Cos'è il DOC

CHRIS MARKER


Il suo è uno stile frammentario, linguisticamente innovativo, molto personale, in cui la storia privata di viaggiatore, la coscienza politica, l’amore per le persone e le cose si intrecciano con la vocazione di registrare immagini, fissare momenti, renderli pubblici sottraendoli alle variazioni e all’incertezza della memoria. In questo suo pensiero in immagini, in questa sua fede nel cinema Marker lavora sulle possibilità linguistiche, ma si direbbe quasi biologiche, del montaggio: montaggio tra immagini, tra immagine e testo, tra colonna visiva e colonna sonora, tra ricordi e registrazioni, tra intimità e divulgazione. Nasce così una rete di pensieri, di obbiettivi e risultati, organizzata sotto la guida di un autore, dell’autore Marker, che fa valere i suoi gusti, la sua sensibilità e la sua poesia. Coerenza soprattutto dello spirito.Montatore, cineasta, fotografo, scrittore, poeta, romanziere, giornalista, reporter e testimone, viaggiatore, creatore di materiali multimediali, tutte le definizioni sono state valide per Marker in un certo momento e a volte più d’una contemporaneamente. Personaggio solitario, enigmatico, non si lascia etichettare, non si lascia fotografare. Di lui si sa che è nato nel 1921 forse il 22 o il 29 luglio in Mongolia o forse in Francia. Chris Marker è uno pseudonimo, uno tra quelli che Christian-François Bouche Villeneuve adotta nel corso degli anni. Marker è passato attraverso diversi mutamenti tecnologici e mediatici per sua scelta, più che obbligato dai tempi, e con un deciso vantaggio sulle mode. Della sua produzione fanno parte oltre ai film in 16 mm e in 35 mm, video, CD-ROM e istallazioni. Viaggiare, filmare, intervistare e capire sono la sua prassi. Il cinema, il video, la fotografia, le lettere sono il suo alfabeto e, la materia prima dei suoi film, diceva Bazin, è l’intelligenza.Viva Paci
La Jetée (1962), fotomontaggio animato del regista francese Chris Marker.Siamo nel futuro: le conseguenze di una terza guerra mondiale nucleare hanno costretto vinti e vincitori a rifugiarsi nel sottosuolo. I vincitori eseguono esperimenti sui vinti per mettere a punto una tecnologia che permetta di ritornare nel passato. Solo così si potrà cambiare il presente (vale a dire il futuro del passato) e salvare il pianeta terra. Uno dei vinti, il protagonista maschile de La Jetée è ossessionato da un'immagine della propria infanzia: da piccolo i genitori lo portavano sul molo ("jetée", appunto) dell'aeroporto di Orly per vedere decollare gli aerei. Un giorno, il bambino era stato testimone di un fatto violento: un uomo che correva verso una donna era stato colpito alle spalle da un proiettile, ed era stramazzato al suolo. Cresciuto, quel bambino non riusciva a cancellare dalla propria memoria e dai propri sogni l'immagine del volto terrorizzato della donna, dell'uomo che correva verso di lei, della rovinosa caduta, e persino il ricordo acustico dei colpi di arma da fuoco. Per quella sua capacità di ritenere ossessivamente un'a immagine del passato, egli, costretto a una condizione di vinto dalla terza guerra mondiale, viene sottoposto ai molteplici esperimenti dei vincitori. Comincia allora a essere spedito nel passato, ove conosce una donna. I due si frequentano, si innamorano, e vivono con leggerezza e abbandono questa dimensione senza tempo che è l'amore; né lui né lei si preoccupano del repentino apparire e scomparire dell'uomo attraverso i meandri del tempo. Un giorno in un parco si trovano di fronte a una mappa dendrocronologica, ed egli le racconta (o cerca di farlo) la sua storia. Gli anelli del tronco della sequoia incarnano a perfezione, infatti, la concezione del tempo che permea di sé La Jetée: anche se il futuro sembra sovrapporsi al passato attraverso il presente, ogni istante del tempo resta infinitamente insieme agli altri, parallelamente agli altri, proprio come gli anelli del tronco di un albero. È solo un'illusione psicologica della coscienza, infatti, che ci fa credere che l'istante presente resti privo di comunicazione con quelli del passato e quelli del futuro: è come se fossimo imprigionati in uno degli anelli di un tronco, e non riuscissimo a intravedere gli altri. Uno squarcio nella corteccia, come quello che un fulmine lanciato da un dio apre nella polpa di un albero, si dischiude tuttavia al momento del déjà vu. Questo sentimento infatti appare alla fine del fotomontaggio di Marker (non è un caso che il regista abbia scelto questa forma statica di racconto per immagini, come a voler segnalare che la continuità temporale in cui crediamo di esistere non è meno artificiale di quella che un proiettore produce attraverso il rapido scorrere dei fotogrammi, i quali ciò nonostante permangono simultaneamente e parallelamente agli altri anche quando non sono illuminati dalla luce della coscienza-proiettore): il protagonista maschile, innamorato, non vuole più tornare nel futuro, preferirebbe restare in un puro presente di felicità. Inseguito dai sicari lungo il molo dell'aeroporto di Orly, lo colpisce una violenta sensazione di déjà vu: rivede lo spazio esattamente come nel ricordo che lo ossessiona sin da bambino, con le stesse luci, le stesse ombre, gli stessi oggetti; rivede la donna dal volto terrorizzato, che altri non è se non la donna di cui si è innamorato; sente i colpi di arma da fuoco, che però scopre ben presto essere destinati a sé stesso; rivive nella propria caduta la morte dell'uomo della quale era stato testimone da bambino; incontra, prima che la sua coscienza si spenga, lo sguardo di un ignaro sé stesso bambino, testimone della propria uccisione. Nel fotomontaggio di Marker, dunque, il ripiegarsi del tempo in un circolo senza uscita non è frutto di un raggiro, bensì della stessa struttura del tempo, di un tempo in cui tutte le dimensioni e tutti gli avvenimenti scorrono paralleli ed è soltanto la nostra ignoranza che ci evita di incontrare un frammento (con altra temporalità) di quell'illusione che chiamiamo il nostro sé.MASSIMO LEONE L'unico libro di lingua italiana su CHRIS MARKERChris Marker o Del film-saggioIvelise Perniola Edizioni Lindau