Diaro dalla metro Un bambino spastico nel passeggino urlava. Sua madre aveva il volto greve di chi ha su di sè una croce a vita, di chi vorrebbe urlare scomposta come la sua creatura e assentarsi ai suoi doveri, assentarsi alla sua croce, gli occhi fissi davanti a sè, una strada in salita senza appigli.Io sono quel bambino, sono spastica dentro. E sono sua madre, ho la croce dei miei spasmi, dei suoni e movimenti scomposti, disarmoniosi, sgraziati, ne sono succube, vorrei sfuggirli, vorrei non averli mai partoriti dalla mia pancia. Vorrei fuggire e non fuggo, vorrei essere come gli altri e non lo sono, vorrei sapermi alzare da quella sedia che diventa la tomba delle mie gambe e della mia vita normale e non so farlo. Io odio la pena che suscita negli altri quel bambino, è la pena che suscita ai miei occhi, che suscita il mio bambino spastico dentro di me a sua madre che ingombra le mie stanze.Dentro ascolto le urla di quella madre, la rabbia di essere stata punita malignamente dal destino, e le paure, le preoccupazioni per la sua creatura, che ama e protegge, e la cattiva scelta di non saper dire che quel figlio è dolore, le ha rubato la vita, i suoi anni giovani, la cattiva scelta di verminare amore obbligato, di pensarsi santa, dedicata. Si sottrae al confronto, non si decontamina dalle scorie dell'amore possessivo, necessario, funesto, claustrofobico e assoluto per amarlo veramente, e non semplicemente, inutilmente incondizionatamente. Io non saprei fare diversamente. Tu che faresti al posto di quella madre?Ma io sono quella madre, io sono amore obbligato
Amore obbligato
Diaro dalla metro Un bambino spastico nel passeggino urlava. Sua madre aveva il volto greve di chi ha su di sè una croce a vita, di chi vorrebbe urlare scomposta come la sua creatura e assentarsi ai suoi doveri, assentarsi alla sua croce, gli occhi fissi davanti a sè, una strada in salita senza appigli.Io sono quel bambino, sono spastica dentro. E sono sua madre, ho la croce dei miei spasmi, dei suoni e movimenti scomposti, disarmoniosi, sgraziati, ne sono succube, vorrei sfuggirli, vorrei non averli mai partoriti dalla mia pancia. Vorrei fuggire e non fuggo, vorrei essere come gli altri e non lo sono, vorrei sapermi alzare da quella sedia che diventa la tomba delle mie gambe e della mia vita normale e non so farlo. Io odio la pena che suscita negli altri quel bambino, è la pena che suscita ai miei occhi, che suscita il mio bambino spastico dentro di me a sua madre che ingombra le mie stanze.Dentro ascolto le urla di quella madre, la rabbia di essere stata punita malignamente dal destino, e le paure, le preoccupazioni per la sua creatura, che ama e protegge, e la cattiva scelta di non saper dire che quel figlio è dolore, le ha rubato la vita, i suoi anni giovani, la cattiva scelta di verminare amore obbligato, di pensarsi santa, dedicata. Si sottrae al confronto, non si decontamina dalle scorie dell'amore possessivo, necessario, funesto, claustrofobico e assoluto per amarlo veramente, e non semplicemente, inutilmente incondizionatamente. Io non saprei fare diversamente. Tu che faresti al posto di quella madre?Ma io sono quella madre, io sono amore obbligato