Edizioni il Papavero

Con una pietra al collo e un groppo in gola


PREFAZIONE La poesia ci stanca, recita una lirica di Angelo Curcio. Inizia da lì il suo viaggio, dalla fatica, dal sudore, dal generoso supplizio che s’impone quando scrive, dal sacrificio che serve per non tradire la propria anima.Questa è la trama che si svolge tra una parola e l’altra del suo lavoro, che è vortice senza fine, infinito non circondabile, dolore e vita che, con rispetto, ascolti. Colpevole, Angelo, di trasportarci nel suo mondo immaginario e costruircelo intorno senza possibilità di fuga. Rimani in quel groviglio di vie, di personaggi, di storie e non vorresti essere in nessun altro posto perché ormai ti appartengono quei vicoli oscuri che permettono, sempre, possibilità di luce, riscatto dal buio.Pelle che continua sulla tua pelle senza sovrapporsi ma diventandone prosecuzione, idea ulteriore, prospettiva che si aggiunge, sguardo accarezzante sulle miserie nostre e sacrosanto perdono delle colpe, come succede in tutta la musica-poesia di Fabrizio De Andrè, dedica non chiusa ma aperta di queste liriche, Caronte che ci trasporta al bellissimo inferno che meritiamo e che Angelo ci regala con queste trame che ci accompagnano in un cammino inconsueto e trascinante.Entrate, con fiducia, nel presente dei suoi quadri dipinti da parole e intravedrete già tutto il passato e il futuro di parole che conoscono il miracolo del tempo, e usate tutti i sensi, senza risparmio. Così ci piegheremo al rapimento del poeta, colpevole, ancora, di non lasciarci più. Rei noi, più di lui, di non abbandonare l’idea che sia possibile restituire alla parola un valore sentimentale profondo che rappresenti unione tra persone, libertà di raccontare forze e debolezze, come i bambini in un ipotetico girotondo, felici solo di tenersi per mano e di aiutare il proprio amico, il vicino, il compagno a rialzarsi se cade.Buona lettura senza pace.SILVANA PASANISI