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Donna d'ogni tempo

Post n°16 pubblicato il 11 Ottobre 2012 da Eos13

DONNA D'OGNI TEMPO 
Non solo è bella, ma ha lo sguardo fiero, diretto. Questo la rende al tempo stesso adulta e bambina. Solo i bambini, o i poeti, o gli eroi riescono a levare gli occhi, a snudare l'altrui ipocrisia con la schiettezza inconsapevole e audace delle anime primitive. Lo sguardo dei bambini, dei poeti, degli eroi non ha bisogno di veli. Somiglia molto allo sguardo di Dio, dal quale non si può scappare. Ecco perché i malvagi, i falsi, i violenti non lo sopportano. Lo evitano; e, se non riescono a domarlo, non hanno alcuno scrupolo a farlo tacere per sempre.
Malala Yousafzai ha quattordici anni. Sono tanti, sono pochi? La misurazione del tempo è molto relativa, soprattutto se si tratta di adolescenti. Non bambini ma nemmeno propriamente adulti, considerati impropriamente "terra di mezzo" e invece alla disperata ricerca di un posto per sé nel mondo, gli adolescenti incutono paura a un mondo invecchiato e rigido. Malala, di paura ne infonde tanta. E' pachistana e, dall'età di undici anni, quando si è ancora del tutto bambini, tiene un blog, un semplice blog come fanno altri bambini e adolescenti in ogni parte del mondo. Solo che, dal suo blog, Malala non sfogava frustrazioni da figlia insoddisfatta, non lo riempiva di cuoricini né, come accade ad alcune teenager italiane, aspirava a diventare velina. Malala scriveva altro: "Dateci penne per scrivere, prima che qualcuno metta armi nelle nostre mani"; e protestava perché nella sua provincia certi maschi barbuti, che sotto il pretesto della religione mascherano la propria violenza e ignoranza, aggredivano le ragazze, impedendo loro di frequentare la scuola. Secondo costoro, l'unico compito delle donne è quello di servire il loro padrone, con gli occhi bassi e col silenzio.
"Diffonde idee laiche, ci attacca, è una fan di Obama" gridavano i barbuti. L'hanno seguita, scovata su un autobus diretto a scuola, e le hanno sparato, ferendola gravemente alla testa e al collo. 
Ma non sono riusciti a fermarla. Quel suo sguardo, per loro così insopportabile e odioso ("osceno", l'hanno definito), continuerà ad accusarli e a perseguitare la loro cattiva coscienza.
"Da anni Malala aspettava quel killer, ma ha continuato a difendere il futuro, il suo e anche il nostro", scrive Corradino Mineo di Rainews.
Perché il "nostro"? In fondo, potrebbe obiettare qualcuno, Malala vive in un Paese lontano, è immersa in una cultura molto arretrata. Qui, da noi, certe cose non accadrebbero mai. Qui, da noi, le donne sono rispettate. Sono pari agli uomini.
Ora, a parte il fatto che non si capisce perché il metro per giudicare "pari" una persona debbano essere gli uomini, informatevi un po' come vivevano le donne del nostro Sud fino a pochi anni fa, e, in qualche caso, ancor oggi. Chiedete da quanto tempo le donne italiane hanno diritto di voto. Non lo sapete? Dal 1946; in Myanmar, tale diritto risale al 1922.
Fate un'inchiesta su quanti lavori erano preclusi alle donne italiane in un recente passato. Domandate a quanto risale il nuovo diritto di famiglia, per cui l'uomo non è più capo della donna e della famiglia. Cercate di sapere quando è stato abolito lo jus corrigendi, che permetteva al marito di picchiare la moglie e i figli "a scopo correttivo". Scoprite come mai l'adulterio di un uomo veniva sanzionato con una multa, e quello della donna con la galera. Sappiate che, per una donna che commetteva un delitto "d'onore", si aprivano le porte dell'ergastolo; un uomo rischiava, al massimo, cinque o sei anni. Questo fino al 1981.
E guardate, soprattutto, i dati: gli stupri nell'ultimo periodo sono aumentati del 60%, quasi tutti commessi in famiglia o da fidanzati abbandonati, che non potevano tollerare l'idea che la "loro proprietà" decidesse da sola, e senza di loro. Del resto, questi delitti restano quasi sempre impuniti, anche perché fino al 1992 la violenza sessuale era un "reato contro la morale" che comportava pochi anni di carcere. Il pregiudizio, però, che tutto sommato la donna "se la sia cercata" è ancora molto diffuso.
Se poi guardiamo gli attuali modelli televisivi, e anche politici, quel che viene proposto come "ideale" alle ragazze è la donna che si concede a tutti, che usa sé stessa solo per il proprio corpo e si vende al miglior offerente per ottenere soldi facili e agevolazioni d'ogni tipo.
Per molto tempo ha furoreggiato una trasmissione dall'eloquente titolo La pupa e il secchione. Vi siete mai domandati perché Il pupo e la secchiona sarebbe stato improponibile?
A Sesto San Giovanni il Comune ha lanciato il progetto Toponomastica femminile, per l'intitolazione di quattro parchi cittadini a donne importanti del passato. E, in effetti, vie, piazze, luoghi pubblici delle città italiane recano spessissimo nomi maschili, come i libri scolastici e le grammatiche; e ciò in barba alla realtà, dove le donne sono state spesso protagoniste in vari campi della cultura, dell'arte, della scienza e della religione, e in un Paese come il nostro, dove il 90% dei laureati sono donne e non uomini. Donne che, peraltro, difficilmente trovano impieghi all'altezza della loro preparazione. In compenso, in caso di crisi, sono le prime a venir licenziate; e fate una ricerca sui "licenziamenti in bianco" che molte donne sono costrette a firmare preventivamente, in spregio a tutte le leggi vigenti.
Quando poi l'insegnante propone questi argomenti a scuola non è raro trovare il furbetto o furbetta di turno, di solito impegnato/a nei fatti suoi, che a un certo punto salta su e chiede, con una punta d'ironia: "Scusi prof, ma lei è femminista?". Ignorando il significato dell'aggettivo, per costoro "femminista" è sinonimo di donna isterica, odiatrice di uomini.
Chiederemmo mai a una persona che sta annegando: "Scusa, ma a te non piace l'acqua?"?
Che le donne abbiano dei diritti non è infatti per nulla assodato, non presso la mentalità maschile ma, talvolta, nemmeno tra le stesse donne.
Ecco perché lo sguardo di Malala oggi interessa tutte. E tutti. Non è "faccenda del suo Paese" né tantomeno della sua religione, l'Islam, che non vieta da nessuna parte l'istruzione alle ragazze. E' faccenda comune. Perché dietro i pretesti dell'onore, della modestia, della politica, della religione si nasconde la pretesa antica, e barbara, degli uomini a dominare altri esseri viventi, la natura, le cose. Ecco perché Malala scrive: "Dateci penne e non armi". Ella sa bene, dal poco/tanto dei suoi quattordici anni, che l'ignoranza è sinonimo di violenza, di sopraffazione, di guerra. E, in un mondo globale come il nostro, non si può più distinguere tra vicini e lontani. Il benessere delle donne comporta, automaticamente, una maggior felicità degli uomini perché significa maggiori diritti per tutti, sempre e comunque.
Malala è un'eroina dei nostri tempi e di ogni tempo. I diritti, infatti, non sono un dato acquisito una volta per sempre. Malala ci ricorda che sono il frutto di sacrifici e di lotte e che, per essi, molte e molti hanno perso la vita a cui pure tenevano tanto. 
I ragazzi italiani che si trascinano stancamente a scuola e le ragazze che durante l'ora di grammatica sbuffano sognando bamboleggianti il fidanzatino di turno è bene si sveglino.

Daniela Tuscano 

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pgmma
pgmma il 01/11/12 alle 21:55 via WEB
INTERVISTA A UN ALTRO FILOSOFO MUSULMANO DALLA FILOSOFIA ALLA PRASSI: LA DONNA OGGI NELL’ISLAM. Intervista al filosofo Yadh Ben Hachour. Questi articoli che scrivo sui temi dell’antropologia culturale islamica, hanno lo scopo di tentare di far conoscere nei nostri territori la “mappa del mondo” che gira nel cervello dei musulmani. Qualche tempo fa ho avuto modo di partecipare ad una conferenza di grande attualità tenuta dal famoso filosofo tunisino Yadh Ben Hachour, invitato a parlare sul tema della condizione della donna nel Maghreb, cioè nel Nord Africa, dal Marocco alla Tunisia, e invitato dall’ICeSD (International Center for Subsidiarity and Development) della Venice International Unuversity. Le considerazioni fatte dal professor Yadh Ben Achour hanno messo con forza in evidenza come il problema della liberazione della donna dalle condizioni di oppressione in cui si trova a vivere nel contesto sociale delle società islamiche, vada di pari passo con la liberazione dello Stato dai condizionamenti del potere religioso che la tradizione, mai affrancata dallo sviluppo di un pensiero filosofico musulmano, rende di fatto impossibile e impedisce qualunque progresso verso forme di democrazia nel senso occidentale del termine. L’occasione per poter fare delle domande al Filosofo era troppo ghiotta, e l’articolo è il resoconto dell’intervista che così ho potuto fare all’insigne studioso. Professor Ben Achour quali considerazioni preliminari può fare sul tema così scottante della conferenza? Secondo noi, il liberismo politico deve andare di pari passo con la liberazione della donna. Il tutto si gioca dentro al concetto di modernità. Per esempio, Kant ha spiegato cos’è l’Illuminismo, che per me significa camminare senza supporti, liberi da costrizioni e da catene, permette di conseguire un’autonomia di pensiero e di azione. Vivere con la propria autonomia e rispondere alla propria coscienza. Però nella modernità dell’Illuminismo, a quel tempo, la condizione della donna rappresenta un buco nero. Anche secondo quei filosofi la donna non era tenuta in considerazione. Per esempio, Condorcet (1789) aveva scritto un libretto sulla cittadinanza della donna (Sur l’admission des femmes aux droits de cité), nel quale avanzava la proposta della parità di diritti tra i sessi; ma quasi un secolo dopo, nel 1859, John Sturt Mill scriveva un “Saggio sull’assoggettamento delle donne”, mettendo in risalto il ruolo della donna subalterno al potere dell’uomo. Questo per dire che anche in Occidente non è poi da molti anni che le lotte per la conquista dei diritti delle donne hanno conseguito risultati stabili e accettati nelle legislazioni. D’altra parte nel 19° secolo i paesi arabi prendono coscienza del gap tecnologico e culturale nei riguardi dell’Occidente, e il problema drammatico è come far transitare nel mondo musulmano il pensiero occidentale riguardo a questo tema in particolare. Secondo lei ci sono spazi di assimilazione del pensiero occidentale nella cultura islamica? Una cosa è certa, non si possono importare in modo brusco idee e principi di altre culture, ma è necessario procedere all’innesto e all’integrazione nel patrimonio culturale musulmano di quanto può favorire un adeguamento, anche legislativo, che consenta la realizzazione di una società più libera e meno assoggettata al rigore del potere religioso. I pensatori del Maghreb si sono trovati ad affrontare il problema della tradizione culturale. Il Maghreb è dominato dall’Islam Sunnita e ha adottato la scuola giuridica Malikita molto chiusa e rigida ed estremamente sfavorevole al mondo femminile. Questo è l’ostacolo! Come sarà superata questa rigidità? Vede, la tradizione Malikita è tramite del fondamentalismo, ancora oggi. Quale lavoro state facendo voi, pensatori musulmani, per favorire questi processi di evoluzione culturale? La tradizione dovrà essere reinventata, e ci sono autori che stanno lavorando alla reinterpretazione della tradizione. Il problema emergente è come fare? Il mio approccio è quello della riappropriazione della memoria: in fondo la tradizione non è una cosa immutabile. Sceglieremo una tradizione diversa dalla Malikita, trovandola nei primi albori dell’Islam. La memoria storica su questo periodo contiene i germi del rinnovamento culturale. Ci sono autori che ritengono che la tradizione Malikita non sia neanche assimilabile all’Islam. La strada, quindi, è un ritorno a una rilettura dei primordi della cultura islamica, d’altra parte il misoginismo musulmano nasce storicamente con il terzo Califfo (Othman) perché lui era misogino. Lo sforzo da fare, quindi, è quello di ritrovare l’Islam vero, autentico, originario. In questo contesto di ricerca delle proprie radici, i nuovi pensatori musulmani stanno elaborando la riforma dello Stato, e in questo contesto come riformare la condizione della donna. Professore, può citarmi qualche esempio di questi filosofi moderni nell’Islam? Un autore moderno è il marocchino Allal Fassi, grande teologo e giurista. Lui ha scritto un libro nel 1952 dal titolo “Autocritica”, nel quale sostiene che la vita è continuità e cambiamento e che è necessario studiare l’Occidente per trovare gli elementi di utilità per la cultura islamica, per la rinascita del pensiero e dell’organizzazione sociale. Questo autore condanna in modo fortissimo la poligamia e chiede che venga vietata. Condanna anche il ripudio della donna in nome della tradizione islamica originaria. Il secondo autore è Tahar Addad, che nel 1930 scrive un’opera sulla donna nella Sharia, affermando come occorra riformare l’Islam ritornando alla tradizione autentica, quella del Profeta. Tahar Addad, fa anche una distinzione tra l’Islam della fede e del dogma, e l’Islam legislativo-giuridico, quello Malikita per capirci. Noi dobbiamo, in quanto musulmani, adottare l’Islam della fede e del dogma e abbandonare l’Islam legislativo. Per esempio, sulla questione del velo è importante sottolineare il contesto culturale nel quale il Profeta ha fatto quelle affermazioni, e la regola valeva per quei tempi, oggi va cambiata. Come vanno cambiate le norme sulla diseguaglianza nel diritto successorio per le donne. Oggi i tempi sono diversi ed è necessario attualizzare quel pensiero. Tahar Addad non trova tracce di poligamia nel Corano e cita il versetto 4 della Sura delle Donne. Le conclusioni del professor Yadh Ben Achour mettono in luce nuovamente il concetto del ritorno alla tradizione originaria del Corano. Per un popolo è impossibile fare le riforme se non si sforza di ricercare nella purezza originaria della tradizione le radici per attualizzarla. Certamente la guerra e la violenza sono inutili. C’è una considerazione importante da fare sui musulmani che emigrano in Europa, perché quelli che arrivano sono prevalentemente poveri e non acculturati. Quindi è fondamentale l’apporto dello strumento del dialogo tra le culture per riuscire a disinnescare la carica di violenza insita nelle masse migranti verso le quali il fondamentalismo ha facile presa. Al riguardo, però, è necessario fare un a fondo sulla realtà dei nostri territori, riguardo alla potenzialità nella costruzione di un dialogo tra le due culture religiose: la cristiana e la musulmana. In Italia esistono migliaia di cittadini italiani, probabilmente di origine cattolica, che si sono convertiti all’Islam e che vivono questa nuova fede nel loro territorio. Come è possibile che la loro cultura di provenienza tutta centrata sui principi della Carta dei Diritti Universali dell’Uomo votata all’ONU dopo la fine della seconda guerra mondiale, venga soggiogata e cancellata da una cultura che cancella quei diritti in nome del Corano? La libertà di pensiero, di coscienza, di religione, è fondamento filosofico al diritto ad avere una vita senza costrizioni e senza condizionamenti da parte di nessuna autorità politica o religiosa nella nostra cultura “occidentale”, e bene fa il filosofo intervistato a sforzarsi di riportare il pensiero islamico alle origini, quando ancora i califfi non avevano bloccato lo sviluppo della filosofia imponendo il divieto di pensare liberamente la condizione dell’uomo sulla terra. Vorrei concludere con una sorta di appello a questi italiani convertiti all’Islam: “Ma è possibile proporre agli immigrati islamici di conoscere le basi culturali della religione cristiana che ha fatto da incubatore per lo sviluppo del pensiero in Occidente? È possibile spiegare ai milioni di musulmani che vivono in Italia che a questo mondo non esiste solo l’Islam come religione? Che non ha senso assassinare chi è cattolico come sta succedendo in Siria, per mano dei sedicenti rivoluzionari che vogliono liberarsi da una dittatura, proponendone un’altra forse peggiore, se guardiamo ai risultati delle famigerate primavere arabe, trasformatesi drammaticamente in inverni dove il fondamentalismo religioso sta addirittura cancellando le riforme liberali che i precedenti dittatori avevano pur tentato di realizzare? Ecco, giusto per tentare la costruzione di un dialogo con chi abbia il coraggio di aprire la sua coscienza e la sua intelligenza alla pace e alla convivenza senza egemonie di nessun tipo.
 
 
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