The city of Dite

La banalità del male


Appropriandomi momentaneamente di un meraviglioso titolo, vorrei esternare alcune considerazioni. Mi rivolgo a whitelovelymoon, cavia dell'ennesimo esperimento sulla morbidezza dell'animo umano: glissando sulla vistosa miseria interiore dell'ultimo responsabile, ecco alcuni paletti. Ovvio che tu, Nanny, debba ardere d'ira stupefatta alla luce dei suoi sfacciati comportamenti post abbandono. Ovvio che le conseguenze di tutto ciò prevedano giornaliere sessioni di pianto. Ovvio persino che alla base dell'ecosistema dolore la valvola cieca sia rappresentata dallo studio, compromesso e superbamente superfluo. Dall'ovvio al latente (s'impone il plurale): riportiamo pesanti ferite affettive unicamente perchè concediamo a qualcuno di lambire armi; quel qualcuno è sovente un individuo che abbiamo investito di rosee proiezioni senza considerarne l'effettiva vacuità; l'effettiva vacuità nasconde opportunismo scambiato ottimisticamente per attenzione e/o affetto; l'affetto è un ricatto a forma di coltello che nella magnanimità più orba doniamo, noi sì, al risaputo individuo, reso ebbro e potente dalla forza d'amore scivolata al suo servizio (il cerchio si chiude).Non faremo vanto della comprensione millimetrica che certe dinamiche umane ci spingono a sviluppare: se la conoscenza è un bene, prima o poi varrà una vendetta.Aforisma coordinato:"La sfortuna di ogni donna è il proprio uomo." (Eleonora Duse)