Il portale dei sogni

La donna e la magia


      LA DONNA ETRUSCA La donna etrusca ricopriva ruoli importanti, come rivelato dalla presenza della trasmissione del cognome materno nelle iscrizioni funerarie; poteva avere schiavi ed aveva diritto ad un nome completo ed essere titolare di attività produttive.Nella civiltà Etrusca la condizione della donna era per certi versi privilegiata, compaiono insieme con i mariti nelle scene di banchetto comuni nell’arte funeraria, sarcofagi, rilievi e pitture. Tuttavia non bisogna dedurre l’esistenza di un matriarcato, così come alcuni studiosi avevano inizialmente ipotizzato, gli etruschi avevano soltanto concesso alle loro donne un ruolo effettivamente attivo nella gestione sociale, probabilmente per garantirsi con più facilità la conservazione del modello etrusco.In base alle testimonianze archeologiche ed epigrafe sappiamo che in Etruria, come nelle altre civiltà antiche, i diritti politici erano riservati ai soli cittadini maschi, e il nome familiare, il nostro cognome, si trasmetteva nella maggioranza dei casi per via paterna. Mentre le donne greche della stessa epoca rimanevano recluse nel loro ambito privato, dal gineceo potevano uscire solo per partecipare a processioni o funerali, mantenevano una posizione del tutto secondaria nei confronti degli uomini, le donne etrusche, come le donne romane partecipavano ai banchetti con i loro consorti e assistevano alle gare atletiche ed agli spettacoli.Questo fu motivo di scandalo per molti scrittori greci, che consideravano questo tipo di condotta un chiaro esempio di depravazione morale etrusca, secondo lo storico greco Teopompo, le donne etrusche non solo condividevano la mensa con i propri mariti ma anche con altri uomini presenti al banchetto, arrivando perfino ad ubriacarsi e a rivolgere le proprie attenzioni nei confronti degli ospiti molto oltre il lecito, con l’inevitabile risultato che nascevano bambini di cui si ignorava chi fosse il padre.Plauto sostiene che le fanciulle etrusche avevano l’abitudine a prostituirsi per procurarsi la dote, sono sicuramente giudizi distorti di chi non riusciva a comprendere un comportamento diverso da quello di cui era abituato. La realtà, come sempre, è molto meno romanzata e sicuramente la morale greca aveva l’unico scopo di non mettere in crisi il proprio rigido ordinamento sociale dei generi, ovviamente Teopompo deve essere stato il precursore del gossip, tanto che fin dall’antichità veniva ritenuto la lingua più velenosa della letteratura greca e soprannominato “maledicentissimus”Uno sguardo lanciato attraverso i diversi modi di vivere l'ideale della bellezza da parte degli etruschi: il popolo che ha saputo elevare la cura del corpo a simbolo eterno del proprio indiscutibile e aristocratico fascino. I luoghi termali, i profumi, gli unguenti, le erbe medicinali, l'arte cosmetica con i suoi strumenti fatati, tutto concorre a tessere la trama di un'unica misteriosa e appassionante storia. E a raccontarla sono gli oggetti stessi che compongono la toeletta di una donna etrusca straordinariamente moderna: solo le immagini mute, dopo quasi tremila anni, sanno ancora riflettere, nel fondo dorato di uno specchio, la sua incorrotta ed ineffabile bellezza.Teopompo, nel libro CLIII della sua storia, dice che:...presso i Tirreni le donne sono tenute in comune, che hanno molta cura del loro corpo e che si presentano nude, spesso, tra uomini, talora fra di esse, in quanto non è disdicevole il mostrarsi nude. Stanno a tavola non vicino al marito, ma vicino al primo venuto dei presenti e brindano alla salute di chi vogliono. Sono forti bevitrici e molto belle da vedere...LA DONNA ROMANADono dei Numi è la bellezza;/quante possono vantarsene?/ Gran parte di voi tale dono non ha./ Le cure un volto vi faranno;/ un volto non ben curato sfiorirà,/ quand’anche pari sia a quello della dea Venere.”Così scriveva Ovidio nella sua Ars Amatoria, e proprio per raggiungere la tanto agognata bellezza, Publio Ovidio Nasone, proponeva alle donne romane, una ricetta per conservare una pelle morbida e liscia:2 libbre (654,9 g) di orzo, 2 libbre (654,9 g) di ervo (simile alla lenticchia), 1/6 di libbra (54,575 g) di corna di cervo, 12 bulbi di narciso 1/6 di libbra (54,575 g) di miscela di resina e di cereale d’Etruria, 9 sestanti (491,17g) di miele.Il procedimento per ottenere questa maschera di bellezza non era per niente semplice ma le donne dell’antica Roma non badavano a spese pur di essere sempre belle e seducenti. Basti pensare, come ricorda Plinio, che per preparare il bagno di bellezza di Poppea si utilizzava il latte delle 500 asine che erano sempre al suo seguito.Creme, profumi e unguenti erano il trattamento quotidiano delle donne dei ceti sociali più abbienti. Dopo le abluzioni quotidiane complete, le donne erano solite cospargersi il corpo con unguenti profumati per dare alla pelle una maggiore elasticità e subito dopo si dedicavano alle acconciature che a volte erano talmente complesse da richiedere la presenza di una schiava addetta alla pettinatura.Plinio ci dice che per preparare la pelle al make up si utilizzavano ingredienti vegetali ed animali: i lupini come detergenti, il bicarbonato di sodio come sbiancante, il burro per ridurre l’acne e le lenticchie per eliminare le macchie della pelle.I sopraccigli venivano delineati con l’antimonio polverizzato mentre per sottolineare gli occhi si usava una pasta ottenuta da formiche abbrustolite. Interessante è anche sapere che, a seconda del messaggio che intendevano inviare all’interlocutore, le donne romane cambiavano la posizione del neo che si disegnavano sul volto alla fine della “seduta di make up”.Ma chi pensa che il desiderio di bellezza sia stato declinato, nell’antichità, soltanto al femminile, deve ricredersi e fare i conti con le testimonianze di Svetonio, che fa sapere che anche gli uomini romani erano vanitosi. Per esempio, la pratica della depilazione era diffusa anche tra gli uomini: sembra che Augusto si bruciasse appena appena le gambe per far ricrescere i peli più morbidi e che Cesare si depilasse nonostante questa pratica fosse considerata un “po’ troppo femminile”.  LA DONNA GRECA    La perfezione dell’Antica GreciaE’ solo a partire dalla Grecia classica (V sec. a.C.) che si affermano veri e propri canoni estetici. Per il periodo precedente si può solo prendere atto, attraverso le fonti documentarie, di come tra i popoli più antichi le donne cercassero di rendere più gradevole il loro aspetto fisico.All’idea di bellezza gli antichi Greci associano i concetti di grazia, misura e soprattutto proporzione: un corpo è bello quando esiste equilibrio, simmetria ed armonia tra tutte le sue parti e tra ciascuna di esse e la figura intera.Visto che la maggior parte delle opere d’arte dell’Antica Grecia mirano a tradurre in forme concrete l’ideale di massima bellezza, è attraverso lo studio di tali opere che possiamo farci un’idea dei canoni di bellezza vigenti all’epoca. Sono soprattutto le statue raffiguranti Venere che ci permettono di conoscere gli standard estetici del tempo, infatti Venere è la dea dell’amore, e quando gli artisti raffigurano questa divinità si ispirano alle donne considerate più belle e affascinanti.Il corpo femminile, visto attraverso l’arte greca, è un corpo di grande bellezza e armonia, le cui proporzioni ottimali ne fanno ancora oggi un ideale di perfezione.Il fisico femminile più apprezzato è morbido e formoso, con fianchi larghi, seno e glutei non troppo pronunciati, ma rotondi e sodi.Il corpo femminile perfetto viene studiato e immortalato dallo scultore Prassitele (attivo tra il 370 e il 330 a.C.) nella celebre statua dell’Afrodite di Cnido (360 a. C.), un’opera di straordinaria bellezza, purtroppo andata perduta e oggi nota solo attraverso copie di epoca romana. Il corpo sinuoso della dea presenta tutti gli attributi della femminilità.Ma il perfetto ideale di bellezza femminile è la Venere di Milo (fine II sec. a. C.), un capolavoro di fama mondiale. La figura femminile presenta ancora forme morbide e curve pronunciate, che le conferiscono una grande sensualità. La bellezza del corpo della dea, riconosciuta anche ai giorni nostri, a distanza di oltre due millenni, dimostra come gli antichi Greci abbiano effettivamente elaborato i canoni di bellezza perfetti.Le donne dell’antica Grecia curavano molto l’igiene e la bellezza fisica in genere, a cominciare dalla pelle, sia del viso che del corpo, che doveva essere morbida, liscia, idratata e giovane il più a lungo possibile.Allo scopo, dopo la pulizia, le signore erano solite cospargersi di oli, che svolgevano molteplici funzioni; quello più adoperato era l’olio oliva, le cui straordinarie virtù erano note fin dai tempi più remoti (anche oggi esso costituisce un importante ingrediente di molti prodotti di bellezza) e che costituiva la base principale per la preparazione di creme e unguenti (altri oli, meno raffinati e preziosi, si usavano per fare profumi).Gli aromi aggiunti erano gli stessi già in uso presso gli Egiziani, estremamente attenti nella cura del corpo, come mirra, cedro, pino e giglio, ma anche viola, zafferano e mela cotogna, tipici della Grecia.Amatissimo era l’aroma di rosa.