SL-Movie Magazine

The Hostel


Alcuni amici hanno obiettato che essendo The Hostel un film dell’orrore, il fatto che trattassi di questo film su SLMM di Dicembre era una contraddizione al fatto che io affermo di non amare quel genere. Specifico che non è che non lo amo, è che a mio avviso soffre di una deriva tecnologica (a proposito, anche l'uso del voice in SL è, a mio avviso, una deriva tecnologica) che inganna nel contenuto lo spettatore che forse è davvero il masochista che sostiene sia quel qualcuno che così definisce lo spettatore-tipo di quel genere di film. E’ probabile, perché, a pensarci bene, la posizione dello spettatore è, in sala, tutto sommato, attiva. Cioè, si spaventa davvero! Però resta, a mio avviso, menzognero dare “la colpa” del male ad uno in particolare (e certe cronache reali avvallano –per comodo- questa tesi) mentre invece è ovvio che il problema non sono mai direttamente i singoli che sono e saranno sempre l’espressione di una realtà. Solo che questo discorso non piace, anche per le implicazioni quanto a senso di colpa e storiche, assolutamente enormi, che in The Hostel non è possibile non tenere a mente: sappiamo tutti benissimo che le terre dell’Europa dell’est sono luoghi che hanno visto molti orrori e seppellire qualcosa nell’invisibilità è una pretesa che quel film dimostra quanto sia assurda a chi volesse tentare qualcosa del genere. E mi riferisco a chi pensa sia vero solo quello che si fa vede in televisione. Mi dispiace ma questa è pura illusione: ogni essenza resta in background. Su questo si potrebbe discutere per ore ma taglio corto mettendo sul tavolo ciò che di meglio risulta dalla visione dei due Hostel, e cioè che nessuno esce indenne, senza colpe, da lì. E’ questa la ragione per cui un film come questo non può, ma DEVE essere interpretato da sconosciuti. Ecco, rispetto al generico horror la grandezza dei due Hostel sta proprio nel non esserci vie d’uscita né per le vittime ma nemmeno per i carnefici e nemmeno per l’organizzazione che gestisce il business dell’orrore. E’ inoltre perfettamente credibile (e importante per la narrazione) che ciò avvenga in un una zona del mondo testimone del peggio che l’umanità abbia mai prodotto in termini di male. Talmente peggio che solo oggi qualcuno comincia a pensarlo come un qualcosa di voluto e organizzato e non come opera di un pazzo. Non aiuta, anzi peggiora la situazione quanto a paura, il fatto che sappiamo che esiste l’essere spietati e che sappiamo anche come questa spietatezza, spacciata per competitività, è una caratteristica che ci spaventa moltissimo fuori dal contesto occidentale dove pensiamo vi sia un valore che si chiama etica. Lo pensiamo, lo speriamo e tendiamo a censurare quelli che pensano che l’etica sono solo facciata. Tralasciando la “povera” politica che tutto questo non lo sa affrontare, sa invece benissimo quanto non sia vero, questo, l’arte moderna. Lo sa la musica e lo sa una certa fotografia che ha documentato i codici del lusso e del potere che sono la base del successo mondiale del “fashion”, un valore assolutamente consolidato sia nella Real Life che nella Second Life. Ma nel fashion vi è un qualcosa che ci mette a disagio, come sanno bene gli sceneggiatori di The Hostel I e II. Ad ogni grande iterrogativo, però, ricordo, non è necessario dare una risposta. Sapere, costituisce già, di per se, un ottima cosa. Ecco perchè certi horror, no, non li prendo in considerazione. Non è snobismo per il genere, è la solita cosa normale: certe narrazioni sono fuorvianti. Secondo me anche in malafede mai se ne può discutere. E a me piace parlarne anche se, le immagini, spesso, raccontano moltissimo. Saluti.