Cosmo di Carl Sagan (Mondadori 1980) – Capitoli I-III
Non so da dove cominciare per descrivere il meraviglioso libro Cosmo del compianto Carl Sagan (1934–1996). È stato il libro che più di altri ha determinato le scelte della mia vita professionale. Lo lessi la prima volta nella cameretta della casa dello studente che mio fratello Mimmo (attuale bassista del Parto delle Nuvole Pesanti) condivise con me mentre preparavo gli esami per conseguire la laurea in scienze naturali presso l’università di Bologna. È stata una rivelazione. In verità avevo visto qualche puntata del documentario omonimo che Sagan aveva preparato per la televisione, ma il libro (come tutti i libri di grande spessore) è stato veramente illuminante. È difficile trovarlo in libreria perché fuori catalogo. È una vera fortuna se proprio in questo istante posso sfogliare le sue pagine e rileggere le parti che ho sottolineato. Il libro, dedicato a Ann Druyan, moglie del compianto Sagan, è corredato da disegni e dipinti accattivanti e realistici. Ma chi era Carl Sagan? Leggiamo la nota sull’autore alla fine del libro: «Carl Sagan è stato direttore del Laboratorio di Studi Planetari e titolare della cattedra di astronomia e scienze spaziali della Cornell University (Ithaca, NY). Ha svolto un ruolo chiave nell’organizzazione delle missioni planetarie Mariner, Viking e Voyager, ricevendo sia le medaglia della NASA per “meriti scientifici eccezionali” e “per grandi servigi resi alla collettività”, sia il premio Prix Galabert. È stato presidente della Divisione di Scienze Planetarie della Società Astronomica Americana, presidente della Sezione di Astronomia dell’Associazione Americana per il Progresso della Scienza e presidente della Sezione di Planetologia dell’Unione Geofisica Americana. Per dodici anni è stato redattore capo di Icarus, la principale rivista astronomica dedicata alla ricerca planetaria. Oltre ad aver pubblicato centinaia di articoli scientifici e divulgativi, è stato autore, coautore e curatore di numerosi libri. Nel 1975 ha ricevuto il premio Joseph Priestley per “contributi eminenti al benessere dell’umanutà” e nel 1978 il Premio Pulitzer per la letteratura con I draghi dell’Eden – Considerazioni sull'evoluzione dell'intelligenza umana. Dal libro Contact, il regista Robert Zemeckis ha realizzato il film omonimo del 1997 con l’attrice Jodie Foster. Infine, aggiungiamo noi, è stato uno dei fondatori del Progetto SETI per la ricerca delle intelligenze extraterrestri. Nel capitolo I di Cosmo, dal titolo Le rive dell’oceano cosmico, Sagan scrive (pag. 7): «Di fronte a numeri tanto imponenti, quale probabilità esiste che un’unica stella comune, il Sole, sia accompagnata da un pianeta abitato? Perché dovremmo godere di tal privilegio, nascosti in qualche angolo dimenticato del Cosmo? Mi sembra assai più probabile che l’universo debba traboccare di vita. Ma noi uomini non lo sappiamo; stiamo appena cominciando le nostre esplorazioni». E poi (pag. 8): «A quaranta mila anni luce da casa, ci troviamo ora a cadere verso il centro massiccio della Via Lattea. Ma se vogliamo trovare la Terra dobbiamo mutare la rotta verso la lontana periferia della Galassia, verso il bordo di un remoto braccio a spirale». Naturalmente, Sagan comincia dagli antichi Greci: discute l’esperienza di Eratostene (detto “Beta” perché «era secondo in ogni cosa») per determinare la misura della circonferenza terrestre (pag. 15); parla della grande Biblioteca di Alessandria d’Egitto e dell’annesso Museo in cui gli studiosi «studiavano il Cosmo intero. Kósmos è il termine greco che significa ordine dell’universo, in contrasto a Chaos […];» (pag. 18-19). Quindi cita Ipparco e le sue costellazioni, Euclide e i suoi Elementi (Sagan ricorda la risposta che Euclide diede al suo re: «Non c’è per i re una scorciatoia per apprendere la geometria»), Apollonio di Perga e le sue sezioni coniche, Ipazia e il suo martirio (di cui abbiamo già ampiamente discusso in questo blog), nonché Aristarco di Samo, il primo “eliocentrista” della storia. Nel capitolo II, Una voce nella polifonia cosmica, Sagan discute di scienze della vita, parlando di Darwin e Wallace, di evoluzione e DNA, del velenoso ossigeno e dell’esplosione cambrica, di fotosintesi e respirazione cellulare, di mutazioni ed enzimi. Ma anche dell’esperimento di Stanley Miller (allievo di Harold Urey) e di alieni partoriti da autori di fantascienza e dipinti da Adolf Schaller. Il titolo del capitolo III è L’Armonia dei mondi, una chiara allusione all’opera Harmonice mundi di Keplero. Sagan racconta in questo capitolo appassionanti eventi che caratterizzarono la cosiddetta Rivoluzione scientifica. Partendo dalle costellazioni, Sagan ci parla dei sistemi costruiti dai nostri antenati per calcolare il passare delle stagioni, come quelli di Angkor-Vat in Cambogia, Stonehenge in Inghilterra, Abu Simbel in Egitto, Chichén Itzà in Messico e altri indicatori di solstizi. «L’astrologia – scrive Sagan a pag. 49 – si sviluppò in Alessandria d’Egitto e si sparse per il mondo greco e romano circa duemila anni fa. Possiamo capire quanto antica è l’astrologia considerando parole come disastro (dal greco cattiva stella) e influenza, cioè “influenza” astrale, o come l’ebraico mazeltov, di origine babilonese (“buona stella”), o lo yiddish shlamazel, detto di chi è afflitto da implacabile sfortuna […] Secondo Plinio, c’erano Romani affetti da sideratio, cioè “colpiti o fulminati da un pianeta”. I pianeti erano spesso considerati causa diretta di morte. Lo stesso verbo considerare propriamente significa “osservare gli astri (in latino, sidera) per trarne gli auspici”». Una tabella pubblicata a pag. 51 «elenca le cause dei decessi verificatisi a Londra nel 1632. Accanto alle perdite terribili dovute alle malattie dell’epoca, troviamo che su 9535 decessi 13 furono dovuti a “pianeta”, più di quelli attribuiti a “canker”. Mi chiedo quali ne fossero i sintomi», conclude Sagan. (Vale la pena di ricordare che la tabella cui Sagan fa riferimento è tratta da Natural and Political Observations (1662) di John Graunt.) Quindi Sagan descrive le “sfere eteree” di Tolomeo e la "rivoluzione copernicana", prima di dedicare ampio spazio a Keplero: «Keplero fu un brillante pensatore e un lucido scrittore, ma un disastro come insegnante. Borbottava, confondeva argomenti, talvolta appariva del tutto incomprensibile. Il suo primo anno a Graz ebbe solo un pugno di studenti, l’anno dopo nessuno. Era distratto da un incessante intimo lavorio di idee che si contendevano la sua attenzione. Durante un piacevole pomeriggio d’estate, nel bel mezzo di una delle sue interminabili lezioni, fu colpito da una rivelazione che doveva cambiare il futuro dell’astronomia. Forse si fermò a metà della frase. Gli studenti distratti, che attendevano solo la fine della lezione, forse nemmeno si accorsero dello storico momento di cui erano testimoni» (pag. 57). «Il piacere intenso che ho ricevuto da questa scoperta non può dirsi a parole… Non evitai alcun calcolo per quanto difficile. Giorni e notti spesi in fatiche matematiche, finché potei vedere se la mia ipotesi andasse d’accordo con le orbite di Copernico o se la mia gioia dovesse svanire» (pag. 57-58). La scoperta a cui Keplero si riferisce era «il nesso fra i solidi di Pitagora e i pianeti», che «poteva ammettere un’unica spiegazione: la Mano di Dio, il Geometra» (pag. 57). Con i solidi platonici (tetraedro, cubo, ottaedro, dodecaedro e icosaedro), Keplero, realizzò quello che egli chiamò Mistero Cosmico, la sua rivelazione: le sfere dei sei pianeti [allora noti: Mercurio, Venere, Terra, Marte, Giove e Saturno] incastonate con i cinque solidi perfetti di Pitagora e Platone», come recita la didascalia del Mistero Cosmico di Keplero illustrato a pag. 58 del libro di Sagan (l’opera Mysterium Cosmographicum di Keplero sarebbe apparsa nel 1596). «Ma i solidi e le orbite planetarie non combaciavano […], dovevano essere sbagliate le osservazioni […]. C’era allora solo un’altra persona in possesso di dati d’osservazione più precisi sui pianeti, un nobile danese autoesiliatosi, che aveva accettato il posto di Matematico Imperiale alla Corte del Sacro Romano Imperatore Rodolfo II. Era Tycho Brahe, che proprio allora, su suggerimento di Rodolfo II, aveva invitato alla corte di Praga Keplero, la cui fama di matematico si stava spargendo» (pag. 58). «Tycho – scrive Sagan (pag. 59) – era una figura vulcanica, portava un naso d’oro artificiale dopo aver perso l’originale in un duello fra studenti per stabilire chi fosse il matematico migliore. Attorno a lui brulicava una folla di assistenti, parassiti, lontani parenti, le cui rivalità, maldicenze e intrighi, il cui crudele dileggio del pio e studioso zoticone di campagna venuto da Graz, depressero e rattristarono Keplero: “Tycho… è ricco in maniera superlativa ma non sa che farsene delle ricchezze. Un suo solo strumento vale più di quanto io e la mia famiglia possediamo […] Tycho non mi diede alcuna possibilità di prendere visione dei suoi dati. Egli mi avrebbe menzionato solo, nel corso di un pranzo e fra altre cose, come di passaggio, oggi la cifra dell’apogeo di un pianeta, domani i nodi di un altro… Tycho possiede le migliori osservazioni… Ha anche dei collaboratori. Gli manca solo chi faccia uso di tutto questo». Sagan conclude dicendo: «Tycho era il più grande e geniale osservatore del tempo, e Keplero il più grande teorico […] La nascita della scienza moderna – figlia della teoria e delle osservazioni – vacillava su ciglio del precipizio della loro mutua diffidenza». «Nei diciotto mesi che rimanevano da vivere a Tycho (pag. 60), i due litigarono e si riconciliarono più volte. A un banchetto dato dal Barone di Rosenberg, Tycho, che aveva bevuto molto, “antepose il galateo alla salute” e represse gli impulsi del corpo ad assentarsi, sia pur brevemente, prima del barone. L’infezione urinaria che gliene venne peggiorò quando Tycho rifiutò risolutamente di moderarsi nel mangiare e nel bere. Sul letto di morte, Tycho lasciò in eredità le sue osservazioni a Keplero, e “l’ultima notte del suo delirio ripeté più e più volte queste parole: Fate che non sembri che io sia vissuto invano… Fate che non sembri che io sia vissuto invano…”». Tycho Brahe non morì invano. Ancora oggi è ricordato per le sue grandi capacità di osservatore dei cieli. Qualche storico malizioso ha commentato che Tycho avrebbe acquisito le sue abilità grazie alla mancanza del naso: per osservare gli astri Tycho toglieva la protesi che si era fatto costruire, riuscendo così a collimare meglio il suo occhio con l’oculare dello strumento. Se questa ipotesi fosse vera, allora gli astronomi dovrebbero tagliarsi il naso per osservare meglio il cielo! Una tela di Jean-Leon Huens mostra Keplero alla prese con i suoi calcoli; sui fogli che tiene nella mano sinistra si notano chiaramente due ellissi, mentre sullo sfondo appare un ritratto di Tycho Brahe. È possibile vedere la tela nel sito web
http://americangallery.files.wordpress.com/2010/09/johannes-kepler-and-tycho-brahe.jpg «Newton – scrive Sagan a pag. 67 – nacque il giorno di Natale del 1642 (a gennaio dello stesso anno moriva Galileo, anche se il calendario adottato dagli inglesi era diverso) così minuto che – sua madre ebbe poi a dirgli – sarebbe potuto entrare in un boccale da un litro. Malaticcio, trascurato dalla madre (il padre era morto poco prima che Isaac venisse alla luce), litigioso poco socievole, vergine fino alla morte, Isaac Newton è forse il massimo genio scientifico di ogni tempo». Così Sagan presenta Isaac Newton: uno scienziato che, come Keplero, «non fu immune dalle superstizioni del tempo ed ebbe molti incontri con il misticismo, uno «studente affascinato dalla luce e colpito dal Sole», un giovane che, costretto a soli ventitré anni a rifugiarsi nella campagna di Woolsthorpe, dov’era nato, «si tenne occupato inventando il calcolo differenziale e quello integrale, facendo scoperte fondamentali sulla natura della luce e ponendo le basi della teoria della gravitazione universale» (pag. 68). Era l’anno 1666, l’annus mirabilis di Newton. Il suo domestico lo descrisse così: «Non l’ho mai visto godere di alcuna ricreazione o passatempo, come cavalcare e far passeggiate per prendere aria, giocare a bocce o alcun altro esercizio fisico, poiché egli considera perse tutte le ore tolte allo studio, al quale si dedica con tanta assiduità da uscire di rado dalla sua camera, eccetto che all’ora della lezione… dove vanno così pochi a sentirlo, e ancor meno riescono a capirlo, che spesso per mancanza di uditori si trova a parlare ai muri». Sagan conclude dicendo: «Gli studenti di Keplero come quelli di Newton non seppero mai quel che perdevano». E poi: la legge d’inerzia, la legge dell’inverso del quadrato della distanza, i suoi esperimenti tra alchimia e chimica, la sfida lanciata nel 1696 da Johann Bernoulli e risolta da Newton che, su richiesta dello stesso Newton, fu pubblicata anonima. Ma il leone si riconosce dalla zampata, commentò Bernoulli quando vide la soluzione. «Newton era geloso delle sue scoperte e intollerante con i suoi colleghi scienziati. non si preoccupò di far passare un decennio o due prima di rendere pubblica la sua legge dell'inverso del quadrato. Ma di fronte alla grandezza e alla complessità della Natura egli rimase abbagliato, come Tolomeo e Keplero, e si mostrò umile in maniera disarmante. Poco prima di morire scrisse: «Non so come potrò apparire al mondo; ma per ciò che mi riguarda mi sembra di essere stato solamente come un bambino che gioca sulla spiaggia e si diverte di tanto in tanto a trovare un ciottolo più liscio o una conchiglia più bella del solito, mentre il grande oceano della verità si stende davanti tutto ancora da scoprire» (pag. 71).Vi segnalo:James Gleick, Isaac Newton, Codice Edizioni 2004Robert P. Crease, Il prisma e il pendolo – I dieci esperimenti più belli nella storia della scienza, Longanesi 2007 (cap. 4, La scomposizione della luce di Newton)Hal Hellman, Le dispute della scienza, Cortina 1999 (cap. 3, Newton contro Leibniz: scontro di titani)Maurizio Mariani, Il prisma di Newton – I meccanismi dell'invenzione scientifica, Laterza 1986Herbert Butterfield, Le origini della scienza moderna, Il Mulino 1998John Gribbin, L’avventura della scienza moderna, Longanesi 2004Michael Hoskin (a cura di), Storia dell’astronomia di Cambridge, RCS 2001 Lucio Lombardo Radice, La matematica da Pitagora a Newton, Muzzio 2010Kitty Ferguson, La musica di Pitagora – La nascita del pensiero scientifico, Longanesi 2009Paolo Rossi (a cura di), La rivoluzione scientifica – Da Copernico a Newton, Loescher 1976Paolo Rossi (diretta da), Storia della scienza, UTET 1988EdMax