FenomenidiEmersione

Mi chiamo Yolanthe


La poesia è pattume di un tempo perduto, racchiuso tra ali di pollo arrostito o marcito. La rima, la metrica, il numero santo per fare dei versi qualcosa che aggradi al palato di chi vi si approccia. Restiamo spogliati, tradotti, infiniti barlumi di idee. Questa notte ho sondato la bocca: era priva di denti, caverna scavata da un moto violento di rabbia.  Stanotte lei è uscita, la luna rimane scomposta e sontuosa nella sicumera del cosmo. Vorrei farmi male.Trattengo le unghie per farmi del male domani.La rabbia del mondo è finzione. Un rumore continuo che tiene nel sonno quei poveri corpi assetati di vita, ne fa soluzione di atomi sciolti. Detesto i bambini, mi piaccion gli adulti bambini, depreco il non-senso ché il senso di ora.Mi chiamo Yolanthe. Son stata tre volte tra il dire e il non dire ed adesso son qua, faccia d'alga spalmata su pietra a gridare che l'acqua (Talete) ha il suo senso. Tradotta, tradita, abortita anzitempo, reclusa. E'una notte di luna e si vaga tra i campi a cantare gli Arvalia, becchini di un "Io" capovolto che un tempo era nostro: sontuoso, imperfetto, cosparso di piccoli semi di bruma pungente, innegabile divinità di materia perduta in se stessa.Che per voi sia un buon viaggio.