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ALKIMIA

la trasformazione attraverso le parole, le immagini, i colori, i cristalli, i suoni e...l'amore

 

 

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Post N° 36

Post n°36 pubblicato il 22 Luglio 2008 da danaicsi

 

Corso di Teosofia

28^ Lezione

La Vita oltre la morte

(quarta parte)

Parliamo ora di ciò che avviene nei momenti che precedono immediatamente o che seguono il decesso.

Il processo dell’arresto della vita avviene per tappe sul piano fisico; è accompagnato da una progressiva ritirata della coscienza, che, dapprima, perde l’uso degli organi di azione volontaria e dei sensi (l’udito può spesso restare attivo a lungo) per risalire, in seguito, gradualmente, dal piano delle emozioni e dei pensieri terreni fino alla radice della coscienza personale.

Durante questa risalita, Helena Petrovna Blavatsky precisa che il morente potrebbe avere delle visioni di coloro che ama e che pensa di più.

Il Dr. Moody asserisce che, alcune persone tornate dalla morte hanno confermato di essere stati accolti nell’aldilà da parenti deceduti, venuti a rassicurarli ed a condurli verso il loro destino.

Queste apparizioni, più o meno fugaci, lasciano in seguito posto all’esperienza decisiva del passare in rassegna tutta la propria esistenza.

Riflettiamo sulle caratteristiche di questa visione: essa è completa ed integrale (tutto è rivisitato fedelmente, fino al più piccolo dettaglio); mette in luce la sottile concatenazione tra causa ed effetto di cui è stata intessuta l’esistenza; è obiettiva (l’uomo si vede quale è stato realmente) ed è vissuta al di fuori del dominio delle emozioni.

E’ sicuramente un esperienza solenne, una sorta di illuminazione che si impone alla coscienza con forza e chiarezza: pazienti rianimati in extremis hanno più volte dichiarato al Dr. Moody di essersi trovati di fronte ad una presenza soprannaturale – un Essere di Luce pieno d’amore e comprensione – che li faceva assistere a questa visione retrospettiva della loro esistenza.

Questo Essere luminoso e comprensivo non ci deve sorprendere , specie se pensiamo alla natura dell’Ego Superiore che è quasi onnisciente nella sua natura immortale.

Ne "La Chiave della Teosofia" è chiamato "Filo Dorato", ma è anche, per la personalità terrena, come un congiunto che la sostiene instancabilmente con i suoi poteri durante tutta la sua esistenza.

Si capisce perché i morenti si sentano amati e totalmente capiti da questo Essere di Luce, senza dover neanche parlarsi.

Alcuni di questi rinvenuti hanno addirittura assicurato di aver fatto con Lui una sorta di esperienza di totale onniscienza (vedi: "Luci nuove sulla vita dopo la vita del Dr.Moody) . Ne "La chiave della Teosofia, H.P.Blavatsky fa riferimento in più punti a questo carattere quasi onnisciente dell’Ego Immortale o Anima.

Notiamo che queste esperienze dei morenti sono totalmente sorprendenti per coloro che le vivono, che essi generalmente le interpretano nel quadro delle loro credenze religiose: sono persuasi che Dio, o il Cristo è apparso loro.

Ne "L’Oceano della Teosofia, W.Q.Judge, distingue - in prossimità della morte – fra i fenomeni esteriori legati alla fisiologia (sintomi della morte, la concentrazione delle forze del corpo e del mentale nel cervello, la cui attività si svolge ora a beneficio dell’Ego Immortale) e le esperienze peculiari della persona che lascia questo mondo, non in fretta, bensì quando il suo compito sia terminato.

Infine, dopo il bilancio dell’esistenza e la lotta dell’uomo per sganciarsi dal corpo, l’ astrale si stacca dall’involucro fisico – la morte è allora definitiva e la vita nel corpo fisico si spegne, come la fiamma di una candela su cui si soffia.

Alla luce di quanto detto, appare chiara la necessità di "accompagnare", con solenne silenzio , gli istanti che precedono e che seguono il decesso.

Pensieri di Luce, preghiere, mantra o invocazioni possono aiutarlo in maniera considerevole.

I pianti isterici e le grida di dolore, infastidiscono, ostacolano e tormentano l'essere disincarnato ma ancora legato al piano fisico/eterico.

Egli viene distolto da quegli attimi di estrema importanza ed ostacolato nel suo naturale corso post-mortem.

Corso di Teosofia

29^ lezione

La Vita oltre la morte

(quinta parte)

Cerchiamo ora di chiarire le differenze che esistono tra la morte naturale e quella violenta e quali sono le conseguenze nell’aldilà.

La morte violenta è in un certo qual modo un avvenimento contro natura : non ne sono preparate la parte fisica né la sua controparte astrale e vitale dell’essere.

Essa lo sorprende prima della fine del suo "programma biologico" e spesso quando è ancora in piena forma fisica e psichica.

Così, brutalmente privato del suo corpo fisico , questo essere resterà ancora "vivo" – fino a quando il vero termine naturale della via sia sopraggiunto, che si tratti di un mese o di sessant’anni. Solo allora la forza coesiva dei principi inferiori si sarà esaurita e il processo della seconda morte potrà cominciare.

In questi particolari casi, lo stato di "morte parziale", viene di norma vissuto in una semi-incoscienza, se l’individuo apparteneva alla media degli esseri umani.

Ma se si tratta di un essere perverso, pieno di appetiti grossolani, o pieno di rancori nei confronti dei suoi simili, o della società (è il caso di criminali giustiziati) , oppure se ha messo fine alla sua esistenza volontariamente, disperato per non poterne più godere a volontà, non può sfuggire ad una determinata esperienza cosciente del Kama-Loka, che molto probabilmente è dolorosa. ( vedi lezione n.27 - La Vita oltre la Morte n.3)

Se un uomo muore – anche di morte naturale – con un violento desiderio di vivere, o eventualmente di portare a termine la sua missione, può accadere che l’entità, privata del proprio corpo, rimanga per un certo periodo nell’ambiente terreno, manifestandosi persino ai vivi ( senza per altro esserne consapevole).

Per quanto riguarda i giustiziati, o i suicidi, l’energia del desiderio che li trattiene prigionieri nel nostro mondo può essere ancora più forte: vi è persino il rischio che diventi parassita di alcuni viventi che sono indotti allora, causa la loro natura troppo passiva, a manifestare a loro volta le caratteristiche dell’entità trapassata.

Lo stato di coscienza dell’essere disincarnato, morto in situazioni tragiche, può essere drammatico. Egli rivive un incubo ricorrente, in cui sono incessantemente passate in rassegna, in ogni dettaglio, le drammatiche circostanze che hanno portato alla morte.

Notiamo che alcuni sopravvissuti al suicidio hanno confermato al Dr. Moody quanto è stato già formulato molto più di un secolo fa dalla Società Teosofica.

E’ facile capire come la durata e la qualità delle esperienze postume siano essenzialmente variabili da uomo a uomo, direttamente in relazione con la qualità e la molteplicità delle esperienze terrene.

Per esempio, se l’individuo ha dato libero corso ad ogni tipo di passioni e desideri, mobilitando a tal fine tutte le energie disponibili (materiali e spirituali) , ha creato in se stesso una sorta di entità astrale o psichica, potente, capace di sopravvivere a lungo nella sfera del Kama-loka ed alla quale l’Ego Immortale dovrà – per così dire – strappare con fatica le energie psichiche omogenee alla propria natura spirituale: si presume che la durata del processo di questa seconda morte non possa essere paragonato a quella che vivrà un uomo puro e totalmente consacrato ad una nobile causa.

La regola, per chi muore di morte naturale, è che resterà nella sfera d’attrazione terrestre ( il Kama-loka ) per un periodo che va "da pochi giorni a qualche anno" . Vi sono tuttavia delle eccezioni, come abbiamo accennato sopra.

Per quanto concerne il Devachan, per la media degli individui esso dura alcuni secoli. Ben inteso, se si prende in considerazione ogni singolo essere, il tempo che intercorrerà realmente tra la sua morte e la sua reincarnazione può variare considerevolmente.

Può accadere persino che un individuo non faccia nessuna esperienza nel Devachan (come il caso di un essere grossolano, pieno di egoismo).

Come abbiamo già visto, questa esperienza non dipende soltanto dalla ricchezza delle energie spirituali da assimilare per l’Ego Immortale: essa viene attivata dalla fede nella sopravvivenza.

Da quanto sopra esposto, si comprende chiaramente l'importanza, per l'individuo, di dedicare gran parte del suo tempo e delle sue energie a quella che viene definita "Ricerca Interiore".

Nella vita "oltre il velo", raccoglieremo quanto seminato nel transito terrestre.

Corso di Teosofia

30^ Lezione

La Vita oltre la morte

(sesta parte)

Vediamo quindi a qual punto la durata ed il contenuto della vita dopo la morte fisica siano sottomessi alla Legge del Karma: la morte apre un campo di esperienza in cui l’uomo raccoglie le esatte conseguenze dei suoi atti e pensieri volontari, nei limiti concessi dagli strumenti di cui dispone per questa esperienza.

Riassumendo, bisogna distinguere, per quanto riguarda il Devachan, tre categorie ben distinte:

1° - Gli esseri umani materialisti e grossolani – anche se si professano seguaci di una religione – senza alcuna ricchezza interiore da raccogliere : questi si reincarneranno dopo poco tempo;

2° - Gli uomini che, benché buoni e generosi, professano un incallito scetticismo nei confronti dell’Anima e del suo divenire dopo la morte del corpo fisico: costoro si privano dell’esperienza vivificante dell’assimilazione delle loro energie spirituali. Questa assimilazione avviene comunque, ma in un registro incosciente, paragonabile al sonno profondo di un bambino. La loro unica possibilità di Devachan cosciente è collegata alle aspirazioni che possono aver avuto nell’infanzia o nell’adolescenza, prima cioè di adottare definitivamente le idee materialistiche.

3° - La maggioranza degli esseri umani che conservano l’idea innata della loro immortalità. costoro costituiscono la maggioranza.

Quale pura mente, coperta di una veste assai eterea, che poi abbandonerà quando giunge l’ora del ritorno sulla Terra, l’Ego Immortale, chiuso nella sua esperienza paradisiaca, si stacca poco a poca dalla morsa della sua vecchia personalità per accedere infine a piani di coscienza più universali.

L’Ego Immortale, svegliato dal suo sogno, dopo aver "digerito" nel Devachan tutti gli elementi nutrizionali ricavati dalla sua vita terrena, ritrova per un attimo la libertà della propria piena coscienza manasica, mentre i legami Karmici che lo riportano nella prova dell’incarnazione, si riaffermano.

La costruzione dei nuovi involucri, che l’Ego Immortale utilizzerà, avviene sulla base di un programma in cui intervengono gli elementi attivi della personalità antecedente – gli Skandha, che erano rimasti allo stadio di germi per tutta la durata del Devachan, ma che ora si riattivano, come effetti Karmici, per fissarsi nei tratti e nelle tendenze della nuova personalità.

Dal punto di vista della coscienza, il ritorno sulla terra è caratterizzato dal fatto che l’essere cade in uno stato di incoscienza, che è un periodo di oscurità e di sonno profondo. Questo stato è caratteristico del passaggio di un piano d’esperienza ad un altro.

Questo però non è il caso, come abbiamo già visto, dei Maestri di Saggezza che rimangono coscienti anche durante tale passaggio.

La Teosofia ci da qui un fondamentale insegnamento: proprio prima della nascita, l’Ego Immortale ha una visione prospettiva della vita che lo attende e percepisce all’istante tutte le cause che lo hanno condotto nel Devachan e che lo riportano alla nuova vita. Con la sua piena coscienza Manasica, egli vede il concatenamento di tutte le sue vite, con le loro giuste conseguenze sull’istante presente e i futuri prolungamenti.

Egli non borbotta, ma si fa nuovamente carico della propria Croce: "Un'altra Anima è tornata in Terra".

Possiamo notare una specie di simmetria tra il movimento che allontana l’Ego Immortale dall’incarnazione e quello che ve lo riconduce: la visione retrospettiva che avviene al momento della morte è essenzialmente accentrata sulla vita appena trascorsa. Eccezionalmente, se l’essere è particolarmente puro, questa visione può inglobare la catena logica di più esistenze. Al ritorno, l’Ego Immortale, libero dalla catena dei legami della sua vecchia personalità, ha una visione ben più ampia, ma in quest’istante , siccome è di nuovo riagganciato ad un preciso contesto terreno (proprio prima della nascita), le linee karmiche della vita che lo attende sono perciò molto ben tracciate, per permettergli di percepirne nettamente l’orientamento e persino il contenuto.

L’ora della nascita è il momento in cui l’essere viene a porsi nel complesso campo delle forze cosmiche, per subirne le congiunte influenze, conformemente alle linee del suo Karma, e allo scopo di progredire sulla strada dell’evoluzione.

Da tutto ciò possiamo vedere come l’Ego Immortale non scelga la sua nuova incarnazione, ma si pieghi ai dettami della Legge Karmica.

Quanto sopra esposto, chiarisce perfettamente i modi dell'incarnazione di un Anima.

Ciò che comunemente è detto circa la libera scelta delle esperienze e dei luoghi della rinascita non trova conferma in Teosofia.

L'essere che sta per incarnarsi deve sottostare alla Legge Karmica ed agli effetti che lui stesso ha creato nelle vite precedenti.

E, secondo logica, non potrebbe essere diversamente

Corso di Teosofia

31^ Lezione

La Vita oltre la morte

(settima parte)

Bisogna insistere sull’idea che la morte non è una catastrofe irrimediabile che pone una fine definitiva alla vita: se capita che un esperienza si ferma su di un piano, significa che continua su di un altro. Ripetiamolo: la vita non è un prodotto della materia, ma è il motore che aziona il cosmo.

Molti uomini e donne non vogliono pensare alla morte, che temono come la fine di tutto – anche se sono credenti. Eppure quando si confrontano con essa da molto vicino, la loro ottica cambia radicalmente, come nei casi riportati dal Dr. Moody.

Quelli che hanno conosciuto uno stato vicino alla morte clinica e hanno fatto l’esperienza straordinaria di pace e di luce, descritta da molti pazienti rianimati in extremis, hanno scoperto, in modo indimenticabile, che la morte si presenta in realtà come una liberatrice che mette fine ad ogni sofferenza, e che schiude una felicità ineffabile, senza comportare nulla di minaccioso e di tragico, come alcune tradizioni religiose si dilettano invece di promettere ai peccatori non pentiti.

Quest’approccio nuovo della morte ha un qualcosa di salutare, da ala vita e alla morte il posto che compete loro nell’ordine della natura: gli scampati sanno che devono vivere per continuare la loro missione sulla terra, impegnandosi il meglio possibile, ma sanno pure che all’ora stabilita la morte verrà nuovamente e questa volta definitivamente, a liberarli dal fardello dell’esistenza. Non hanno più paura della morte e hanno capito che la vita deve servire per amare e per apprendere.

Da circa un secolo e mezzo, la Società Teosofica invita gli uomini a questo approccio filosofico con la vita; non vi è nulla di demoniaco nelle leggi della Natura: tutto vi è organizzato in modo benefico ed armonioso. La morte non capita a caso. Giunge ad un determinato momento per effetto del Karma; non come vendicatrice ma come liberatrice per l’Anima sofferente, mettendo provvisoriamente un termine alla sua prova.

Una profonda comprensione della necessità e dell’utilità della morte da un senso diverso alla vita dell’uomo – così come una comprensione della vita, in tutta la sua compiutezza, permette un approccio differente alla morte.

La morte pone fine alle forme ma non intacca il testimone interiore cosciente che utilizza queste forme. Così, la morte costringe l’uomo vivente a ricercare questo testimone permanente e ad identificarsi in Lui – per quanto possa farlo – nella sua esistenza di tutti i giorni, attraverso il fluire delle stagioni, dei giorni e delle notti, della vita e della morte.

E’ una delle lezioni essenziali del capitolo XI della Bhagavad Gita, dove Krishna mostra al suo discepolo il grande movimento della vita che non risparmia nessuna di queste creature. Davanti a questo spettacolo schiacciante, il Maestro ordina al discepolo di combattere e di partecipare egli stesso all’opera della Natura, compiendo il suo dovere: se lotterà così, confidando nel proprio destino Divino di uomo-Dio, del quale non è ancora che l’incarnazione perfetta, sicuramente egli otterrà la vittoria.

Non c’è dubbio che un giorno la personalità terrena perirà, ma se ha servito la causa dell’Ego Divino Immortale che la anima, avrà compiuto la sua funzione.

La causa di quest’Ego Immortale è evidentemente quella dell’uomo nuovo di domani e dell’umanità intera.

Non è saggio non pensare alla morte, e nemmeno non fare niente aspettando che arrivi, con il pretesto che è inevitabile. E’ saggio vivere pienamente, senza aggrapparsi alle cose passeggere della vita, ma impiantando nel frattempo le basi di una vita permanentemente al servizio incondizionato della Natura e di tutte le sue creature.

La vita è amica dell’uomo che la adopera al servizio di questa causa. Anche la morte è amica dell’uomo che confida nelle Leggi della Natura, che assicurano la salvaguardia del Pellegrino Immortale, sulla via ascendente del proprio progresso.

Come abbiamo già visto , il Karma non punisce, ma aggiusta senza sosta gli errori della nostra traiettoria: ci aiuta così a guarire da noi stessi i mali che contraiamo con la nostra ignoranza. Nella morte, il Karma ci concede liberamente di fare una pausa salutare, di rinfrancarci e riprendere forza: come potrebbe quindi la morte non integrarsi nella nostra visione universale del destino umano?

Dopo quanto esposto in queste ultime sette lezioni, abbiamo una diversa comprensione di questo fenomeno chiamato "morte"?

Quale aspetto non riusciamo ancora ad accettare, e perchè?

Con questa lezione si conclude il capitolo dedicato alla Vita oltre la Morte; dalla prossima inizieremo ad approfondire , in maniera dettagliata, i Poteri latenti dell'uomo nella visione Teosofica

.

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