ARCHEOLOGIA NUOVA

Teofanie cosmografiche (VI parte)...


...Clemente, nello stesso passo, accenna a figura di quercia alata, o terebinto, pianta simboleggiante solitamente sapienza vergine e misericordia, su cui è disteso il particolare pallio ricamato. L’abbinamento del  atomanto con l’albero, origina valori semantici ben superiori alla semplice somma delle singole parti in gioco. Si tratta, infatti, di significati paradigmatici tanto potenti da improntare, governandolo, l’atto più sacro ed insondabile dell’intero ciclo mitologico: la creazione nel terzo giorno del mondo e della realtà apparente in cui esso si agita. Particolare indicativo, è il movimento “fisico” del pallio geografico: da posizione avvolgente sulle spalle di Gea, a sistemazione aperta sui rami del sacro albero alato.[1] Alla vista, è inevitabile, il manto disteso assume precisa, inequivocabile, inconfondibile configurazione. Si tratta della stessa sagomatura riscontrata in peculiari rappresentazioni sacre cristiane: le Madonne ed i Santi che aprono le braccia in segno di protettiva accoglienza. Sono questi i soggetti deputati ad indossare manti la cui valenza, senza dubbio, è misericordiosa. L’iconografia, però, sembra riprendere tratti e posture di figure antropomorfe molto più antiche, caratterizzanti rappresentazioni rupestri dell’età del Bronzo con soggetti, i cosiddetti “oranti”, in atteggiamento votivo ed a braccia spalancate. Il modulo dalla speciale impronta figurativa “pallioforme”, sembra trasparire anche dal contorno proiettivo di figurazioni geografiche quali la carta del 1507 di Martin Waldseemüller o quella seriore di Caspar Vopell. L’immagine del mantello, suggestiva per evocare l’antico mito ferecideo, curiosamente sopravvive nel tempo. A distanza di duemila anni, infatti, nel secolo XVI, si ritrova medesima rappresentazione, integra nel significato, utilizzata da alcuni artisti per celebrare l’epocale momento della scoperta e battesimo del Nuovo Mondo. Stradanus, ad esempio, per realizzare la composizione figurativa della sua “Americae retectio”, ripropone ingredienti mitologici esclusivi della teofania immaginata da Ferecide. La scoperta dell’America, meglio d’altri, sembra essere topos privilegiato dove l’atto del “disvelamento”, mitologicamente sacro in Ferecide, si trasfigura assumendo colorazioni di puro atto creativo, ancora sacro sì, ma ora dalle forti modulazioni cristiane; più precisamente, “mariane”. Con la scoperta del “Nuovo Mondo”, all’intero genere umano si è rivelata la quarta parte del mondo. Il manto, che per Ferecide è ingrediente catalizzatore della creazione, si ritrova, nella rappresentazione dello Stradanus, sfondo eccellente per tratteggiare l’idea commemorativa originatasi nell’uomo rinascimentale sull’epocale impresa. Stradanus è noto per pregevoli incisioni sulla visione allegorica dell’America, che in genere rappresenta come donna nuda, soggetta allo sguardo vigile d’Amerigo Vespucci, in sembianze marziali. L’elemento che più colpisce osservando la sua “Americae retectio”, è proprio il drappeggio con cui il mantello quasi domina, avvolgendolo, il globo terracqueo. La scena è carica di figure simboliche: la colomba, palese richiamo allo Spirito Santo, tiene con il becco un apice dell’ampio tessuto. Enigmatico, Giano, rappresentante la città natale di Cristoforo Colombo, ossia Genova, curiosamente, tenta invano di sollevare la sua porzione di manto. L’azione del “disvelamento”, invece, si rivela di facile esecuzione per la figura opposta a Giano. Si tratta di Flora, chiaro riferimento a Firenze, patria dell’altro protagonista della vicenda, ossia Amerigo Vespucci. Sottili le allusioni riferibili alle imprese dei due navigatori. Si tralasciano, tuttavia, per concentrare l’attenzione sul panneggio avvolgente del maestoso mantello. Chi ha dimestichezza con modelli figurativi sacri, osservando il mantello profilato da Stradanus, scorgerà immediatamente forte similitudine con rappresentazioni di “Madonne misericordiose”, che utilizzano l’apertura del proprio manto per contenervi al di sotto, particolari vedute scenografiche.[2]Il pallio teso dalla colomba, ossia dallo Spirito Santo, dunque, diviene potente ancorché imperscrutabile riferimento a Maria. Maria, quindi, unica mediatrice possibile tra dimensione trascendente ed immanente, partecipa in maniera dinamica all’azione, offrendo aiuto protettivo al disvelamento del Nuovo Mondo, attraverso il suo generoso abbraccio universale. L’intreccio d’allusioni iconografiche tanto intense ed articolate, grazie al “palium geografico” suggerito da Ferecide di Siro, incomincia ad acquisire significato. La profilatura del manto presente nell’“Americae retectio”, infatti, oltre a richiamare l’emblema palliografico caratteristico delle Madonne misericordiose, si riallaccia chiaramente ad uno dei più conosciuti mappamondi del secolo XVI, ossia quello realizzato nel 1507 a Saint-Dié dal geografo e matematico Martin Waldseemuller.[3] [1] Corre obbligo ricordare la mitologia greca, con il “Vello d’oro” dell’“ariete alato”, dedicato ad Ares e conservato disteso su quercia nel bosco sacro al dio, nonché l’avventurosa epopea marittima dei cinquantacinque navigatori “Argonauti”. Gli ingredienti, coerentemente, sono sempre gli stessi. E’ ancor più interessante, inoltre, il sottile richiamo alla clamide tessalica, giacché pure Giasone proveniva dalla Tessaglia. [2] L’iconografia in parola, è riscontrabile sia nella raffigurazione trecentesca della famosa Madonna fiorentina di Peregallo, sia nell’antico logo mariano della Fabbrica del Duomo di Milano. Il ricorso alla protezione mariana contempla dunque non solo aspetti significativi per nobili famiglie o per anonimi devoti e disciplini. E’ anche impiegata per emergenze architettoniche e piante di città, lasciando già intuire l’utilizzo futuro che di questa simbologia pallioforme si farà anche in ambito cosmografico. Il panneggio delle Madonne misericordiose, dunque, si presta bene per essere trasformato da semplice immagine sacra, in un vero e proprio sipario scenografico, sotto il quale si dispiegano a guisa di diorama sfondi paesaggistici i più diversi. Troviamo un esempio di simile utilizzo iconografico anche nelle splendide Madonne dipinte dal francese Enguerrand Quarton nel 1553-54 o in quelle di Giorgio Martini dove riscontriamo Maria proteggere la città di Siena da eventuali calamità sismiche.[3] Claudio Piani, Un rebus in soluzione: l’affresco geografico del ciclo della creazione, in V Settimana della cultura, Palazzo Besta di Teglio, nuove proposte di studio, Archivio di Stato di Sondrio, 2003, A Teglio nella Sala della Creazione di Palazzo Besta, in Settimanale della Diocesi di Como, Cronaca Sondrio cultura, p.30, Como, 2003.