forse, a catena, quello di tutti gli altri. Era chiaro, nondimeno, un fatto. Per far cambiare idea al gruppo, pensavo tra me, almeno i quattro punti “capisaldi” sarebbero dovuti esistere e di conseguenza essere localizzabili facilmente … altrimenti tutto si sarebbe rivelato un clamoroso buco “nella sabbia”. Evidentemente, il ritrovamento dei quattro capisaldi, mi avrebbe consentito in ogni modo d’affermare al mondo, che almeno in parte, la mia teoria, per dir così, “funzionava” correttamente. Da un punto di vista “scientifico” però, questo non mi bastava ancora. Occorreva qualche cosa di più …  Alcuni eventi che stavano per accadere non erano, invero, quanto ci si poteva aspettare …  Arrancando nella sabbia di el-Giza, arrivammo così sulla zona di ricerca senza incontrare né particolari difficoltà e nemmeno le solite torme di chiassosi turisti. Immancabile la solita guardia su dromedario chiese gentilmente dove eravamo diretti. Samia, la nostra interprete egiziana, rispose qualcosa che ci consentì di proseguire indisturbati. Da quel momento e per le successive tre ore e mezza di permanenza nel sito non s’incontrò più anima viva, se non un beneaugurante scarabeo ed un cane che abbaiava in lontananza. La zona di ricerca è ampiamente fuori rotta rispetto ai tour tradizionali. Si trova in un punto dove non esiste nulla che possa destare la seppur minima attenzione … ad uno sguardo superficiale s’intende … E’ quanto è successo probabilmente da cinquemila anni a questa parte … Ad ogni modo, tirata fuori la mappa che avevo accuratamente preparato, si è iniziata la ricerca del primo punto “caposaldo”. Questo si è localizzato comodamente offrendo buone speranze: almeno uno dei quattro punti sembrava esistere per davvero.  (fig. 6: “Il primo punto caposaldo” immagine 048) Con un profondo sospiro di sollievo da parte mia, si è quindi riaperta la caccia per rintracciare il secondo punto “cardine”. La prima sorpresa non tardò però ad arrivare. Intanto che si tentava di localizzare il secondo caposaldo, mi è capitato d’incrociare una pietra molto particolare. Mi accorsi guardandola attentamente, che la sua superficie non era soltanto usurata. I segni che vedevo sembravano dei veri e propri geroglifici.  Uno poteva essere un simbolo per “tempio”. Un altro un simbolo per “divinità”. Un terzo molto usurato poteva sembrare, ma ritengo questa essere soltanto una mia supposizione, il simbolo indicante “mondo sotterraneo”.  Messi insieme, i tre simboli che mi sembrava aver individuato erano alquanto “esplosivi”. Ho considerato che quest’interpretazione, fosse soltanto dovuta al mio entusiasmo, che in realtà la pietra fosse per un qualche recondito motivo, addirittura un falso …  E’ curioso pensare, tuttavia, che nessuno prima d’allora l’abbia mai ritrovata … e portata via …  (fig. 7: “La pietra con geroglifici rinvenuta nei pressi del secondo punto caposaldo” immagine 003) Girata ed “insabbiata” la pietra per precauzione, si è proceduto con la ricerca.  Il secondo “caposaldo” si è rivelato non appena effettuati pochi passi dal punto dell’estemporaneo ritrovamento lapideo. Esisteva, dunque, anche questo. Si era, al momento, al cinquanta per cento di risultati positivi. Sarebbero diventati, da lì a breve un perfetto “en-plein”. Trovati, quindi, nell’ordine il terzo ed il quarto punto “caposaldo”, si è deciso di perimetrare con nastro da cantiere, il parallelogramma che i quattro punti definivano. Detto, fatto.  (fig. 8: “Il secondo punto caposaldo” immagine 021) (fig. 9: “Il terzo punto caposaldo” immagine 019) (fig. 10 : “Il quarto punto caposaldo” immagine 022) Durante la semplice operazione, Domenico Succio, il topografo, si rese conto di una cosa curiosa. Le rocce che si mostravano costeggiare il terzo caposaldo, non erano semplici pietre naturali. Era la sua più che ventennale esperienza di geometra a suggerire che quelle rocce regolari, sia per foggia sia per disposizione, potessero essere le parti affioranti di un muro a secco. Osservando con attenzione, convenimmo con lui che le pietre in discorso, quanto meno erano artefatte, intagliate a mano, non naturali insomma. Davanti a queste poi si trovavano pietre biancastre evidentemente squadrate e francamente non conformi al luogo. Sono, invece, congruenti con le stesse rocce che si trovano disseminate ai piedi della piramide di Chefren. Enorme lo stupore che ci sorprese, ma non bastava ancora … (fig. 11: “Le pietre artefatte del muro di contenimento” immagine 008) (fig. 12: “Le pietre bianche squadrate simili a quelle rintracciabili ai piedi di Chefren” immagine 055 e immagine 040) In lontananza, infatti, vedemmo Carlo avanzare verso di noi tenendo in mano qualcosa. Nel momento in cui si avvicinò, ci mostrò un frammento di pietra. La zona di el-Giza è un terreno calcareo alluvionale. Quella che mostrava Carlo, invece, era una pietra di selce. Esistono diverse varietà di selce. Di solito si presentano in noduli o concrezioni di colore bruno-rossastro all’interno dei calcari. La selce era impiegata per la sua durezza nel costruire armi ed utensili, fino all’avvento dei metalli che ne soppiantarono l’uso. Osservandone attentamente la foggia, mi accorsi che quelle selci non erano soltanto … selci. Impugnandole si aveva la netta sensazione di tenere in mano qualche cosa di “ergonomico”. Quelle selci, infatti, erano utensili. Erano delle pietre che probabilmente furono impiegate per la lavorazione di qualche cosa che, almeno per il momento, non si vedeva. La zona delle selci, è un’area circoscritta, ben definita. Questo orienta verso due interpretazioni precise. La fascia dove si sono rinvenute le selci era il settore utilizzato dagli scalpellini per lavorare altro materiale lapideo, ovvero era il luogo dove gli utensili fuori uso venivano mano a mano abbandonati, insomma una sorta di discarica dei lapicidi …  (fig. 13: “Una delle selci ritrovate: è evidente la sua strutturazione adatta ad essere impugnata facilmente” immagine 011) A ben vedere poi il parallelogramma individuato era l’unico spazio pianeggiante in mezzo ad alcune collinette. Dal caposaldo più occidentale, ossia il terzo punto individuato, a quello più orientale, ossia il primo, si notava un curioso dislivello che si poteva quantificare nell’ordine di circa cinque sei metri.[1] Si evidenziavano infine, distribuite intorno ai quattro capisaldi, delle strane vasche di sabbia le cui orlature sembravano erose in modo naturale.  (fig. 14: “Una delle vasche di sabbia perimetrali” immagine 002) Si deve precisare, infatti, che la zona che stavo ispezionando non era costituita da sabbia, bensì da roccia. Anzi. Tecnicamente si trattava di solidissima “roccia in posto”. Il geologo sembrava avere ragione: a prima vista non vi era spazio per alcun tipo di Sfinge. Un altro dettaglio, in ogni caso, mi colpì in particolar modo. Almeno tre dei quattro punti capisaldi, risultavano essere piuttosto rialzati rispetto all’area, depressa, che demarcavano. Era come se la parte centrale compresa fra questi, avesse subito una sorta di subsidenza, un cedimento per dir così, strutturale. La roccia di cui si componeva l’area era evidentemente levigata ed accostata a formare una sorta di pavimentazione … Curioso … (fig. 15: “La parte centrale del parallelogramma è costituita di roccia disposta in modo da formare una sorta di pavimentazione” immagine 064 immagine 012 e immagine 053) Questo era il report della giornata esplorativa. Tutto sommato, si era raccolto dati e si era entrati in possesso d’informazioni più che indicative e tangibili. Restava, in ogni caso, l’amaro in bocca per non aver trovato o per non aver saputo trovare, quelle tracce e quei segni che potevano indicare in modo inequivocabile l’esistenza di qualche cosa in più che non semplice roccia. Più che l’esistenza di pietre squadrate e selci lavorate. Ora, non restava che recuperare il nastro da cantiere. Non sono certo abituato ad allentare la presa: se il mito di Rwty, dei due Leoni guardiani delle porte solari, corrispondeva a verità, esisteva ancora una possibilità. Straordinaria. Gli Egizi Antichi, nel tentativo supremo di rispettare fino in fondo la mitologia elaborata secondo la loro sensibile coscienza religiosa, crearono qualcosa di molto simile ad un tempio ipogeo. Si trattava di una struttura completamente sotterranea, in grado di rispecchiare quanto riportato nei testi. La struttura era funzionale ai riti che il Faraone doveva celebrare per preservare intatta Maat.  Orbene, se questo era vero, la roccia che stavo calpestando, avrebbe dovuto presentare discontinuità strutturale. In altre parole avrei dovuto camminare su di una specie di soletta costituita da roccia: era il tetto dell’ipotetico tempio ipogeo entro cui, sì che avrebbe potuto esserci una seconda Sfinge …  [1] L’estensione territoriale soggetta alle ricerche si colloca in un settore più elevato rispetto al piano dove giacciono sia le Piramidi sia la Sfinge. Questo conferisce ad el-Giza una morfologia strutturale molto esclusiva, mai considerata fino ad oggi.