Creato da amministratore_blog il 06/03/2008

SEDE EUR-MOSTACCIANO

AZIONE GIOVANI, ALLEANZA NAZIONALE

 

Un appello a tutti i dotati di buon senso!

Post n°73 pubblicato il 25 Febbraio 2009 da amministratore_blog

Il sito lavoce.info ci informa che il governo ha deciso di abbinare elezioni amministrative ed elezioni europee in un’unica data, il 6-7 giugno 2009. Ma appare intenzionato a far tenere in data separata il voto sul referendum sulla legge elettorale. Dato che molti partiti sono contrari al referendum e si propongono di farlo fallire, è molto probabile che alla fine non verrà permesso ai cittadini di recarsi una sola volta alle urne per eleggere i loro rappresentanti al Parlamento Europeo, negli enti locali interessati dal voto e per esprimersi sul quesito referendario.
"LaVoce" stima i costi diretti del referendum in 200 milioni, e quelli indiretti (tempo per andare a votare, scuole chiuse il lunedì, etc...) in altri 200 milioni di euro. Stime a parte, l'uso di questi trucchetti per far fallire il referendum è scandaloso. Invitiamo comunque i lettori far sentire la propria voce con tutti i mezzi disponibili.

 
 
 

L'eutanasia del PD...

Post n°72 pubblicato il 20 Febbraio 2009 da amministratore_blog

Come dire... "Gato por liebre" questa espressione cade a fagiolo, e denota il comportamento dell'oste disonesto che mette un felin randagio al posto della lepre nelle pappardelle.
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Perché? Perché il partito democratico, a modesto avviso dello scrivente, ha compiuto esattamente lo stesso atto. Esso si presentò e vendette a molti (ahimé ora sofferenti e delusi) elettori comunisti e affini una pietanza di finta sinistra. La verità è che il partito democratico è la democrazia cristiana. Mantiene le stesse fumose origini ideologiche (un po' di socialismo stile La Pira, un po' di personalismo stile E. Mounier, molta economia socializzata stile “IRI”, chiacchere all'infinito su argomenti imbecilli, sottomissione su fenomeni gravi di ingerenze nelle libertà civili degli italiani da parte di corpi parassitici come lo stato Vaticano, e così via). Per chi abbia dubbi consiglio un test: che cosa ha riformato il PD? Nulla. Si preoccupò per 15 settimane di inserire propri scherani nelle commissione della RAI (affare Villari) per la ragione banale che sia il suo segretario (figlio di un funzionario della suddetta organizzazione a delinquere) che svariati loro funzionari sono personale che la RAI manda nei partiti per difendere il proprio territorio.
Esempio numero due, persino più sconvolgente a mio avviso. Un gruppo di (illusi) personaggi illuminati (noti il sig. Chiamparino e il sig. Cacciari, rispettivamente sindaco di Torino e sindaco di Venezia e figure di spicco a livello non centrale del partito democratico) proposero una costituzione statutariamente liberale  che rendesse autonome le varie componenti geografiche dei democratici.
Come folgore a ciel sereno segretari etc. si resero immediatamente conto che veniva messa in dubbio l'unità di pensiero e la difesa dei loro interessi e abortirono rapidamente le ipotesi federaliste, esattamente come fece la democrazia cristiana, persino quando (applicando la carta costituzionale che essi stessi votarono) venne attuata la regionalizzazione dello stato. Gli esempi della natura conservatrice del partito democratico sono molteplici ed a mio avviso autoevidenti. Nel caso a qualcuno interessi, si possono esaminare anche in dettaglio. Quello che mi interessa, più urgentemente, è osservare il perché il PD non abbia avuto lo stesso successo della democrazia cristiana. Il PD non ha alcuna posizione politica in nessuna area della politica estera. Ergo non è l'interlocutore di nulla e di nessuno. B.H. Obama, penso si debba concedere, ha ben altre gatte da pelare che le difficoltà di Bersani a ostacolare Franceschini o viceversa.
La DC, per ragioni che credo siano evidenti alla luce della storia europea dal 1943 a (circa) la fine del governo di M. Gorbachev, aveva un vero ruolo in politica estera. L'atlantismo, connesso al ruolo di ponte filo-arabo filo-petrolio, era una vera barriera per un paese che aveva, di poco, evitato la guerra civile (come la Grecia), in cui il partito comunista era una minaccia reale, e in cui una maggioranza di persone aveva il terror panico dei cosacchi che abbeveravano destrieri  nel Tevere. Purtroppo Veltroni e Franceschini non hanno mai avuto o trovato una collocazione di nessun genere. Non son nemmeno riusciti a recuperare (grazie alla loro maschera paleocomunista) il sostegno delle varie oligarchie di muscovia. Kremlin è in mano ai siloviki che hanno tanti difetti ma non si fanno ingannare dai fasulli bolscevichi de noantri che hanno a loro credito delle cene con R. de Niro, la concezione dell'effimero di Nicolini, e il festival di Bettini.
La parte più triste della vicenda è che nessuno se ne è accorto. Il marchese d'Arcais, l'illustre giallista Camilleri, il regista Moretti, l'urbanista Pardi continuano ad inviare messaggi a ''Kamenev'' che vengono ricevuti da Gava. Vorrei ritornare sul tema ma è lungo. Una nota finale: l'anti-berlusconismo non funziona quanto l'anticomunismo in mancanza di una posizione strategica perché Berlusconi due vantaggi:


1. non è comunista


2. garantisce a tutti che non vi saranno sanzioni per nessuno, se stesso incluso. Ergo non è percepito come un pericolo.


Pietro Secchia era percepito come un pericolo e la democrazia cristiana prosperò per decadi. Il PD, suo discendente ebbe vita breve, per mancanza di nemici. Chi tra voi ama la scienza politica sarà al corrente del grande revival tra i cosidetti filosofi di sinistra del pensiero di Carl Schmitt. Ma perché non lo leggono, allora?

 
 
 

Tutti contro il protezionismo (a parole)

Post n°71 pubblicato il 19 Febbraio 2009 da amministratore_blog

La riunione dei ministri delle finanze del G7, a Roma nel corso del fine settimana, ha avuto come obiettivo l’individuazione di regole volte a favorire la crescita e stabilizzare i mercati. In particolare, il summit si proponeva di allontanare un ritorno del protezionismo, considerato negativamente dagli analisti e particolarmente minaccioso per realtà economiche basate sulla trasformazione: come nel caso dell’Italia e del Giappone.
A prima vista, la conclusione pare all’altezza delle aspettative, dato che alla fine tutti si sono impegnati ad evitare chiusure verso i prodotti stranieri. Bisogna però essere piuttosto scettici o quanto meno prudenti, dato che gli stessi che ora si proclamano paladini del libero scambio nei giorni scorsi hanno assunto decisioni di segno opposto: e non appaiono orientati a modificarle.
È quindi una buona cosa, ad esempio, che il ministro dell’Economia francese, Christine Lagarde, abbia sottoscritto i proponimenti avanzati dai colleghi. Solo poche ore fa, però, la stessa Lagarde aveva difeso il suo piano di aiuti sostenendo che esso è “destinato a sostenere un’industria che è aperta a tutti i giocatori che hanno bisogno di questo tipo di finanziamenti e che non ha natura protezionistica”. Ovviamente non è così: e quindi siamo di fronte a pronunciamenti anti-protezionisti che si accompagnano a decisioni di segno opposto.
Qualcosa di simile può essere detto sugli Stati Uniti. Il nuovo segretario al Tesoro, Timothy Geithner – l’economista scelto dal presidente Barack Obama per affrontare la peggiore crisi apparsa sulla scena dopo il 1929 – si è espresso pure lui, e con un’enfasi particolare, a favore di un impegno comune. È giunto perfino ad affermare che “bisogna lavorare insieme e tutti i Paesi devono impegnarsi per il libero commercio”. Da tali affermazioni non deriverà certo il ritiro della recente misura adottata degli Stati Uniti, che hanno inserito nel loro piano la clausola “Buy American” (compra americano). E infatti Geithner ha affermato che l’amministrazione democratica applicherà tale clausola “nel rispetto delle regole del free trade”, e cioè senza alterare  i principi del libero commercio. Come ciò sia possibile, non vi è spiegato.
La sensazione è che ci si trovi di fronte ad un mix di ipocrisia, confusione culturale e opportunismo politico. È del tutto evidente che in Francia come in America, ma in parte lo stesso discorso si potrebbe fare per altre realtà, s’intende giocare il proprio interventismo economico ad esclusivo vantaggio delle imprese nazionali. La cosa è comprensibile, sennonché è impossibile agire in questa maniera a Washington o a Parigi e poi giocare il ruolo dei difensori del libero mercato quando ci si incontra con i colleghi del G7.
Nel momento in cui la crisi è scoppiata ed è subito prevalsa un’interpretazione che ha addossato al capitalismo (e non già all’intervento degli Stati e delle banche centrali) la responsabilità del disastro, già a quel punto ci si è trovati sulla strada di una contrazione dell’integrazione economica e degli scambi internazionali. In effetti, in un modo o nell’altro l’interventismo degli “stimoli” e dei sostegni al consumo conduce fatalmente ad esiti protezionisti. In Francia il piano a sostegno del settore automobilistico è stato smaccatamente concepito per finanziare le imprese transalpine e spingerle a privilegiare gli impianti in patria rispetto a quelli all’estero. Ma anche dove, come da noi, si è deciso di sostenere il rinnovo del parco-macchine senza riservare una posizione privilegiata alle industrie nazionali, è chiaro che – dato il ruolo della Fiat nel mercato interno – si è finito per aiutare i propri produttori nella competizione globale.
Non si può insomma essere keynesiano e poi predicare, in modo retorico, a favore del libero mercato globale.
La sensazione è che, nella migliore delle ipotesi, alla fine si avrà allora un’attenzione critica verso la versione “hard” del protezionismo: quella dei francesi che vincolano gli aiuti a scelte aziendali palesemente scioviniste. È possibile che quelle misure restino sotto osservazione e che magari vengano attenuate. Ma di sicuro non vi sarà nulla di concreto contro quel protezionismo più “soft” e diffuso sotteso ad ogni interventismo economico.
Al riguardo è interessante notare come il consenso degli economisti contro le politiche protezioniste non si converta quasi mai, come invece dovrebbe essere, in una conseguente presa di distanza dalle politiche di aiuti. Una delle formulazioni più efficaci contro il protezionismo si deve ad un’economista inglese filo-maoista attiva tra gli anni Trenta e gli anni Settanta, Joan Robinson, che affermò che se gli altri Paesi decidono di gettare scogli nei loro porti non è il caso di imitarli. Ma ovviamente tale studiosa non aveva obiezioni da opporre agli interventi pubblici nell’economia privata: e forse non si avvedeva di quanti “scogli” derivassero da tutto ciò.

Guardando agli esiti del G7 romano, non pare che si siano fatti molti passi in avanti.
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di Carlo Lottieri

 
 
 

Scarsa cultura economica punisce la CGIL!

Post n°70 pubblicato il 13 Febbraio 2009 da amministratore_blog

La CGIL e il SUNIA (sindacato degli inquilini) riportano che negli ultimi dieci anni i canoni di locazione residenziale sono aumentati del 130% e parlano di "emergenza affitti" con conseguente richiesta di sussidi pubblici. Il problema è un altro e la richiesta dovrebbe essere un'altra.
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Nei giorni scorsi, CGIL e SUNIA hanno presentato i risultati di una ricerca sui prezzi degli affitti nelle aree metropolitane in Italia. Ho cercato il testo dello studio sui siti di CGIL e SUNIA ma non sono riuscito a trovarlo. Mi baso quindi su quello che ha riportato la stampa, in particolare Corriere e, con più dettagli, Repubblica.
La notizia mi ha incuriosito perché offre un altro esempio di scarsa cultura economica dei sindacati.
Il dato è che negli ultimi dieci anni, tra il 1999 e il 2008, il canone è in media aumentato del 130% nelle aree metropolitane. La CGIL e il SUNIA parlano di "emergenza affitti" e "situazione drammatica" per chi prende in affitto un appartamento, e chiedono interventi pubblici nella forma di "piani casa" e fondi per il sostegno agli affitti. La teoria economica suggerisce che la somma scontata dei canoni di locazione che si pagano per una certa abitazione (comprensivi di deprezzamento e bolla speculativa, aspetti che per il momento tralascio) è pari al valore di mercato della stessa. Questo vale per qualunque attività reale o finanziaria.
Dovremmo quindi osservare nell'ultimo decennio una variazione dei prezzi delle case (più precisamente della tipologia di case che sono sul mercato degli affitti, ma qui dubito che esistano dati) simile a quella dei canoni di locazione. Secondo dati Nomisma riportati dall'Economist i prezzi delle case sono in media aumentati del 92% nei dieci anni tra il 1997 e 2006, su tutto il territorio nazionale.
I due numeri (130% e 92%) sono presumibilmente coerenti se si considera che nelle aree metropolitane i prezzi sono cresciuti più rapidamente che nel resto del paese (non ho dati a supporto di questa affermazione, ma mi sembra ragionevole).
E allora? E allora non c'è nessuna "emergenza affitti". C'è che, seppur forse meno che in altri paesi, anche in Italia sono cresciuti sostanzialmente i prezzi delle case.
Poiché i prezzi si muovono come dice la teoria, una persona che non possiede una casa dovrebbe essere indifferente tra acquistare e prendere in affitto: in entrambi i casi il valore presente scontato dei flussi di pagamento (quota capitale più quota interessi se si contrae un mutuo oppure prezzo della casa se si hanno abbastanza risorse per pagare in somma unica, e canone di locazione) è uguale al valore della casa oggi. La domanda da porsi allora è: perché chi prende in affitto non acquista se veramente c'è un'emergenza affitti?
Vi saranno alcuni che preferiscono così per ragioni proprie. Cioé potrebbero comprare ma non lo fanno. Chiamiamo questi i "non vincolati". Per i non vincolati, evidentemente, non c'è alcuna emergenza. Loro sono contenti così, altrimenti comprerebbero. Vi saranno altri che invece vorrebbero acquistare ma non possono. Chiamiamoli "i vincolati." Perché non possono acquistare? Non certo perché non hanno soldi: infatti possono pagare l'affitto, un flusso di pagamento sufficiente ad acquistare casa pagando rate di un mutuo. Il motivo è che, presumibilmente, i vincolati non hanno risorse per effettuare il deposito che la banca richiede per concedere un mutuo (il cosiddetto "downpayment"), oppure se ce l'hanno non possono dare prova alla banca di possedere un reddito fisso.
Il problema allora non sono gli affitti cari ma il mercato finanziario che vincola chi vorrebbe e potrebbe comprare. Non prendo posizione sull'efficienza o meno di questa situazione (alla luce di quello che è successo nel mercato dei mutui in USA negli ultimi anni e più evidentemente negli ultimi mesi, questa di certo è una domanda interessante), dico solo che se il SUNIA tutela gli interessi degli inquilini, allora dovrebbe chiedere non sussidi pubblici ma l'immediato allentamento dei vincoli per l'accensione di mutui.


 
 
 

Ora Parliamo …

Post n°69 pubblicato il 10 Febbraio 2009 da amministratore_blog

Il nostro Blog, dall’inizio fino alla tragica (se così la vogliamo chiamare) fine, non è mai entrato nel merito  -ne la sfiorata- della vicenda di Eluana Englaro, ma credo che ora sia il momento di spenderci due paroline.
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Come suo solito il popolo Italiano non si è smentito, anche davanti ad un evento che per definizione è tragico, ha voluto far diventare la questione di una famiglia ed il suo dolore un caso pubblico, un reality show, arrivando perfino a chiedere che fosse revocata la patria podestà al padre di Eluana. Si sono organizzate manifestazioni, contestazioni più o meno indecenti, il Papa come suo solito ha perso l’ennesima occasione per stare zitto e pregare. Ma non scordiamoci i nostri cari parlamentari che si sono affaticati per un’indegna corsa all’ultimo momento, questi esimi si sono scervellati per bloccare  -in soldoni- una sentenza già scritta, dando così prova di quanto valga la democrazia nella famosa “Repubblica delle Banane” e confermando quello che Rino Formica disse negli anni ’80 :
La politica, in Italia, è sangue e merda.”

Finalmente Eluana è andata, finalmente ci ha lasciato e per sua fortuna ha lasciato questo mondo.
Qualche ignorante, bigotto ora si permetterà di chiamare quei medici ed il padre assassini, ma noi non ci permetteremo, proprio perché non possiamo comprendere il dolore di una famiglia distrutta 17 anni fa.
Noi, al contrario di molti,  possiamo e vogliamo giudicare l’ignoranza delle persone delle varie associazioni cattoliche -e non- le quali, probabilmente avvolte da un sentimento sadico, volevano che la sofferenza di Eluana e della sua famiglia continuasse, come se fosse normale, come se fosse giusto, come se fosse una punizione.
Di solito nella politica si usa la mediazione il così detto Politically correct;  bene in questa occasione ci dispiace non osserveremo questa regola, per cui auguriamo a tutti questi sadici, fedeli di una religione di sofferenza e dolore (quasi fosse un’espiazione dei mali commessi) di poter in qualche modo assaporare il dolore e la tristezza di quella famiglia, così da poter comprendere sulla propria pelle ciò che si prova in una situazione così tragica.

Con amarezza e dolore.....

 
 
 

Kebab contro bagnacauda....

Post n°68 pubblicato il 05 Febbraio 2009 da amministratore_blog

Chissà perché da noi le buone idee non partoriscono libertà, ma divieti. È indubbiamente una buona idea quella di ripopolare i centri storici con negozi e ristoranti che diffondano i prodotti tipici del territorio. Ma è una stupidaggine pensare di realizzarla espellendo dai vicoli i kebab e gli involtini primavera. Libero tandoori in libera polenta, avrebbe detto quel goloso di Cavour. Invece di cacciare «lo straniero» - proprio noi che abbiamo colonizzato il mondo con le pizzerie - sarebbe utile capire le ragioni del suo successo. La possibilità di aprire un esercizio con la semplice autocertificazione, certo. Ma non sarà che i kebab pullulano in tutta Italia perché incontrano il gusto della clientela, hanno un costo contenuto e restano aperti fino a ora tarda? Conosco un pizzaiolo che ha scrutinato diversi italiani per il ruolo di aiutante. «Ma bisogna lavorare pure la notte?» era la loro domanda ricorrente. Sì, rispondeva lui, almeno finché la gente conserverà la pessima abitudine di mangiare la pizza alle dieci di sera e non alle quattro del pomeriggio. Questa scoperta sensazionale è stata sufficiente a disperderli. Alla fine ha dovuto assumere un marocchino.
Il modo migliore per limitare i kebab non è vietarli, ma liberalizzare gli esercizi pubblici, così da mettere i nostri ragazzi in condizione di aprire i loro spacci di porchetta, cotoletta, pane e salame e bagnacauda. Ma nemmeno l’alleggerimento burocratico potrà bastare, se vivranno il loro lavoro come una pena e abbasseranno le serrande quando quelle degli altri saranno ancora alzate.

di Massimo Gramellini per "La Stampa"

 
 
 

No al protezionismo....

Post n°67 pubblicato il 05 Febbraio 2009 da amministratore_blog

Non è forse un caso che l’appello “no al protezionismo” al termine del World Economic Forum tenutosi a Davos settimana scorsa abbia visto in testa Germania e Cina; i due paesi sono infatti i maggiori esportatori mondiali e sono anche quelli che subirebbero gli effetti più nefasti dall’innalzamento di nuove barriere al commercio internazionale.
Nonostante questo appello, un vento di “chiusura” soffia sopra l’economia mondiale; il pacchetto di “rilancio” del presidente degli Stati Uniti d’America, Barack Obama, contiene una clausola molto preoccupante, la cosiddetta “Buy American”. Se tale misura dovesse essere confermata al Senato, i rischi di passare da una recessione ad una depressione diventerebbero reali.
Il protezionismo nel settore delle opere pubbliche ed in particolare per le forniture di acciaio e di calcestruzzo vanno nella direzione sbagliata e se dovessero essere attuate, i partner commerciali degli Stati Uniti prenderebbero le contromisure in seno al WTO.
E dove porterebbe la misura di Obama? Semplicemente ad un innalzamento delle barriere doganali e al rallentamento ulteriore del commercio internazionale che già quest’anno si prevede in forte diminuzione a causa della crisi globale.
“Buy American” rischia di trasformarsi in “Depression’s World” e anche le “scaramuccie” tra il Ministro del Tesoro Americano e le autorità cinesi sui tassi di cambio sembrano andare nella direzione opposta a quella auspicabile.
In periodi di difficoltà economica è abbastanza ovvio, seppur non condivisibile, che si chiedano maggiori tutele, come è stato anche il caso della Gran Bretagna, con la protesta di alcuni sindacati che vogliono mantenere britannici i posti di lavoro.
Le parole di Gordon Brown di difendere i posti di lavoro britannici, poi precisate, sono un’altra indicazione sbagliata che arriva all’economia mondiale nel momento di grande difficoltà.
I dati sono preoccupanti come mostra la caduta del 3,8 per cento del prodotto interno lordo americano nell’ultimo trimestre dello scorso anno e i primi mesi del 2009 potrebbero essere ancora più duri.
I dati indicano recessione, ma certi politici preferiscono definire quella in atto la più grande crisi dal 1929. Attualmente le informazioni disponibili indicano che la crisi forse è la più grave negli ultimi 30 anni e non ha ancora nessun paragone con la “Grande Depressione”.
Sono i dati che parlano senza equivoci: in Germania la disoccupazione è ai livelli più elevati da un anno a questa parte, tuttavia circa 1,8 milioni di disoccupati in meno rispetto al 2005. L’economia tedesca potrebbe essere uscita dalla recessione nell’ultimo trimestre dell’anno scorso e anche in Spagna, paese molto colpito dalla caduta del settore immobiliare, il tasso di disoccupazione, seppur molto elevato è ancora molto distante dai tassi antecedenti al Governo Aznar.
La richiesta di maggiore regolazione serve alla classe politica per riconquistare quello spazio e quel potere che il mercato le ha sottratto negli ultimi anni; potrebbe sembrare un’affermazione fuori dal coro, ma si potrebbe dire che “per fortuna la politica è uscita dal mercato”.
Gli anni dell’inflazione a doppia cifra si registravano quando la politica monetaria delle banche centrali erano sotto il controllo dei Governi ed in generale la politica nel mercato non è mai stata troppo efficiente.
Alla crisi del ’29 si è risposto con maggiore protezionismo, si ricordi “quota 90” nell’Italia fascista e l’esito è stato una terribile guerra mondiale.
Protezionismo e nazionalismo vanno spesso “a braccetto” e dunque è necessario che s’imprima una svolta verso un accordo nel Doha Round.
Si è addirittura sentita la proposta di interrompere gli accordi Schengen e di libera circolazione delle persone e dei lavoratori; la semplificazione alla base di questa grave affermazione, la stessa posizione dei sindacati britannici, è quella per la quale i posti di lavoro sono rubati. Non sarebbe difficile comprendere invece che proprio da una limitazioni delle barriere le economie possono diventare più efficienti e quindi riprendere la strada dello sviluppo, ma la semplificazione politica a volte prende il sopravvento sul buon senso.
Al posto di chiedere maggiore regolazione, i politici devono impegnarsi seriamente per rilanciare il Doha Round e dare slancio al commercio estero, perché solo in questo modo si immette fiducia nel mercato e si evita di cadere nella temuta depressione.
Maggiore trasparenza, come richiesto dal Governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, è indispensabile affinché non ci siano asimmetrie informative, ma la maggiore regolazione invece andrebbe in direzione opposta.

Meno regole, ma più trasparenza.
Meno barriere al commercio e più sviluppo economico.
Due semplici ricette al posto della temibile accoppiata perdente “protezionismo-nazionalismo”.

By http://liberalizzazioni.blogspot.com/

 
 
 

Le proteste....

Post n°66 pubblicato il 05 Febbraio 2009 da amministratore_blog

L'approvazione alla Camera dei Deputati della nuova legge elettorale che fissa la soglia di sbarramento al 4% per poter essere ammessi al parlamento europeo, è stata salutata da alcuni come necessaria, mentre altri hanno visto in essa un attentato addirittura contro la democrazia. Sarà così?


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Delle possibili critiche avanzate contro la decisione di fissare una soglia di accesso troppo bassa per l'ammissione al parlamento Europeo, ne prenderò in esame due. In realtà i due argomenti non sono del tutto separati. Agli occhi di quanti sostengono che la nuova legge avrà effetti nefasti per i piccoli partiti, impedendo la rappresentanza di questi, quella legge avrà effetti negativi anche sulla qualità della democrazia, per cui la limitazione della rappresentanza politica dei piccoli partiti produrrebbe uno scadimento complessivo della nostra democrazia.


 





Ecco gli argomenti:


1) La limitazione di rappresentanza. Stabilire che solo quanti ricevono una certa quota di preferenze hanno diritto di accedere alle istituzioni rappresentative limiterebbe in maniera eccessiva la capacità di quelle istituzioni di rappresentare tutti i cittadini, anche quelli che non costituiscono la maggioranza che in quel momento ha raccolto più voti. Sarebbe un impoverimento troppo grave delle istituzioni lasciare che quanti non godono attualmente di consenso elettorale debbano essere tagliati fuori dai processi decisionali.


2) La limitazione della democrazia. Questa conseguirebbe dal punto precedente. Se le istituzioni rappresentano solamento i più forti e i più votati, dov'è la democrazia? Quale potere si esprime in quelle istituzioni, se ripulite della presenza dei più piccoli ma comunque significativi partiti?


Andiamo a vedere ciascuno di questi due argomenti. Premettendo una piccola postilla. Benché l'imperante partitocrazia italica, da tempo senescente, ci autorizzi a pensare all'auto-difesa dei piccoli partiti come ad un tentativo di difendersi dallo sgretolamento (con conseguente dissolvimento delle burocrazie e dei rimborsi elettorali), mettiamo da parte queste considerazioni più ciniche e prendiamo per buoni solamente gli argomenti confessati dai segretari dei piccoli partiti. Dei motivi inconfessabili, ognuno giudicherà da se.
Sulla rappresentanza. Se il peso elettorale di un partito è diminuito è certamente vero che c'è un deficit di rappresentanza, anche se questo non pertiene tanto all'istituzione che dovrebbe sobbarcarsi il costo di garantire quella rappresentaza diminuita; piuttosto il problema è (della rappresentanza del partito): se pochissimi lo votano, chi rappresenta? Questo è il vero nodo della rappresentanza. Invece, per i piccoli partiti sembra che il problema sia sempre da “trasmettere” alle istituzioni rappresentative: per pochi che siano gli elettori di un partito, questi dovrebbero essere comunque rappresentati. Ma un'idea simile nasconde una concezione della rappresentanza che è stata definita a “specchio”: le istituzioni dovrebbero rispecchiare la società nel suo complesso, sia essa costituita da forze politiche piccole o grandi. Per quanto assurda, una simile concezione politica è già un passo avanti per coloro che ne propugnano l'attuazione. In tempi non lontani, questa concezione a specchio sarebbe apparsa già sospetta, perchè sospette erano le istituzioni rappresentative: non si trattava tanto di trovare un metodo di rappresentanza più o meno “giusto” o efficace, ma lasciare che tutti i cittadini partecipassero direttamente alla politica (era questa appunto una concezione partecipatoria di democrazia diretta, rispetto a cui anche la concezione attuale “a specchio” sarebbe apparsa una diminuzione). Ora almeno si riconosce che il problema della cittadinanza può essere articolato anche nella forma della rappresentanza politica in istituzioni rappresentative e che queste possono dunque essere difese come democratiche. E' un passo avanti. Detto questo, anche per i più pugnaci assertori della proposta di legge per le elezioni europee, una compagnia di giro che va da Mastella ai leninisti di Rifondazione, non dovrebbe essere difficile riconoscere che esistono differenti livelli e gradi di rappresentanza e che una marginale modifica all'implementazione del meccanismo di rappresentanza non potrebbe da sola giustifcare appelli disperati circa l'eliminazione della rappresentanza tout court.
Sulla democrazia. Benché si senta affermare il contrario, la democrazia non coincide solo con la partecipazione o rappresentanza politica. Partecipazione e rappresentanza costituiscono una parte delle procedure democratiche, ma queste sono l'esito terminale, fra l'altro, dell'esistenza di diritti (quelli fondamentali detti costituzionali, per esempio, che rendono la partecipazione sensata e libera) che non sono disponibili al processo decisionale democratico, o lo sono solamente dopo processi di revisione costituzionale. Questa banalità è così patente che, passata la legge, i piccoli partiti potranno ancora fare propaganda e criticare le maggioranze, senza essere limitati nel loro diritto a fare ciò. Non basta dunque che la rappresentanza sia ostacolata nelle forme della sua realizzazione, per sostenere che legge che pone quell'ostacolo sia anti-democratica: alla minoranza odierna rimangono ancora gli strumenti per modificare in futuro gli assetti oggi così sfavorevoli a loro...appunto servendosi dei diritti fondamentali di cui sopra. Infine, proprio perchè quei diritti fondamentali non sono disponibili alla cangiante rappresentanza politica, la modifica non può essere nemmeno lontamente descritta come una possibile violazione dei diritti delle minoranze da parte delle maggioranze. Epperò, questa vicenda rivela qualcosa. Solo chi sottoscriva una concezione rigidamente statalista della politica e della rappresentanza potrebbe pensare di essere danneggiato dal fatto di non essere più parte delle istituzioni. Del resto esistono i diritti fondamentali garantiti a tutti, libertà di parola e pensiero, possibilità tecnica di diffondere il proprio pensiero a un costo molto basso rispetto al passato. Cosa temono i piccoli partiti? Di tornare nella mitica società civile? Dal loro punto di vista sarebbe quasi un premio. Inoltre esistono moltissimi gruppi sociali, più o meno organizzati, che riescono a fare lobby pur senza essere nelle istituzioni. Ma quest'ultimi, si dirà, dispongono di risorse materiali che i piccoli partiti non possiedono...ma qui torna a galla il movente inconfessabile, ovvero la rappresentanza politica come mezzo per accedere a risorse materiale di promozione dei propri interessi materiali e ideologici. Se questo tema ritorna, pazienza! L'importante è chiamare le cose col loro nome, e non trincerarsi dietro appelli nobili che chiamano in causa, addirittura, la democrazia, semplicemente per accaparrarsi risorse altrimenti indisponibili.

 
 
 

V.L del titolo di Studio

Post n°65 pubblicato il 05 Febbraio 2009 da amministratore_blog

Il 4/2/2009 presso Padava, si è tenuto un convegno organizzato dalla Federazione degli Ordini degli Ingegneri del Veneto, al quale hanno partecipato docenti, esponenti del mondo politico e professionale.
L'intervento che allegheremo (a cura di Andrea Moro) spiega come sia necessario ad oggi diminuire il valore legale del titolo di studio che comporta un appiattimento del "merito" e della bravura della classe docente.

Scarical'allegato:
(QUI: http://digilander.libero.it/amministratore_blog/PDF/ValoreLegaleTitoloStudio.pdf.pdf)

Buon Lavoro a tutti......

 
 
 

STRANEZZE!

Post n°64 pubblicato il 02 Febbraio 2009 da amministratore_blog

 
 
 

Divertirsi

Post n°63 pubblicato il 30 Gennaio 2009 da amministratore_blog

 
 
 

Tiriamo un ponte dall'altra parte dell'Oceano

Post n°62 pubblicato il 29 Gennaio 2009 da amministratore_blog

Il 9/1/2009, tanto per iniziare bene l'anno, alcuni professori ed economisti hanno voluto scrivere e firmare tutti insieme una lettera indirizzata al Presidente Obama.
Ci sentiamo completamente in sintonia con questi "illustri" ed anche se simbolicamente vogliamo lanciare un ponte immaginario sul quale corrono le stesse preoccupazioni e speranze per il futuro, casomai anche qualche proposta concreta.


Qui di seguito il testo:

"Nonostante tutte le relazioni degli economisti keynesiani che sostengono un notevole aumento degli oneri di governo (ovvero spesa pubblica), noi  non crediamo che la spesa pubblica sia la strada maestra da seguire per migliorare i risultati economici.
Più spesa pubblica da Hoover a Roosevelt non hanno aiutato l'economia degli Stati Uniti, durante la Grande Depressione del 1930.
Più spesa pubblica non ha risolto il "decennio perduto" del Giappone nel 1990.
E' impossibile per noi ritenere che la maggiore spesa pubblica aiuterà l'economia Statunitense oggi. Per migliorarla i politici dovrebbero concentrarsi sulle riforme atte a rimuovere gli ostacoli al lavoro, risparmio, investimenti e produzione. Abbassare le aliquote fiscali e ridurre l'onere di governo. A nostro avviso queste sono le armi vincenti per utilizzare al meglio la spesa di governo e dare un nuovo impulso alla crescita.
"


Buon Lavoro a tutti.....


(Per leggere la lettera originale del NYTimes QUI)

 
 
 

Una risata...

Post n°61 pubblicato il 27 Gennaio 2009 da amministratore_blog

Chi non ha nulla da nascondere, non ha grandi problemi.... c'è invece chi ne ha!!!

SCANDALO

 
 
 

Armiamoci e partite!!!

Post n°60 pubblicato il 26 Gennaio 2009 da amministratore_blog

Si sarebbe potuto titolare anche con un irriverente “son tutti finocchi, col culo degli altri”, frase salace resa celebre in una trasmissione televisiva di carattere umoristico. Senza alcuna offesa per le preferenze sessuali di chiunque - perfettamente legittime - in questo modo la provocazione sarebbe stata più evidente. Il significato non cambia: eticamente corretta ed umanamente doverosa, la solidarietà è un compito della collettività, da espletare tramite risorse generali, non da imporre solo ad alcuni, rigorosamente lasciandone ad essi l'onere economico.
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Uno strano argomento, si dirà. In un momento delicato, tra l'altro. Eppure, proprio ora è il caso di parlarne, in relazione alla scadenza del 31 gennaio che, da lunga data, costituisce il limite temporale per l'invio all'organo competente, da parte delle aziende (quest'anno, per la prima volta, in modalità esclusivamente telematica), dei prospetti informativi relativi all'obbligo di assunzione che riguarda le persone disabili …..... oops, le “categorie protette” (come resistere alla consueta, e peraltro doverosa, polemica in merito al linguaggio “politically correct”, così prodigo di neologismi atti ad intorbidare le acque …....?)
Dunque, la normativa vigente – un grazioso omaggio a tutti ed alle tanto amate piccole imprese del governo D'Alema nel marzo 1999, per mano dell'allora ministro del lavoro Antonio Bassolino, un nome una garanzia ….. - affronta un problema reale, relativo all'avviamento al lavoro di persone non più in condizioni di normalità, ma che conservino capacità lavorative residuali. Uno scopo nobile, peccato che sia perseguito nel solito modo dirigista e demagogico, scegliendo a chi imporre doveri e costi. Tale norma, la legge 68/99 che modifica la precedente legge 482/68, allarga infatti alle PI l'obbligo di assunzione, proporzionato al numero degli addetti - a prescindere dal fatto che siano disponibili o meno mansioni eseguibili – e lo rafforza con sanzioni pecuniarie piuttosto consistenti, che si applicano (travestite da contributo di solidarietà) anche quando si ottenga un esonero per evidente impossibilità di applicazione.
Sebbene le micro-aziende sotto i 15 dipendenti rimangano esenti, dovrebbe essere ovvio che la piccola dimensione costituisce un grosso ostacolo ad un simile percorso di solidarietà, dal momento che può rivelarsi davvero complicato reperire un ruolo ricopribile quando gli spazi sono ristretti ed il ridotto ambito impiegatizio di una PI manifatturiera (decisamente meglio sfruttabile di quello operaio) vede solitamente l'assenza di mono-mansioni semplici, contrariamente a quanto avviene nelle realtà dimensionalmente superiori e negli enti pubblici. Un esempio chiarirà meglio la situazione. Poniamo che una PI con 16 addetti voglia aumentare le sue potenzialità produttive e decida, perciò, di avvalersi dell'opera di un nuovo addetto: nel caso in cui già non abbia in organico un appartenente a categoria protetta, può operare una scelta nelle apposite liste ed assolvere, così, all'obbligo. Poniamo però – è il caso assolutamente normale – che in quell'ambito non sia possibile trovare un nominativo in grado di svolgere il compito per il quale si sta cercando un collaboratore e, quindi, sia necessario reperirlo al di fuori di esso: la legge stabilisce che, entro un anno (60 giorni in caso di seconda assunzione) dall'inserimento del nuovo addetto, si debba procedere …..... ad una assunzione aggiuntiva, pescando nelle predette liste, anche se non si abbia la minima idea di che nuovo compito inventarsi. Oh, naturalmente si offrono agevolazioni di varia entità, relative ai contributi assistenziali e previdenziali, ma certamente in tal modo non si compensa l'inutile onere economico – e spesso anche logistico - aggiuntivo: ancora una volta, dunque, è il caso di denunciare l'approccio anti-industriale del legislatore italiano. Demenziale? Peggio, frutto della mentalità cattocomunista secondo la quale le imprese sono un male e si devono accontentare di essere sopportate solo se accettano di vestire i panni della gallina da spennare.
Prima di arrivare al rivelatore punto finale, sarà opportuno prevenire un'immancabile obiezione, relativa al fatto che una legislazione protettiva delle categorie svantaggiate non è prerogativa specifica dello Stivale. Certo, è così. Con alcune fondamentali differenze: anche dove previste, le quote riservate sono più basse (nel nord Europa sono contrattate, non stabilite per legge), quasi ovunque l'obbligo non riguarda aziende così piccole e, soprattutto, le politiche agevolative sono mirate a favorire l'inserimento anziché ad imporre nuovi costi alle aziende, secondo l'ottica corretta che un incentivo è più efficace di un obbligo.
Eccoci ora, però, a quell'aspetto della normativa che taluni potrebbero considerare curioso, una sorta di scappatoia apparentemente offerta alle aziende, che rivela invece il vero obiettivo da raggiungere. Anche un minus habens (ogni riferimento a persone reali è puramente voluto …..) non poteva non prevedere i gravi problemi attuativi e, quindi, tutto il severo impianto doveva puntare alla consueta introduzione dell'ennesima tassa occulta, del tipo mai contemplato nei confronti statistici internazionali, che solo gli addetti ai lavori conoscono e che contribuisce a rendere così favorevole l'ambiente nel quale gli imprenditori italiani si trovano ad operare. Infatti, non manca un'alternativa. Si tratta di una modalità di azione, concretamente attuabile, che consente di ottemperare al dettato legislativo tramite la stipula di convenzioni – rigorosamente temporanee, al fine di mantenere in essere una comoda spada di Damocle sul capo degli imprenditori – con cooperative sociali ed organizzazioni di volontariato. In pratica il lavoratore disabile viene distaccato presso l'ente convenzionato, che paga stipendio e contributi, ma l'azienda soggetta all'obbligo affida ad esso commesse di lavoro per un importo sufficiente a coprire i costi, siano tali prestazioni efficaci e concorrenziali o meno: siamo in presenza, insomma, di una sorta di beneficienza obbligatoria, sempre nel solco della tradizione che vuole a carico del sistema produttivo un compito che spetterebbe alla collettività. In altri luoghi le somme destinate alla solidarietà vengono fiscalmente incentivate, qui imposte. Magari con un occhio di riguardo alle organizzazioni cattoliche …....
Tiriamo le somme. La legge entrata in vigore l'11 giugno 1970 (“Statuto dei lavoratori”), con tutti i suoi vincoli e costi, si applica solo a partire dai 15 dipendenti, anche la normativa qui in esame. 

C'è ancora qualche verginella che si chiede per quale strano motivo le PI evitano di crescere?

 
 
 

Strane visioni della vita...

Post n°59 pubblicato il 26 Gennaio 2009 da amministratore_blog

 
 
 

I giochetti della Lega e le nostre povere tasse...

Post n°58 pubblicato il 26 Gennaio 2009 da amministratore_blog

Non esiste alcuna ragione per non tenere i prossimi referendum elettorali insieme alle elezioni europee e amministrative.
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La legge stabilisce che i referendum vadano tenuti tra il 15 aprile e il 15 giugno del 2009. Durante lo stesso periodo verranno anche celebrate le elezioni per il parlamento europeo e varie elezioni amministrative. Il ministro Maroni ha già deciso che queste elezioni si terranno in un'unica data (chiamata, con il solito inutile anglicismo, ''election day''), fissata per il 6-7 giugno. Resta da decidere la data dei referendum. Esiste una qualche ragione di buon senso per non fare i referendum la stessa data delle altre elezioni? La risposta è no. Abbinare le date farebbe ovviamente risparmiare soldi, che il presidente del comitato referendario Guzzetta stima in circa 600 milioni di euro. Non ho trovato conferma (o smentita) indipendente di tale cifra, ma veramente non è questo il punto. Anche se il costo fosse molto minore è chiaro che comunque sarebbe sostanziale, alcune centinaia di milioni di euro. Personalmente non ho mai sopportato quelli che si lamentano dei costi delle elezioni; la democrazia è importante e i soldi che si spendono per farla funzionare sono meglio spesi di tanti altri. In questo caso però si può far funzionare la democrazia risparmiando soldi. Non solo, l'abbinamento fa funzionare meglio la democrazia perché promuove la partecipazione popolare ai referendum. Non esiste quindi alcuna ragione di buon senso per scegliere una data diversa dall'election day: l'abbinamento favorirebbe una riduzione dei costi e un aumento della partecipazione.
Naturalmente esistono ragioni che non sono di buon senso. La Lega è contraria ai referendum e sembra decisa a seguire la strategia di far mancare il quorum, anziché combattere a viso aperto la battaglia referendaria. Perché la Lega sia contraria ai referendum è presto detto. Essi prevedono l'eliminazione del premio di maggioranza alla coalizione, assegnandolo invece al primo partito. Con le nuove regole la Lega sarebbe costretta a presentare un'unica lista con il PdL (o altro alleato) oppure a rischiare che il premio di maggioranza vada a qualcun altro. Non è scontato che questo farebbe perdere potere alla Lega, il suo potere di contrattazione al momento della formazione delle liste resterebbe comunque assai forte, ma evidentemente i suoi capi hanno paura. I capi della lega sembrano anche convinti che, in assenza del trucchetto di far mancare il quorum, i SI ai referendum vincerebbero. Da qui la tentazione di fissare la data dei referendum il 14 giugno, una settimana dopo l'election day. C'è il rischio quindi che i soldi dei contribuenti vengano gettati al vento e lo strumento referendario ancora una volta venga mortificato solo per servire interessi ristrettissimi di partito.
Credo che tutti siano coscienti che la legge elettorale che uscirebbe dal referendum non sarebbe gran che. Ma il referendum serve come potente stimolo per affrontare la discussione e fare una riforma elettorale decente. C'è ancora tempo, se lo si desidera e se la si pianta di baloccarsi con questioni irrilevanti, per fare una buona legge. Non solo, in questo parlamento si è creata una situazione per cui una buona legge è anche possibile. Ma questo succederà solo se la minaccia del referendum segue viva.
L'attuale legge elettorale è, per ammissione del suo primo firmatario, una porcata. Evitiamo di aggiungere porcata alla porcata. Teniamo i referendum elettorali il 6 e 7 giugno.

 
 
 

La deficienza non ha partito....

Post n°57 pubblicato il 23 Gennaio 2009 da amministratore_blog

Dopo le dichiarazioni di Castelli ora quasi all'unisono arrivano anche quelle di Marrazzo. Entrambi mettono a  nudo una certa ignoranza ed incompetenza della classe politica su determinate materie, non ostante ciò senza nessun pudore esternano le loro idee da "piano-bar", che spesso rasentano la totale deficienza.
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Dichiarazioni di pochissimo tempo fa, fatte dal governatore del Lazio, Piero Marrazzo:

«Riteniamo non solo per Fiumicino ma anche per Cai che ci siano le condizioni - ha aggiunto Marrazzo - per rimanere protagonista del sistema aereo del nostro Paese. Noi offriamo un aeroporto intercontinentale, la chiusura di Ciampino e lo spostamento a Viterbo dei low cost, perché un low cost competitivo sul territorio crea difficoltà ad una compagnia come Cai»

Facciamoci a capire, come si dice, prima Castelli poi Marrazzo (le posizioni non è che discordino poi di così tanto), allora le cose sono due: o questi illustri personaggi hanno scoperto le virtù di una "economy" stile URSS (qualcuno me ne illustri alcune perchè io personalmente non ne vedo nemmeno una), oppure i limiti di guardia della follia hanno raggiunto il loro massimo picco.
Se fosse scelta la prima opzione, bene carissimi io espatrio anche con una certa velocità. Se  poi osiamo solo scegliere la seconda (anche se tra le due.... ) darebbe un grande dispiacere solo pensare che un Governatore regionale ed un Sottosegretario di stato siano usciti del tutto di testa.
Noi da canto nostro, per non saper ne leggere ne scrivere, consigliamo una soft-solution, ovvero quella di prendere un bel libro di Economia (viste le competenze anche un Bignami) e cominciare a studiare qualcosina. Ricordate solo i coglioni non cambiano mai idea.

Ciao a tutti....

 
 
 

Investitura.... A posteriori....

Post n°55 pubblicato il 21 Gennaio 2009 da amministratore_blog

Due riflessioni rischiose sul fenomeno Barack Obama, non più candidato, non più presidente in pectore, ma Presidente.
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Obama e BushHo sentito l'inaugurazione di Obama come cosa abbastanza aliena, della quale avere un certo, quasi reverenziale, timore. Certo una cosa non mia, per niente mia.
Non tanto il discorso - per quanto, anche il discorso ... - né l'imponenza dello spettacolo, i suoi costi (andranno nello stimulus plan) o lo show musicale, il ballo del Commander in Chief e tutto il resto. La presidenza USA è sempre stata imperiale, così è stata concepita sin dai suoi albori e non vi è nulla di sorprendente che ogni nuovo presidente cerchi di eclissare l'anteriore proprio lungo la dimensione imperiale, di fasto e potenza, che così tanto conta nell'immaginario di questa nazione. Questo è ancor più comprensibile in una situazione di profonda crisi quale la presente ed a fronte di un cambio della guardia fra due persone così, apparentemente, diverse e, certamente, così politicamente contrapposte. Il presidente più di "sinistra" da sempre succede ad uno dei presidenti più di "destra" di sempre: ovvio che voglia far vedere al suo paese ed al mondo la propria potenza.
Tutto questo, insomma, era previsto e, se non vi fosse stato il resto, credo che avrebbe potuto servire per farmi sentire, almeno emozionalmente, anche io partecipe di questo "cambio epocale". Il problema è che io non vedo alcun cambio epocale, anzi: vedo continuità. Assurdo? Può darsi, per cui mi spiego.
Non vedo, ovviamente, continuità nelle politiche relative ai diritti umani (l'ovvio esempio: oggi stesso Obama ha ordinato la sospensione dei processi a Guantanamo, le misure di detenzione già sono state modificate e presto son certo che il lager verrà chiuso) né, in parte, della politica estera. Su questa comunque pesano sia la storia passata che quella più recente, definendo dei vincoli tanto stretti che, credo, se Barack Obama riuscisse veramente a farli saltare durante il suo mandato, dovrei sorprendermi alquanto. Non ho dubbio, comunque, che l'uomo ci proverà. A questo livello, quindi, continuità zero.
La politica sociale, penseranno alcuni, è un'altra dimensione lungo la quale Obama sarà senz'altro ortogonale a Bush. Discorso troppo lungo da farsi, per cui vado per slogan: aldilà delle cretinate propagandistiche che scrivono i giornali italiani, la politica sociale di Bush non è stata tanto diversa da quella di Clinton e quella di Obama nemmeno sarà tanto diversa da quella di Clinton, per cui ... Chi vivrà vedrà ma evitiamo la mitologia della spesa pubblica in infrastrutture che non c'è stata per otto anni ed ora esplode. La contabilità è molto semplice: quello che si riuscirà a risparmiare riducendo le spese in Iraq (sperando di non aumentarle in Afghanistan) si spenderà a casa, più un pelo di extra deficit. Punto. Ma lasciamo stare, ci sarà tempo per questo.
Vengo quindi alla continuità, che è semplicemente detta.

"I am (we are) on a mission from God."

God, per carità, c'è sempre nei discorsi dei presidenti USA, per cui tutto dipende dall'intensità con cui lo tirano fuori, e quando, e per quali ragioni. E quanto spazio decidono di dare ai simboli religiosi, ai messaggi religiosi, nelle loro apparizioni pubbliche. Di Bush, che con il suo God ci parlava faccia a faccia, sappiamo già tutto, inclusi gli scherzetti che gli ha tirato in Iraq. Riflettiamo su Obama, invece.
I suoi discorsi, lo sappiamo, sono quelli dei pastori battisti americani. Nel suo discorso inaugurale, il signor God è spuntato solo cinque volte (nelle varie analisi non ho trovato alcun confronto con quello di Bush, ma spunterà ...), ma l'intero messaggio aveva carica religiosa. Ha deciso di far aprire la cerimonia da un prete, battista anche questo se ho capito bene, il quale ha pregato (tutti in ginocchio, tutti a capo chino) per dieci minuti, finendo con un bel "amen". Il suo continuo appellarsi alla fede è parallelo a quello di Bush, eccetera. Potrei continuare, ma alla fine ciò che conta non sono tanto i singoli atti o le parole, ma l'intera atmosfera che, sia oggi che nei giorni scorsi, sia qui che all'estero, sui giornali e in televisione, aveva uno e un solo messaggio: questo è un second coming, un momento di rigenerazione (espiazione no, grazie, abbiamo già dato), di rinnovamento interiore e materiale che otterremo seguendo la guida di un grande e nuovo leader. Il quale, magari, non sarà letteralmente quello previsto dai teorici del second coming, ma gli assomiglia alquanto.
E in questo, in questa visione messianica del suo ruolo, nell'idea chiarissima in "tutti" che da lui, dalla sua amministrazione, dalle sue scelte dipende il nostro futuro, dall'idea che dio è con noi e ci guida e siamo la nazione prescelta, dall'idea che occorre rifondare il paese dalle radici, tornare alla "vera America" (quante volte l'ha ripetuto questo concetto?), dall'idea che poiché abbiamo eletto un nero alla presidenza il nostro (USA) peccato originale ci è stato perdonato, abbiamo espiato ed ora siamo una nazione più pura, unita, giusta, in tutto questo incredibile simbolismo ed in questo afflato religioso, di palingenesi totale ... in questo io trovo, profonda, la continuità con George W. Bush.
La differenza che tutti notano, ossia che Bush è un fondamentalista religioso di destra mentre Obama è un fondamentalista religioso di sinistra, a me sembra completamente secondaria. Entrambi, Bush ed Obama, sono l'espressione politica di quello che Bob Fogel chiama The Fourth Great Awakening (leggetevelo il libro, ve lo raccomando) che è in corso nella società americana dagli anni '50-'60 e che sta ora giungendo a maturazione. Ciò che rende questo risveglio religioso potenzialmente negativo, è il suo intrecciarsi e scontrarsi con un altro risveglio religioso, quello del fondamentalismo musulmano. Che, guarda caso, inizia proprio nello stesso periodo, fine anni '50 - inizio anni '60, in cui Fogel data le origini dell'americano, ed ha le stesse motivazioni socioeconomiche.
Da questo punto di vista, il risorgere di "dio-patria-famiglia" in Europa - sia esso nella versione medievale del signor Ratzinger, o in quella d'avanspettacolo del duo di laidi peccatori BS-Fini, o in quella del nazionalismo aggressivo di santa madre Russia - io lo vedo come l'eco, il riflesso necessario, di queste due emergenze, più profonde, più antiche e senz'altro più "sentite" (nel senso in cui i risvegli religiosi devono essere "sentiti" dal popolo per avere rilevanza storica). La riscoperta europea della supposta identità cristiana (in qualsivoglia variante) è un processo che parte dalle elites politiche e religiose e che viene fatto proprio dalle masse solo come strumento per reagire ad un'aggressione esterna (l'immigrazione, prima ancora che il terrorismo). Essa è uno scudo di autodifesa, la manifestazione di un'identità che dovendosi affermare "altra" dal moro immigrato lo fa in modo banale, appellandosi ai simboli storici di quella identità: la croce contro la mezzaluna. Ma non è questo un risveglio religioso, una riscoperta di spiritualità, un afflato morale, un richiamo a valori antichi che di nuovo vengono praticati, e così via. Tutto questo, nelle masse europee, non sta accadendo: esse vivono e si comportano tanto secolarmente ed irreligiosamente ora quanto trent'anni fa. Questo al contrario delle masse americane, specialmente le meno abbienti, per le quali la riscoperta della religiosità è effettiva ed influenza drasticamente i comportamenti anche quotidiani, i sistemi di valori, le scelte, la visione del mondo. Ed in contrasto, ovviamente, delle centinaia di milioni di musulmani che vanno progressivamente identificandosi con la versione integralista della loro religione.
In Europa la "cristianita'" è una "buzz-word" che serve una funzione di coordinazione politica per la nuova destra europea, per niente liberale, corporativa, xenofoba, autoritaria: tutte queste pessime caratteristiche diventano pregi se le vendiamo sotto l'ettichetta della cristianità.
Negli USA il risveglio religioso viene prima, da molto lontano, non ha motivazioni politiche - la destra forcaiola e guerrafondaia USA ha cercato, con successo, di manipolarlo in quella direzione dopo 9/11; un successo con cui Obama dovrà fare i conti e non saranno conti facili - ma ha (forse, questa almeno è la tesi di Fogel) motivazioni socio-economiche legate alla crescita della diseguaglianza ed alla ricerca di soluzioni egualitarie.
Aldilà di quali ne siano le cause, che non credo proprio d'aver capito, il fatto è che il risveglio religioso USA coinvolge tutti, non è né di destra né di sinistra, ma è della nazione. E' un risveglio religioso popolare e condiviso. Questo risveglio religioso riflette o genera (causa? effetto? non saprei) una domanda di cambiamento radicale, di rigenerazione morale e comportamentale, di nuovo "coming together" of the nation, di una rinnovata fiducia nello stato, nella politica "grande" che salva la vita: basta seguire fedelmente gli ordini che i nostri grandi leaders ci danno. Non scordatevi, per favore, che il messaggio originale di Bush era quello del "compassionate conservatism" della bible belt che, dopo 9/11, trasformò rapidamente nel più congeniale "war on terror". In entrambi i casi il messaggio aveva radici religiose e invitava a follow the leader nella nuova grande missione di cambiamento e rigenerazione.
Obama, io credo, è la versione di sinistra di questo stesso fenomeno: è la politica, nella persona del grande presidente, che ci salverà dalla crisi economica in cui siamo caduti. Il mondo intero attende, apparentemente, d'essere salvato da Barack Obama: change you can believe in, ha promesso, e tutti ci credono. Forse per mancanza d'alternative.
Personalmente, la messianità evangelica di tutto questo mi paralizza perché, nelle cose che contano, it is going to be business as usual. Per questo sento Obama (come sentivo Bush) completamente estraneo a me: perché le regole di questa politica non solo non le condivido, nemmeno riesco a capirle.

 
 
 

Le stravaganti idee di Castelli

L'ingegner Roberto Castelli, Sottosegretario alle Infrastrutture e Trasporti, prende l'aereo per andare in ufficio, e......
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Il sottosegretario Castelli ha rilasciato oggi la seguente dichiarazione al Corriere:

"Rilevo con stupore che un biglietto aereo di sola andata da Roma a Milano da prenotare per venerdì prossimo alle ore 13, quindi in un orario non di punta, costa 325,80 euro."

Lo "stupore" è la cosa più bella - perché fornisce idea degli abissi di conoscenza e sofisticatezza intellettuale con cui vengono prese le decisioni politiche.
Con autorevolezza il Sottosegretario chiarisce poi la logica industriale del progetto CAI.

"L'avere concesso a Cai/Alitalia di agire in regime di monopolio tra Roma e Milano al di fuori delle regole dell'antitrust, doveva servire ad agevolare l'avvio della nuova compagnia aerea"

Tuttavia qualche dubbio comincia ad affiorare nel Sottosegretario che, in un attimo di resipiscenza, afferma senza mezzi termini...

"325,80 euro per andare da Roma Fiumicino a Milano Linate sembra francamente una cifra fuori dal mondo."

E poi prosegue:

"Significa utilizzare in maniera troppo disinvolta le regole di monopolio."

Qui il nitore del ragionamento comincia ad appannarsi perché non è propriamente intuitivo comprendere a quali regole alluda il Sottosegretario di Stato alle Infrastrutture e Trasporti, visto che si tratta di un monopolio non regolamentato. Quelle della continenza? Quelle della buona creanza?
Che qualcosa si sia irrimediabilmente incrinato lo ricaviamo dalla perla con la quale si chiude la sua dichiarazione:

"Auspico che Cai voglia rivedere quanto prima la sua politica tariffaria, che se con Alitalia era giustificata dalla concorrenza di altre compagnie sulla stessa tratta, ora non ha motivo di esistere"

Secondo il Sottosegretario in concorrenza si praticano prezzi maggiori di quelli che si fanno in monopolio. L’appannamento, purtroppo non era temporaneo. E’ un’eclisse vera e propria.

 
 
 

Giustizia: aspetti poco chiari e discussi

Post n°53 pubblicato il 20 Gennaio 2009 da amministratore_blog
 

Un recente articolo de "La Stampa" ci informa che gran parte dei tribunali lavora solo mezza giornata per "mancanza di personale". Uno scandalo, specie alla luce dei tempi della giustizia italiana, che come sappiamo dagli articoli di Axel e relativi commenti, dipendono in buona misura dalla lunghezza dei rinvii.
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Non si può dire si tratti di uno scoop: per esempio dei problemi di disponibilità dei cancellieri si era già parlato più volte su Report. Credo però che alcuni passi dell' articolo meritino un po' di approfondimento:

"Cosenza era uno degli ultimi baluardi dell’attività pomeridiana ordinaria. «Ora non più, tranne singoli processi in corte d’assise per ‘ndrangheta o altro - spiega Renato Greco, presidente del tribunale bruzio -. Ho pressanti richieste da parte del dirigente amministrativo. A novembre ho dovuto inviare una circolare ai miei giudici: l’orario previsto finisce alle 14». Perché? «Semplice: non ci sono più soldi per pagare gli straordinari ai cancellieri»"

 Sorgono spontanee due domande:

  • Ma questi hanno una vaga idea di come si gestisce un'azienda? Per non pagare straordinari ai cancellieri buttano mezza giornata di giudici, guardie e tribunali? Credono che Fiat chiuderebbe le linee di montaggio per non pagare due ore di straordinario ai magazzinieri?
  • Perché dovrebbe essere necessario lavoro straordinario per tener aperti i tribunali nel pomeriggio? Il resto del paese lavora fino alle 18 o giu di li.

La risposta al secondo quesito la fornisce lo stesso articolo:

"«Molti cancellieri non volevano più restare “imprigionati” in udienze che a volte finivano anche alle 11 di sera senza che neppure venisse loro pagato lo straordinario, così hanno richiesto il part time. A un part time non si possono chiedere straordinari, quindi niente udienze»"

 

 Per una volta mi sento di spezzare una lancia a favore dei cancellieri: se c'è l' esigenza di proseguire le udienze a oltranza va regolata contrattualmente ed adeguatamente retribuita, la pretesa che questi lavorino gratis e senza preavviso è assurda. Se ho capito male e questa disponibilità era retribuita a forfait, spero che questo forfait non venga riconosciuto ai part-time. Detto questo, la risposta è lungi dall' essere soddisfacente: si lascia intendere che l'ottenimento del part time non è subordinato alle esigenze operative, il che è assurdo , come è assurdo che tutti i lavoratori part-time debbano lavorare la mattina, a prescindere che la cosa dipenda dai dirigenti o dai regolamenti. Chi non sopporta le esigenze del proprio mestiere ha sempre l'opzione di cercarsene un' altro. Ho anche un piccolo problema coi numeri riportati:

"Francesco Scutellari, presidente del tribunale di Bologna, ha dovuto siglare un accordo con i sindacati: «Le udienze non potranno più superare le 17,30, in nessun caso - dice -. Ad Arezzo addirittura è stato chiesto come orario limite le 14, ma lì hanno carichi diversi»

Eppure quella dei sindacati sembra una cautela eccessiva. Alle 16 a Palazzo Baciocchi, dove si svolgono i processi penali, le luci delle aule sono spente.
...
A Bologna ci sono 246 cancellieri in pianta organica, 207 in servizio a cui vanno sottratti 13 applicati fuori. Poco meno di un terzo sono part time."

 

Questo lascerebbe circa 130 cancellieri , diciamo 100 fatta la tara e ferie, malattie e quant'altro. Davvero non bastano per tener aperto il tribunale nel pomeriggio, seppur a regime ridotto? E davvero nessuno di questi 100 è disposto a fare uno strappo alla regola delle 17.30? E davvero non c'erano margini di trattativa su quel "in nessun caso"?

Infine ho trovato buffo questo commento:

 

"i giudici che, senza più personale, il pomeriggio rientrano a casa a studiare le sentenze"


Maledicendo il destino cinico e baro che li priva di mezza giornata lavorativa, immagino. O magari vanno a farsi i fatti propri come spesso farei io al posto loro?
Al solito, il problema sembra venire da un mix di mancanza di incentivi, regolamenti assurdi ed incapacità gestionale. E le esigenze di servizio sono subordinate alla comodità del personale.

 

 
 
 

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