Cosmo di Carl Sagan – Capitoli IV-VII Il capitolo IV, dal titolo Inferno e paradiso, inizia con il cosiddetto evento di Tunguska: un preludio per parlare di comete, come quella dell’Adorazione dei Magi in cui Giotto «rappresenta la stella di Betlemme come un evento presumibilmente non miracoloso. Egli si ispirò forse all’apparizione della cometa di Halley del 1301»: così recita la didascalia dell’illustrazione di pag. 77. In una seconda illustrazione si vede «l’imperatore azteco Montezuma che osserva una cometa. Accettando la credenza popolare che le comete presagiscono catastrofi, Montezuma cadde in un cupo stato di depressione e di abulia favorendo così involontariamente la conquista spagnola del suo impero: esempio eccellente di come una profezia si realizzi da sé». «Le comete hanno sempre evocato paure e superstiziose apprensioni […] Così sorse l’idea che fossero araldi di disgrazia, àuguri di ira divina, che predicessero la morte dei principi, la caduta dei regni […] Il vescovo di Magdeburgo Andreas Celichius pubblicò nel 1578 un Monito teologico della nuova cometa [in cui] una cometa è “lo spesso fumo dei peccati umani, che si leva ogni giorno, ogni ora, ogni istante, pieno di puzzo e orrore agli occhi di Dio, diventando via via così denso da formare una cometa, con trecce attorte e arricciate, che infine viene accesa dalla collera infuocata e impetuosa del Supremo Giudice Celeste”» (pag. 78). Fu Newton a dimostrare che le comete si muovono su ellissi molto eccentriche attorno al Sole, mentre fu Edmond Halley «a calcolare che quelle del 1531, 1607 e 1682 erano tutte apparizioni della stessa cometa, a intervalli di 76 anni, e ne predisse il ritorno nel 1758. La cometa arrivò puntualmente e ricevette il nome di Halley» (pag. 79), che era già morto da sedici anni. Spesso gli scienziati sono famosi per cose che non hanno mai fatto. Bill Bryson, in Breve storia di (quasi) tutto a pag. 56-57, scrive che Halley «fu capitano di lungo corso, cartografo, professore di geometria alla Oxford University, vice direttore della Zecca Reale e inventore della campana per le immersioni in profondità. Scrisse […] su magnetismo, maree e moto dei pianeti […] Inventò le mappe meteorologiche e le tavole attuariali, propose metodi per calcolare l’età della Terra e la sua distanza dal Sole, e arrivò perfino a escogitare un sistema pratico per conservare il pesce fresco fuori stagione. La sola cosa che proprio non fece fu quella di scoprire la cometa che oggi porta il suo nome»! La cometa appare persino nel Libro del Principe Huai Nan, relativo alla marcia del re cinese Wu contro Zhou di Yin. «Era l’anno 1057». E quando si parla di comete, vengono in mente scenari apocalittici, testimoniati ancora oggi dal Meteor Crater in Arizona, che «presenta un diametro di 1,2 km e fu prodotto probabilmente da 15000 a 40000 anni fa, quando un masso di ferro del diametro di 25 metri colpì la Terra…» (pag. 84). Ma il titolo del capitolo, Inferno e paradiso, allude anche al pianeta Venere, che «ricorda più l’inferno che la dea dell’amore» (pag. 97). Invece, Marte è il protagonista assoluto del capitolo V, Blues per un pianeta rosso: da La guerra dei mondi di H.G. Wells del 1897 a Giovanni Schiaparelli, da Percival Lowell a Robert Goddard fino alle missioni Viking 1 e Viking 2 (Sagan qui parla in prima persona perché direttamente coinvolto nelle due missioni), l’autore ci racconta il pianeta rosso con immagini meravigliose, come quella di pag. 133 la cui didascalia recita: «Le fosse scavate nel terreno di Chryse alla ricerca di vita su Marte… Su scala ridotta abbiamo già cominciato ad alterare la superficie di un altro pianeta». È davvero curioso che l’idea degli “omini verdi” sia dovuta a un’infelice traduzione. Nel 1877 Schiaparelli annunciò di aver osservato “canali” sul suolo marziano, «una rete intricata di linee rette, singole e a coppie, che solcavano le zone brillanti del pianeta. Il termine italiano “canali” può indicare canali sia naturali sia artificiali, e fu sfortunatamente tradotto canals in inglese, parola che indica un’opera artificiale, invece che channels, che indica propriamente letti e sedi naturali di corsi d’acqua» (pag. 107). Nel 1892, tradito dalla vista, Schiaparelli annunciò che rinunciava a osservare Marte, e Lowell decide di proseguire. Se Marte «verrà mai “terrestrizzato”, ciò sarà per l’opera di esseri umani la cui affiliazione è Marte. Saremo noi i veri marziani», conclude Sagan (pag. 135). Il capitolo VI si intitola Racconti di viaggio. I protagonisti del capitolo sono Giove (e le sue lune) e Saturno, oltre al veicolo spaziale Voyager 2, che «proseguirà penetrando l’eliopausa [che segna il confine estremo dell’Impero del Sole] circa a metà del XXI secolo, solcando l’oceano dello spazio, senza mai entrare in un altro sistema solare, destinato a vagare attraverso l’eternità lontano dalle isole stellari e a completare la sua prima circumnavigazione del centro massiccio della Via Lattea entro alcune centinaia di milioni di anni. Ci siamo imbarcati per viaggi epici» (pag. 165). Il capitolo VII, dal titolo La spina dorsale della notte, riprende gli antichi Greci. Un’illustrazione a pag. 174 mostra il Mediterraneo orientale nell’epoca classica, con i nomi dei grandi scienziati dell’antichità. Sagan spazia tra i personaggi dell’antica Grecia, da Talete e Anassimandro di Mileto a Policrate di Samo, da Teodoro, «il sommo ingegnere cui i Greci attribuiscono l’invenzione della chiave, del regolo, della squadretta da carpentiere, della livella, della pialla, della fusione dei getti di bronzo e del riscaldamento centrale» (pag. 178) a Ippocrate di Coo, «di cui oggi resta il ricordo nel giuramento ippocratico», da Empedocle di Agrigento, che realizzò «il primo esperimento sull’aria di cui si abbia notizia», all’atomista Democrito di Abdera che «stava bussando alle porte del calcolo differenziale e integrale […], sfiorate anche da Eudosso e Archimede»; da Anassagora, «portato ad Atene da Pericle», a Pitagora di Samo, alla scuola pitagorica di Crotone, a Ippaso che, dopo aver pubblicato «il segreto della “sfera con dodici pentagoni”, il dodecaedro, morì in naufragio, all’irrazionalità della radice di due»; da Platone e Aristotele ad Aristarco (in una nota di pag. 189 si legge: «[…] Copernico scrisse in una lettera al Papa Paolo III: “Secondo Cicerone, Niceta aveva pensato che la Terra si muovesse… Secondo Plutarco [che parla di Aristarco]… certi altri hanno avuto la stessa opinione. Quando da ciò, quindi, ebbi concepito la sua possibilità, cominciai io stesso a meditare sul moto della Terra»). Un grafico (pag. 187) mostra otto secoli di storia greca, dal VII secolo a.C. al V secolo dell’era cristiana. Nell’ordine: Talete, Anassimandro, Pitagora, Anassagora, Empedocle, Ippocrate, Democrito, Platone, Aristotele, Euclide, Aristarco, Archimede, Eratostene, Ipparco, Lucrezio, Tolomeo, Ipazia. «Il declino della scienza greca – si legge nella didascalia – è indicato dalla scarsità dei nomi riportati a partire dal I secolo a.C.».EdMax
Cosmo - di Carl Sagan
Cosmo di Carl Sagan – Capitoli IV-VII Il capitolo IV, dal titolo Inferno e paradiso, inizia con il cosiddetto evento di Tunguska: un preludio per parlare di comete, come quella dell’Adorazione dei Magi in cui Giotto «rappresenta la stella di Betlemme come un evento presumibilmente non miracoloso. Egli si ispirò forse all’apparizione della cometa di Halley del 1301»: così recita la didascalia dell’illustrazione di pag. 77. In una seconda illustrazione si vede «l’imperatore azteco Montezuma che osserva una cometa. Accettando la credenza popolare che le comete presagiscono catastrofi, Montezuma cadde in un cupo stato di depressione e di abulia favorendo così involontariamente la conquista spagnola del suo impero: esempio eccellente di come una profezia si realizzi da sé». «Le comete hanno sempre evocato paure e superstiziose apprensioni […] Così sorse l’idea che fossero araldi di disgrazia, àuguri di ira divina, che predicessero la morte dei principi, la caduta dei regni […] Il vescovo di Magdeburgo Andreas Celichius pubblicò nel 1578 un Monito teologico della nuova cometa [in cui] una cometa è “lo spesso fumo dei peccati umani, che si leva ogni giorno, ogni ora, ogni istante, pieno di puzzo e orrore agli occhi di Dio, diventando via via così denso da formare una cometa, con trecce attorte e arricciate, che infine viene accesa dalla collera infuocata e impetuosa del Supremo Giudice Celeste”» (pag. 78). Fu Newton a dimostrare che le comete si muovono su ellissi molto eccentriche attorno al Sole, mentre fu Edmond Halley «a calcolare che quelle del 1531, 1607 e 1682 erano tutte apparizioni della stessa cometa, a intervalli di 76 anni, e ne predisse il ritorno nel 1758. La cometa arrivò puntualmente e ricevette il nome di Halley» (pag. 79), che era già morto da sedici anni. Spesso gli scienziati sono famosi per cose che non hanno mai fatto. Bill Bryson, in Breve storia di (quasi) tutto a pag. 56-57, scrive che Halley «fu capitano di lungo corso, cartografo, professore di geometria alla Oxford University, vice direttore della Zecca Reale e inventore della campana per le immersioni in profondità. Scrisse […] su magnetismo, maree e moto dei pianeti […] Inventò le mappe meteorologiche e le tavole attuariali, propose metodi per calcolare l’età della Terra e la sua distanza dal Sole, e arrivò perfino a escogitare un sistema pratico per conservare il pesce fresco fuori stagione. La sola cosa che proprio non fece fu quella di scoprire la cometa che oggi porta il suo nome»! La cometa appare persino nel Libro del Principe Huai Nan, relativo alla marcia del re cinese Wu contro Zhou di Yin. «Era l’anno 1057». E quando si parla di comete, vengono in mente scenari apocalittici, testimoniati ancora oggi dal Meteor Crater in Arizona, che «presenta un diametro di 1,2 km e fu prodotto probabilmente da 15000 a 40000 anni fa, quando un masso di ferro del diametro di 25 metri colpì la Terra…» (pag. 84). Ma il titolo del capitolo, Inferno e paradiso, allude anche al pianeta Venere, che «ricorda più l’inferno che la dea dell’amore» (pag. 97). Invece, Marte è il protagonista assoluto del capitolo V, Blues per un pianeta rosso: da La guerra dei mondi di H.G. Wells del 1897 a Giovanni Schiaparelli, da Percival Lowell a Robert Goddard fino alle missioni Viking 1 e Viking 2 (Sagan qui parla in prima persona perché direttamente coinvolto nelle due missioni), l’autore ci racconta il pianeta rosso con immagini meravigliose, come quella di pag. 133 la cui didascalia recita: «Le fosse scavate nel terreno di Chryse alla ricerca di vita su Marte… Su scala ridotta abbiamo già cominciato ad alterare la superficie di un altro pianeta». È davvero curioso che l’idea degli “omini verdi” sia dovuta a un’infelice traduzione. Nel 1877 Schiaparelli annunciò di aver osservato “canali” sul suolo marziano, «una rete intricata di linee rette, singole e a coppie, che solcavano le zone brillanti del pianeta. Il termine italiano “canali” può indicare canali sia naturali sia artificiali, e fu sfortunatamente tradotto canals in inglese, parola che indica un’opera artificiale, invece che channels, che indica propriamente letti e sedi naturali di corsi d’acqua» (pag. 107). Nel 1892, tradito dalla vista, Schiaparelli annunciò che rinunciava a osservare Marte, e Lowell decide di proseguire. Se Marte «verrà mai “terrestrizzato”, ciò sarà per l’opera di esseri umani la cui affiliazione è Marte. Saremo noi i veri marziani», conclude Sagan (pag. 135). Il capitolo VI si intitola Racconti di viaggio. I protagonisti del capitolo sono Giove (e le sue lune) e Saturno, oltre al veicolo spaziale Voyager 2, che «proseguirà penetrando l’eliopausa [che segna il confine estremo dell’Impero del Sole] circa a metà del XXI secolo, solcando l’oceano dello spazio, senza mai entrare in un altro sistema solare, destinato a vagare attraverso l’eternità lontano dalle isole stellari e a completare la sua prima circumnavigazione del centro massiccio della Via Lattea entro alcune centinaia di milioni di anni. Ci siamo imbarcati per viaggi epici» (pag. 165). Il capitolo VII, dal titolo La spina dorsale della notte, riprende gli antichi Greci. Un’illustrazione a pag. 174 mostra il Mediterraneo orientale nell’epoca classica, con i nomi dei grandi scienziati dell’antichità. Sagan spazia tra i personaggi dell’antica Grecia, da Talete e Anassimandro di Mileto a Policrate di Samo, da Teodoro, «il sommo ingegnere cui i Greci attribuiscono l’invenzione della chiave, del regolo, della squadretta da carpentiere, della livella, della pialla, della fusione dei getti di bronzo e del riscaldamento centrale» (pag. 178) a Ippocrate di Coo, «di cui oggi resta il ricordo nel giuramento ippocratico», da Empedocle di Agrigento, che realizzò «il primo esperimento sull’aria di cui si abbia notizia», all’atomista Democrito di Abdera che «stava bussando alle porte del calcolo differenziale e integrale […], sfiorate anche da Eudosso e Archimede»; da Anassagora, «portato ad Atene da Pericle», a Pitagora di Samo, alla scuola pitagorica di Crotone, a Ippaso che, dopo aver pubblicato «il segreto della “sfera con dodici pentagoni”, il dodecaedro, morì in naufragio, all’irrazionalità della radice di due»; da Platone e Aristotele ad Aristarco (in una nota di pag. 189 si legge: «[…] Copernico scrisse in una lettera al Papa Paolo III: “Secondo Cicerone, Niceta aveva pensato che la Terra si muovesse… Secondo Plutarco [che parla di Aristarco]… certi altri hanno avuto la stessa opinione. Quando da ciò, quindi, ebbi concepito la sua possibilità, cominciai io stesso a meditare sul moto della Terra»). Un grafico (pag. 187) mostra otto secoli di storia greca, dal VII secolo a.C. al V secolo dell’era cristiana. Nell’ordine: Talete, Anassimandro, Pitagora, Anassagora, Empedocle, Ippocrate, Democrito, Platone, Aristotele, Euclide, Aristarco, Archimede, Eratostene, Ipparco, Lucrezio, Tolomeo, Ipazia. «Il declino della scienza greca – si legge nella didascalia – è indicato dalla scarsità dei nomi riportati a partire dal I secolo a.C.».EdMax