Romanzo scientifico

Personaggi della matematica e delle scienze


Personaggi della matematica e delle scienzeLéon Foucault                                               Amir D. Aczel, Pendulum – Léon Foucault e il trionfo della scienza, Il Saggiatore 2006 Robert P. Crease, Il prisma e il pendolo – I dieci esperimenti più belli nella storia della scienza, Longanesi 2007. «Dopo una doppia oscillazione durata sedici secondi, lo vedemmo ritornare circa 2,5 millimetri a sinistra del punto di partenza. Poiché lo stesso effetto continuava a verificarsi a ogni nuova oscillazione del pendolo, questa deviazione aumentava continuamente in proporzione al passare del tempo». Questa è una citazione (pag. 127) del libro Pendulum – Léon Foucault e il trionfo della scienza (capitolo 10, Il Panthéon) in cui l’autore, Amir D. Aczel, racconta la storia del «genio solitario che non aveva compiuto studi scientifici regolari né si era laureato in una delle famose università che avevano conferito alla capitale francese il primato nel campo delle idee e del sapere. La storia che sto per raccontare – scrive Aczel nella prefazione – è quella di Jean Bernard Léon Foucault (1819-1868) e del suo pendolo, con il quale dimostrò che la Terra gira, mettendo fine a secoli di ostinato scetticismo e di conflitto fra scienza e fede». A proposito di pendolo: Robert P. Crease, Il prisma e il pendolo – I dieci esperimenti più belli nella storia della scienza, Longanesi 2007. I dieci esperimenti di cui parla Crease sono: 1) la misura della circonferenza terrestre di Eratostene; 2) la caduta dei gravi e la «leggenda del campanile pendente»; 3) il piano inclinato di Galileo; 4) la scomposizione della luce di Newton; 5) L’«austero» esperimento di Cavendish; 6) l’«illuminante analogia di Young»; 7) il pendolo di Foucault; 8) l’esperimento di Millikan; 9) il nucleo di Rutherford; 10) l’interferenza quantistica. Crease alterna ai dieci capitoli altrettanti «interludi» interessanti. Nell’interludio Perché la scienza è bella, Crease scrive (pag. 33): «Concentrare l’attenzione sui caratteri estetici esteriori della scienza è il modo più rapido per perderne di vista la bellezza. La bellezza di un esperimento sta nel modo in cui esso mostra il suo operato […] La bellezza dell’experimentum crucis di Newton non ha niente a che fare con i colori prodotti dai suoi prismi (in effetti Newton, per escogitare il suo esperimento, dovette guardare oltre i colori), bensì consiste nel modo in cui rivela il suo trattamento della luce […]». Nell’interludio Il confronto Newton-Beethoven, a proposito della contrapposizione tra scienziati e artisti, Crease cita Kant, secondo il quale «il “genio” […] non si trova fra gli scienziati, che sono in grado di spiegare a se stessi e agli altri quel che stanno facendo, ma solo fra gli artisti. Mentre gli scienziati possono rendere comprensibile ad altri la loro attività, gli artisti producono opere originali, il segreto della cui creazione è ignoto e in conoscibile […] Né Omero né alcun grande poeta – scrive Kant – potrebbe mostrare come si siano prodotte e combinate nella sua testa le sue idee, ricche di fantasia e dense di pensiero, perché non lo sa egli stesso, e non può quindi insegnarlo agli altri». Nell’interludio La scienza distrugge la bellezza?, Crease cita il fisico Richard Feynman quando dice: «La conoscenza scientifica può solo accrescere l’ammirazione, il senso di mistero e la reverenza che proviamo dinanzi a un fiore». Nell’interludio Capacità artistiche nella scienza, Crease parla del suo vecchio progetto di «ripetere l’esperimento con cui Rutherford scoprì il nucleo atomico» che fu proposto al fisico Samuel Devons, che aveva collaborato con Rutherford. «Il mio progetto fece sghignazzare a lungo Devons», il quale spiegò che «l’esperimento [scientifico] è vero artigianato, come costruire un violino […] Supponiamo che lei andasse da un liutaio chiedendo uno Stradivari […] Egli sorriderà, proprio come ho fatto io poco fa. Perché l’abilità dell’artigiano sta nella conoscenza che ha sulle punta delle dita, che consiste nella lunga pratica e nei ripetuti tentativi fatti per ottenere un risultato migliore. Ci si imbatte in piccoli inconvenienti e si pensa: come posso superarli? E poi si trova un modo […] Quando si spingono le proprie apparecchiature al limite, è maledettamente facile avere risultati spuri. Ogni volta si gratta il fondo, e non si sa che cosa ci è sfuggito. Ogni sperimentatore ha compiuto errori terribili una volta o l’altra, e conosce casi di amici che hanno perso la faccia per avere ottenuto risultati spuri e averli pubblicati troppo in fretta. Eppure ci siamo abituati a portare al limite ciò che sappiamo. Se non lo facciamo noi lo farà per primo qualcun altro. È una cosa terribile essere preceduti dagli altri. Si conoscono moltissimi casi di scienziati che si sono lasciati sfuggire una scoperta alla loro portata per essere stati troppo prudenti o perché qualcun altro è stato più abile di loro. C’era un’intera scuola austriaca che stava lavorando sugli stessi problemi studiati da Rutherford, pressappoco nello stesso tempo, e oggi nessuno ne ha mai sentito parlare. Perché? Perché Rutherford fu solo un pochino più audace e più abile». Nell’ultimo interludio Gli sconfitti, Crease fa riferimento agli esperimenti che non figurano nella top ten. Il libro si conclude con La scienza può ancora essere bella?, le cui ultime parole sono quelle di Henri Poincaré: «Lo scienziato non studia la natura perché sia utile farlo. La studia perché ne ricava piacere, e ne ricava piacere perché è bella. Se la natura non fosse bella, non varrebbe la pena di conoscerla e la vita non sarebbe degna di essere vissuta» (pag. 223).EdMax