Epifanie

Le vite degli altri


di Florian Henckel von Donnersmarck. Con Martina Gedeck, Ulrich Mühe, Sebastian Koch, Ulrich TukurTitolo originale Das Leben der Anderen. Drammatico, durata 137 min. - Germania 2006.
Pluripremiato ovunque, trionfatore dell'Award europeo e vincitore dell'Oscar 2006 per la migliore opera straniera, Le vite degli altri si colloca in primissima linea tra quei film che, ormai, autorizzano a parlare di una "nouvelle vague" tedesca. L'azione si svolge a Berlino Est, alla metà degli anni 80. Un esperto funzionario della Stasi, Gerd Wiesler, è incaricato di sorvegliare Georg Dreymann, drammaturgo di successo che il ministro della cultura vorrebbe in odore di dissidenza. In realtà, si tratta di una macchinazione ai danni dello scrittore, cui il politico intende sottrarre la bella compagna, l'attrice Christa-Maria. Il poliziotto piazza microfoni e comincia la sorveglianza a tempo pieno della coppia. Poco a poco, però, l'esperienza lo trasforma, facendogli sentire l'abiezione del proprio ruolo e spingendolo, quasi suo malgrado, a proteggere Dreymann. Il tono freddo della fotografia, le scenografie anonime e i pochi colori dominanti bastano a immergerci nell'atmosfera disumanizzata e glaciale della Ddr di vent'anni fa, luogo ed epoca praticamente inesplorati dal cinema. Pur senza assumere atteggiamenti dimostrativi, il film ci restituisce un'immagine globale della Germania ante-caduta del Muro attraverso alcuni destini esemplari. Né si sogna, von Donnesmarck, di radicalizzare la portata etica dei personaggi principali: se l'apparentemente ottuso funzionario del regime subisce una metamorfosi, l'"eroe" preferisce chiudere gli occhi di fronte alla realtà; quanto alla donna, in lei la generosità confligge con l'ambizione e non esclude diverse varianti di tradimento. Le vite degli altri è un film sottilmente psicologico, dove la dialettica di simmetrie-opposizioni tra i due caratteri maschili funziona da motore principale degli eventi. Con orientamento sicuro, la sceneggiatura dello stesso von Donnersmarck evita le possibili implicazioni patologiche (voyeur-spiato) del rapporto, prendendo una direzione umanistica e narrandoci, quasi a mezza voce, una presa di coscienza esemplare.di Roberto Nepoti - Da La Repubblica, 6 aprile 2007