FATTERELLI

EQUINOZI TROVATI PER SBAGLIO NELLA CASSETTA POSTALE


Mia Primavera, amica e amante I.Sono qui. Siccome immobile sbracciato nel caldo domestico, braccato dal freddo intorno. Equinozio nevoso, bianco, puro. Come il suono genuino di una festa. Una sonda allegra e tecnologica, notizie di qualche giorno fa, ci mostra più da vicino Saturno, un freddo astro o pianeta (l'astronomia non sarà mai il mio mestiere) che ruota distante e inanellato nel cosmo. Ora sappiamo che è stato fotografato per i suoi irreali colori celeste e panna, non è più un'oscura traiettoria degli anelli lungo la storia. Gli anelli. Quello stretto abbraccio di fede che si rivela per noi al solo sguardo della mente, nel segreto degli occhi. E' un pianeta al rovescio, dunque, non contro. Sul suo corpo celeste Dante situa gli spiriti contemplanti: le anime che fissarono la propria attenzione all'eterno, distogliendola dai mutamenti continui della Terra. Per questo chiama Saturno splendore e cristallo. La luce è il frutto. E Saturno è il Paradiso dantesco: fiammeggia. Perciò il rassicurante contatto terreno non ci interessa. Nemmeno del giornalista che nel 1969 gridò alla Tv in bianco e nero -ha toccato!....- con la mano alzata. Che ce ne importa a noi del dio dell'agricoltura e delle sue leggi cicliche che governano lo sviluppo delle stagioni?! Ma quando mai il suo avvicinamento è armonico: no, è violento, lacerante e l'uomo non può che uscirne piegato. Era un divoratore dei figli della Terra nel mito della cosmogonia greca. Era rottura dell'ordine costituito anche per i romani: nei saturnalia a dicembre celebravano il cessare della rassicurante autorità di Giove, in favore della libertà primitiva e terrificante di Saturno. Freddo, gelido, così distante dal cuore. Anche in un senso anatomico: era associato alla milza nell'antica rappresentazione del cosmo, che vedeva il corpo dell'uomo e della donna come mirabili riassunti dell'universo. Come se il pianeta vivesse nell'organo contenitore della bile nera, l'umore considerato -un tempo- base fisiologica della malinconia. Che ce ne importa a noi della malinconica luna. Quella ingannatrice. Perché Shakespeare era un grande giornalista di cronaca. Un giornalista di cronaca terrestre. Io da cosa vengo braccato? Dalle notizie di due genitori che abbiano il coraggio di ricordare che la felicità sta nel dire la verità senza far del male agli altri? Che i migliori amici d'infanzia sognino-progetti-utopici (sembrano tre ripetizioni o espressioni tautologiche), e che bambini soldati riuniti in clan strappino le budella per la povertà tramutandola in arroganza? Oggi, in questo equinozio, in Calabria hanno protestato per taluni diritti. Chissà se fioriranno!Cosa importa dunque arrabbiarsi di gelosia! Succhiare fino all'osso quella stupida vita di guinzagli, dentro ossessioni che ti schiavizzano (e che ci saranno sempre perché, lo ammetterai o no, siamo tutti anatroccoli trainati da una madre -diceva un poeta quando era adolescente-) è come non guardare quella bellezza che, come hai detto tu, è ovunque e soprattutto negli occhi di chi la vede. La gelosia è quel tango che tutti prima o poi imparano a ballare. Per questo sentirti vibrare dentro per me è sempre esserti luce del tuo silenzio. Per questo equinozio di primavera non so se ti sei guardata allo specchio e mi hai visto, io continuo ad aprire scatole segrete, senza anelli ma abbracci concentrici e nascosti, senza tempo. Ho bisogno di una locandiera che mi auguri buon viaggio. A trovarne! Vorrei dormisse sulla mia spalla o lei in grembo a condiverne amicizia vera. Quei cassetti vanno cambiati. Se il freddo intorno ancora non ci dà Signora Primavera. Vestiamoci intanto. Io mi vesto di un confetto profumato ad un balcone che parli trepidante come davanti il banco frigo stuzzicando l'idea di uno scherzo di sale nel caffé, e tu e quel vestito -lo so- solleticate vendetta ridendo come pazze sul divano. E' un vestito che non voglio perdere, è una mano eterna. Lo avverto da un anello.Io parlo di cose terrestri, braccato dalle dissacrazioni anche del pianeta Marte. Io ti regalerò quelle difficoltà. Un piede in gravità da tempo cammina sul cornicione di due finestre lontane illuminate come quel cerchio in cui cerco di cogliere i suoi sguardi eterni, le sue mani sono a coppa che vogliono il mio fiume (e lo darò) perché la luna è biancospino per quella mia scia di specchi riflessi; io ne darò fiori e parole per spogliarlo, quel piede, perché mi piace offrirlo e vestirmelo di venti notturni e artigiani che suonano a tutte l'ore. Io mi darò a quella musica, e lo saprai. Perché ne condividerò. Sono sguardi eterni che non voglio perdere.Ma tutto questo, non so cosa significa. Lo leggerai?Volevo gridare al mondo, nella rete, tutto questo. Era solo per augurarti una nuova primavera. Chi lo sa, se fiorirò. Da solo o con quale anello.                                      EMANUELE
Questi in foto sono i coglioni che mi girano