ERNESTO

L’INFAME DEPISTAGGIO SULL’ASSASSINIO DI NICOLA CALIPARI


Tra gli oltre 400 mila nuovi file rivelati da WikiLeaks, il sito di controinformazione dell’australiano Julian Assange, c’è anche un rapporto che riguarda la morte in Iraq del funzionario del Sismi Nicola Calipari, il 4 marzo 2005.  Nelle due pagine del documento viene riportata la confessione di Sheikh Husayn, capo di una cellula terroristica specializzata in sequestri a Baghdad e poi arrestato dall’intelligence giordana. Nella sua “ricostruzione”, dopo aver ricevuto i 500 mila dollari del riscatto, consegnò la giornalista del Manifesto Giuliana Sgrena a Calipari, con l’ordine di dirigersi verso l’aeroporto.  Poi, sempre secondo la sua “ricostruzione”, fece una telefonata al ministero degli Interni iracheno, sostenendo che una Corolla blu, stesso colore e modello di macchina su cui viaggiavano i due italiani, fosse in realtà un’autobomba pronta a esplodere. L’inganno funzionò: la polizia irachena mangiò la foglia e quando la vettura si avvicinò a un posto di blocco, i soldati Usa aprirono il fuoco, uccisero il funzionario italiano e ferirono la Sgrena.  Sono passati pochi anni ma quella morte, in quelle strane circostanze, ancora è oggetto di speculazioni e depistaggi, nonostante la verità sia lampante anche se, purtroppo, non è possibile provarla oltre ogni ragionevole dubbio. A parte le molte imprecisioni contenute nel documento reso noto da WikiLeaks, rispetto alla versione accertata dalla giustizia italiana, bisogna ricordare il contesto in cui operavano i nostri concittadini in quelle aree. Nicola Calipari era a capo di una squadra di eccellenti professionisti che operavano, tra mille difficoltà, nel più totale silenzio, senza mai poter essere apprezzati per le azioni che realizzavano. Molte di queste riguardavano il “recupero” di ostaggi catturati dagli iracheni e di molti di questi interventi non si seppe mai nulla per non alimentare la tensione esistente tra l’operato dell’intelligence italiana e quello delle varie agenzie statunitensi. L’approccio di Calipari alla questione dei sequestri era, infatti, di segno diametralmente opposto a quello statunitense, apertamente contrario ad ogni possibile forma di trattativa con gli iracheni. Ciò nonostante, Calipari e i suoi uomini riuscirono a portare in salvo diversi ostaggi, delle cui vicende non si è mai saputo nulla, probabilmente perché erano militari impegnati sul campo o contractors italiani assunti da società che avevano necessità di una “tutela” ravvicinata e armata. Nel caso di Giuliana Sgrena, paradossalmente, il clamore suscitato dal sequestro della giornalista e la conseguente esposizione mediatica, rallentarono il possibile intervento previsto e organizzato da Calipari. Alla fine, dopo aver versato il riscatto in un paese arabo diverso dall’Iraq, Calipari arrivò a Baghdad per concludere la liberazione e riportare la giornalista italiana in patria. Fu a quel punto che si decise la sua sorte; troppo bravo, troppo discreto, troppo fastidioso per i “falchi” statunitensi che avevano scelto la strategia delle torture e dei bombardamenti indiscriminati con il fosforo bianco.  L’epilogo è noto e le disquisizioni sulle modalità dell’assassinio sono pressoché inutili; è facile intuire quanto sia stata astuta ed efficace l’operazione compiuta dagli agenti statunitensi con la collaborazione di militari forse persino ignari. Tolto di mezzo un alleato molto scomodo, molto fastidioso, e soprattutto ostinato nell’agire “contro” la strategia statunitense, divenne possibile restaurare il potere assoluto degli uomini agli ordini diretti di Bush e Rumsfeld. Non ho mai voluto partecipare alle celebrazioni in memoria di Calipari; le ho trovate retoriche e odiosamente false. Mi resta il pensiero che, anche in un mondo discusso come quello degli “agenti segreti” c’è stato un cittadino italiano capace di distinguere il giusto dall’ingiusto e operare di conseguenza.