Il Cardiopatico

Scarpe Finte


- ogni cazzo di treno che passa per questa cazzo di stazione si porta via un pezzo della mia anima - Pensava. Che fosse un poeta era ovvio; anche per chi lo guardava da lontano. Chi lo guardava da vicino invece notava prima la sua bellezza, poi la sua poesia. Chi infine aveva avuto la fortuna di guardarlo da vicinissimo, per esempio quelle due ragazze e mezzo a cui si era concesso, aveva scorto in lui anche un leggerissimo strabismo di Venere dei suoi due occhi castani. E non era facile fissarli i suoi occhi: chi lo faceva provava sempre una strana sensazione. Di incompletezza. Il suo occhi destro guardava con estrema attenzione e lucidità l'esterno; il suo occhio sinistro invece era proiettato (metaforicamente si intende) perennemente all'interno del suo stesso cranio... Come se quel luogo fosse a lui sconosciuto quanto il mondo fuori. Non era passato molto tempo da quando era fuggito. Lo ricordava ancora come fosse una cosa appena accaduta; una di quelle cose che si inchiodano nel cervelletto e non hanno la minima intenzione di appartarsi in memorie più remote. Una di quelle cose egocentriche, che monopolizzano il palco della tua anima. Lui aveva in effetti sempre immaginato la sua anima come un minuscolo palco in cui periodicamente si incontravano ricordi dall'ego troppo fritto per convivere tra loro. Ed in quel momento il "Mnemonic Theatre" dava in scena la sua fuga da "La bella città delle scarpe finte". Vedeva il palco come attraverso una televisione, ma aveva deciso di spegnerla... lasciando quei solitari attori a recitare comunque senza pubblico. L'unica cosa che non capiva era il perché sentiva rumore anche quando la televisione era spenta. Un rumore sordo. Sfuggente. Ma al contempo presente ed infiltrante. Negli anni stava infiltrando la sua mente come l'acqua infiltra i muri, come l'acqua li marcisce, come l'acqua infine li macchia indelebilmente e si necessita una ripitturata; azione che non è possibile svolgere sulla mente. Almeno così credeva. Maria. Bella. Rara. Bionda. Silenziosa. Nella città conobbe Maria. Poche parole: le strette necessarie. Non allargava mai, non sbrodolava in discorsi rumorosi. E nemmeno a tavola sbrodolava mai. Con lei si sentiva felice, ristretto nelle sue cure, infiltrato dal Silenzio del suo amore. Ma quantomeno l'unico rumore che sentiva era quello delle sue vene cerebrali e aveva imparato a tenere la televisione spenta. Con lei imparò i silenzi dell'amore, quelli della tenerezza e quelli dedicati ai bronci. Con lei imparò anche a fare sesso, del gran buon sesso; cosa che poi gli tornò utile in un futuro nemmeno troppo remoto. Ma un treno passa... ed ogni treno che passa si porta via un pezzo della sua anima, un attore della compagnia, un personaggio della commedia, un dito della mano, un occhio del pubblico. ... e se ne va. Non sapeva dove scappare. Non aveva idea di come si potesse fuggire da un luogo a tal punto radicato nelle vene. Non aveva idea neppure di come si vivesse nel mondo "laggiù", come lo chiamavano nella città. Non aveva idea di nulla, nemmeno di come... Maria. -Dov'è Maria?- cominciò ad urlare. ed alzando il volume della voce fino a sovrastare il suo rumore cominciò a emanare anche qualche bestemmia da quella cosa che comunemente viene chiamata bocca, infine, basta.