Romanzo scientifico

Matematica e scienza: un romanzo

Creato da EdMax il 13/03/2011

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Messaggi del 17/05/2011

Personaggi della matematica

Post n°105 pubblicato il 17 Maggio 2011 da EdMax
 

Denis Guedj, Il teorema del pappagallo (Le théorème du perroquet, trad. di Lidia Perria), TEA 2003

Il capitolo 9 si intitola Euclide, l’uomo del rigore. Si parla di Alessandria d’Egitto (fondata nel 331 a.C. da Alessandro Magno che aveva appena conquistato l’Egitto) che «tra l’Europa e l’Asia, tra la Grecia e l’Egitto, tra il Pantheon greco e gli dei egiziani, sarà il museo del mondo greco per ben sette secoli, più del doppio dei secoli che separano Euclide da Talete […] Otto anni dopo la fondazione della città, Alessandro Magno morì, a soli trentatré anni. Il gigantesco impero da lui fondato si dissolse. Atene stava per essere detronizzata: non era più il centro del mondo greco […] Quale sarebbe stata la nuova Atene? Pergamo, Antiochia in Siria, Pella in Macedonia, Efeso o Alessandria? L’ultima nata ebbe la meglio: toccò ad Alessandria succedere ad Atene. Poteva vantare un privilegio: la tomba di Alessandro. Il re Tolomeo era riuscito a recuperare il corpo del grande condottiero per farlo seppellire nella città».

Nell’Accademia platonica furono attivi Teeteto, Eudosso e Archita, mentre al Museo lavorarono Eratostene, Apollonio e forse Dositeo, il matematico cieco che era grande amico di Archimede. Ma «uno dei primi stipendiati, e senza dubbio il più celebre, fu Euclide».

Tutti i manoscritti che giungevano ad Alessandria dovevano essere confiscati e portati nella grande Biblioteca; «dopo essere stati studiati con cura e copiati dagli scribi, saranno restituiti ai proprietari, mentre la copia andrà ad arricchire i fondi della Biblioteca. Quando invece si tratta di un pezzo raro, al proprietario viene restituita soltanto una copia, mentre l’originale viene requisito dalle autorità e va ad arricchire una collezione particolare, che hanno avuto il buongusto di chiamare “il fondo delle navi”».

«Senza l’etimologia amerei di meno le parole»

«I primi libri si presentavano sottoforma di rotoli, in latino volumen […] Tutto Omero: soltanto dell’Odissea se ne conservavano due dozzine di versioni diverse; i tragici: Eschilo, Sofocle ed Euripide; i grandi commediografi, come Aristofane. I pensatori di Mileto: Anassimandro e Anassimene. I sofisti, gli eleati, i megaresi, Sul moto della sfera di Autolico di Pitane, gli Elementi di geometria di Ippocrate di Chio. Le opere di Teeteto, quelle di Teodoro e tutta la biblioteca di Aristotele, che Tolomeo era riuscito ad assicurarsi dopo molti sforzi».

Guedj racconta del re Tolomeo, che nella Biblioteca si soffermò sugli «scaffali che accoglievano i numerosi rotoli degli Elementi ordinatamente riposti negli astucci. Voltandosi di colpo verso Euclide, gli domandò se non esisteva una via più breve per accostarsi ai segreti della matematica. “Non esiste nessuna strada regale che porti alla geometria”, rispose Euclide, dimostrando un notevole coraggio. Un’altra volta, Euclide aveva appena finito di spiegare un teorema a un allievo, allorché  quest’ultimo, un giovane piuttosto avido, volle sapere quale profitto ne avrebbe ricavato. Il matematico allora si rivolse a uno schiavo, ordinando: “Dagli tre oboli, visto che deve assolutamente trarre profitto da ciò che ha imparato”».

«Se volete accostarvi ai miti, non dovete mostrarvi né frettolosi né avidi, che siate re o regine […] Ah, ragazzi miei, dovreste imparare di nuovo da Aristotele la logica e da Euclide il rigore», scrive Guedj.

«Gli Elementi di Euclide! Tredici libri! L’autore li ha numerati da uno a tredici per indicare che formano un tutto unico e che ogni cosa si svolge secondo un ordine preciso: ordine interno a ogni volume e ordine tra i volumi […] Quest’opera, dopo la Bibbia, è quella che ha avuto il maggior numero di edizioni: quasi mille, fino ai giorni nostri. Quella contenuta nella BDF è una delle edizioni più antiche, una traduzione italiana di Niccolò Tartaglia, pubblicata a Venezia nel 1543 […] 120 definizioni, 372 teoremi e 92 problemi […] La geometria piana, la teoria dei numeri, la geometria nello spazio. «Nelle prime righe del testo, come in un copione teatrale, Euclide presenta gli “attori” dell’epopea geometrica che si svolgerà nell’arco di tredici atti. È il ruolo delle definizioni: il punto è ciò che non ha parti, la linea è una lunghezza senza larghezza, una superficie è ciò che ha soltanto lunghezza e larghezza, un angolo nel piano è l’inclinazione reciproca di due linee le quali s’incontrino tra loro e non giacciono in linea retta».

«Tra le linee, ne esiste una notevole, la linea retta […], una linea che giace uniformemente rispetto ai suoi punti […]. La retta tratta allo stesso modo tutti i punti che si trovano su di essa».

«Tra le superfici ne esiste una notevole, la superficie piana […], è piana la superficie che, tra tutte le altre, è disposta in maniera uguale rispetto alle rette che vi sono disposte […]. Il piano tratta allo stesso modo tutte le rette che si trovano su di esso».

E poi: «Angolo!». Il signor Ruche allungò il braccio davanti a sé, lo piegò facendo leva sull’articolazione del gomito. Il nome deriva dal greco ankon, cioè gomito. Bloccò l’articolazione a metà: «tra gli angoli, ce n’è uno notevole: l’angolo retto». E così via, prima di passare alle varie figure: «ce ne vogliono almeno tre per delimitare uno spazio rettilineo: il triangolo è la più elementare delle figure rettilinee chiuse». Tra i quadrilateri, «il posto d’onore spetta al quadrato, cha ha una forma sola. Basta un unico elemento, la lunghezza del lato, per conoscerlo in modo totale. Quindi è la volta del rettangolo: a definirlo bastano due lati. E il rombo, il parallelogramma, il trapezio».

«Gli attori erano stati definiti, ora toccava a Euclide farli muovere sulla scena. Dividere un angolo in due parti uguali, il che porta alla costruzione delle bisettrici; fare altrettanto con un segmento, il che porta alle mediane; calcolare le aree; stabilire in quali condizioni due figure dello stesso tipo sono uguali».

E la costruzione dei poligoni regolari e il libro quinto, il più famoso dei tredici: il Libro delle proporzioni. Poi il libro VI della similitudine, il teorema di Talete e i tre libri dell’aritmetica: numeri pari/dispari, numeri divisibili/primi, scomposizione in fattori primi, M.C.D. e m.c.m.

Il libro X degli Irrazionali, che riprende «l’opera di Teodoro, il fondatore della teoria degli incommensurabili […] Mentre i poveri pitagorici possedevano un unico irrazionale, la radice quadrata di due, Teodoro ne aveva trovati altri, dimostrando l’irrazionalità delle radici quadrate di tutti i numeri fino al 17». Poi Teeteto continuò la ricerca degli irrazionali, che tanto fastidio avevano creato ai pitagorici, ma fu Euclide ad addomesticarli.

Gli ultimi tre libri, la Geometria nello spazio: piramide, prisma, cono, cilindro, sfera, poliedri regolari. «Euclide ha utilizzato un metodo notevolmente efficace inventato da Eudosso, che più tardi verrà definito metodo di esaustione. Esaustione significa “esaurire col pensiero”. Una lista esaustiva è una lista che esaurisce tutti gli oggetti da elencare. Il metodo consiste nel dimostrare che due grandezze sono uguali, mostrando che la loro differenza è inferiore a qualsiasi quantità data, per quanto piccola […], un procedimento all’infinito che “esaurisce col pensiero” le tappe successive. Per esempio, per determinare la superficie del cerchio, s’iscrive al suo interno un quadrato, e poi si raddoppia il numero dei lati, ripetendo l’operazione all’infinito. La superficie del poligono inscritto così ottenuto diventa sempre più grande a ogni tappa successiva, ma è sempre inferiore a quella del cerchio. L’interesse del metodo consiste nel fatto che la differenza tra questa superficie, che si può calcolare, e quella del cerchio, che si vuole trovare, può diventare sempre più piccola, a piacere: basta moltiplicare il numero dei lati. Si può dunque conoscere la superficie del cerchio con la massima precisione possibile, ma non la si può conoscere esattamente».

«Libro XIII, coronamento dell’opera! La conclusione alla quale tendevano i dodici libri precedenti, e cioè la costruzione dei cinque poliedri regolari inscrivibili nella sfera: il tetraedro, ossia la piramide a base triangolare, le cui quattro facce sono triangoli equilateri; il cubo, con sei facce quadrate; l’ottaedro, cioè due piramidi uguali unite per la base quadrata, con otto facce a forma di triangolo equilatero; il dodecaedro, con dodici facce a forma di pentagono regolare, e infine l’icosaedro, con venti facce a forma di triangolo equilatero» e, «nell’infinità dei poliedri che regna nello spazio, ne esistono solo cinque regolari! […] Nel piano, per esempio, esiste un numero infinito di poligoni regolari inscritti in un cerchio. E invece nello spazio ci sono soltanto cinque solidi regolari» perché, secondo Platone, «nell’universo esistono soltanto cinque elementi fondamentali […], l’insieme dei cinque s’iscrive nella sfera geometrica, che è la sfera dell’universo, partecipando della creazione del mondo nel rappresentarne l’armonia assoluta. Ecco perché nell’antichità sono stati celebrati come i “corpi cosmici” o i “solidi platonici”. E, per concludere, il risultato al quale tendeva tutto l’edificio degli Elementi: “Non esistono altri poliedri regolari tranne quei cinque!».

Le basi delle verità

 Ma «occorre gettare le basi delle verità. Sarà il prezzo da pagare per avviare la macchina a produrre le verità, dopodiché il meccanismo deve funzionare sfruttando la propria energia. Dunque non si può uscire dal circolo vizioso se non ammettendo alcune verità di partenza, che si stabiliscono a priori e una volta per tutte […], gli enti fondamentali a partire dai quali se ne costruiranno altri. E così l’universo matematico si popolerà di esseri nuovi».

«Subito dopo le definizioni arrivano i postulati e gli assiomi. I primi affermano a priori che certe costruzioni sono possibili. I secondi sono nozioni comunemente accettate da tutti, principi del pensiero dei quali non si sente il bisogno di discutere la validità […] Euclide ha schierato in campo questa batteria di assiomi o “nozioni comuni” la cui portata va ben oltre i confini della matematica»:

«Due grandezze uguali a una terza sono uguali tra loro», «E se, a grandezze uguali, se ne aggiungono altre uguali, si ottengono grandezze uguali», «E se, a grandezze uguali, si sottraggono grandezze uguali, si ottengono grandezze uguali», «E se, a grandezze disuguali, si aggiungono grandezze uguali, i risultati sono disuguali», «Grandezze che coincidono tra loro sono uguali», «I doppi della stessa grandezza sono uguali tra loro» e «Le metà della stessa grandezza sono uguali tra loro», «La parte è minore del tutto […]

Senza assiomi, non sarebbe possibile nessun confronto».

Poi i postulati: «Di postulati della geometria, Euclide ne ha scelti cinque: 1) per due punti passa una retta; 2) un segmento di retta può essere prolungato di una lunghezza qualsiasi (lo spazio è illimitato in tutte le direzioni); 3) in ogni punto è possibile tracciare un cerchio di cui tale punto sia il centro con un raggio di lunghezza qualsiasi; 4) tutti gli angoli retti sono uguali tra loro.

E infine, 5) «in un piano, per un punto esterno a una retta data, passa una e una sola parallela a tale retta. E questo dice… quello che vuole dire», concluse Ruche.

EdMax

 
 
 
 
 

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