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Messaggi del 23/08/2010

Little Boxes

Post n°518 pubblicato il 23 Agosto 2010 da a17540
 

Nella versione originale di Malvina Reynolds



Little boxes on the hillside
Little boxes made of ticky-tacky
Little boxes, little boxes
Little boxes, all the same

There's a green one and a pink one
And a blue one and a yellow one
And they're all made out of ticky-tacky
And they all look just the same

And the people in the houses
All go to the university
And they all get put in boxes
Little boxes, all the same

And there's doctors and there's lawyers
And business executives
And they're all made out of ticky-tacky
And they all look just the same
 

Nella versione di Regina Spektor



E' la sigla della Serie TV Weeds. 

 
 
 

L'Orso

Post n°519 pubblicato il 23 Agosto 2010 da a17540
 

 
 
 

Speranza

Post n°520 pubblicato il 23 Agosto 2010 da a17540
 

 
 
 

Il Lupo

Post n°521 pubblicato il 23 Agosto 2010 da a17540
 

 
 
 

She's my private angel

Post n°522 pubblicato il 23 Agosto 2010 da a17540
 

 
 
 

Help?

Post n°523 pubblicato il 23 Agosto 2010 da a17540
 

 
 
 

Persona

Post n°524 pubblicato il 23 Agosto 2010 da a17540
 



Un film di Ingmar Bergman. Con Bibi Andersson, Liv Ullmann, Gunnar Björnstrand -Drammatico, b/n durata 86 min. - Svezia 1966.



Intorno a Persona (titolo preso in prestito dal latino «dramatis persona», cioè «maschera») si sono a lungo scervellati gli studiosi di Ingmar Bergman.
II film è infatti considerato uno dei capolavori della filmografia bergmaniana: sperimentale nelle tecniche di montaggio e di studio della luce (hanno fatto scuola i fotogrammi del direttore della fotografia Sven Nykvist che sovrappongono i volti delle due protagoniste fino a crearne uno solo), indecifrabile in alcuni passaggi dove storia e psicanalisi si confondono in dialoghi dalle imperdibili battute, recitazione perfetta, metafora inimitabile sul ruolo dell'arte e degli artisti, dotato di un prologo con immagini crude di vita e morte che scorrono da un proiettore e che un ragazzino con gli occhiali insegue su una parete quasi volesse afferrarle. Quel prologo, che precede i titoli di testa, dura sei minuti e serve ad ammonirci che stiamo per assistere a un film con tutte le illusioni del caso, anche se la pellicola ci parlerà di cose e sentimenti che ci appartengono.
La storia, all'apparenza, è semplice. Una dottoressa spiega a un'infermiera di nome Alma (Bibi Andersson) che dovrà assistere Elisabeth Vogler (Liv Ullmann), un'attrice che mentre interpretava l'Elettra di Sofocle ha inspiegabilmente perso la parola. La degenza in ospedale è solo servita a capire che la paziente non è malata né nel fisico né nella psiche. Alma accetta il compito di accudire l'attrice. L'infermiera è una donna all'apparenza serena: ha un lavoro che le piace, ha un fidanzato con cui sta per sposarsi, vuole avere dei bambini, ha una vita semplice e cerca di rendersi utile agli altri. Elisabeth è il contrario: ha paura della vita, inorridisce quando la tv trasmette le immagini della guerra in Vietnam con i bonzi che si danno fuoco per protesta, ha un marito e un figlio ma non si ritiene appagata. Forse fa il mestiere dell'attrice per nascondere le sue angosce interpretando personaggi che vivono solo nella fantasia del pubblico e degli attori. Quando riceve una lettera dal marito che contiene la foto di loro figlio, Elisabeth straccia l'intero contenuto della busta. Il suo dramma interiore è inestricabile: vuole essere quello che è, non quello che appare di essere. La scelta del mutismo è la sua forma di protesta. In questo modo, non deve recitare sulla scena e sulla vita. Bisogna accettarla semplicemente com'è. Il mutismo serve per non mentire.
«Fa così bene parlare»
La terapia consigliata dalla dottoressa è il riposo assoluto. Per questo, Alma e Elisabeth partono per trascorrere qualche giorno in un'isola deserta. Tra le due sembra nascere una amicizia confidenziale.
Alma confessa di credere in Dio, poi racconta a Elisabeth le gioie e i dolori del suo primo amore infelice insieme a un amplesso con uno sconosciuto dove ha prevalso il piacere crudele seguito da una maternità indesiderata che si è interrotta da sola. Forse l'infermiera vuole vincere la freddezza della paziente, o forse ha solo bisogno anche lei di un contatto umano. Quest'ultima le sorride, ma non parla. Sembra comprenderla, pur continuando a tacere.
L'isola che le ha accolte - con l'essenzialità fatta di luci, sole e pioggia - ha favorito la comunicazione e ha vinto l'apatia di Elisabeth. Dice Alma: «Mi hai insegnato a fumare, nessuno si era degnato di ascoltarmi, fa così bene parlare». A un certo punto sembra addirittura che Elisabeth pronunci un amorevole bisbiglio: «È meglio che vai a letto, altrimenti ti addormenti sul tavolo».
Il dialogo si spezza d'improvviso, quando Alma scopre che Elisabeth ha raccolto le sue confidenze private in una lettera inviata alla dottoressa in cui dice che le piace «studiarla». Legge d'istinto quella missiva, mentre dovrebbe limitarsi a imbucarla. I ruoli si sono capovolti. L'infermiera è diventata Elisabeth, la paziente Alma. La vera infermiera non lo accetta. Insegue la paziente lungo gli scogli dell'isola: ci litiga, la picchia, la insulta, si sente tradita. A un certo punto sta per versare sul corpo di Elisabeth dell'acqua bollente. Ed è quel gesto che fa interrompere il silenzio di Elisabeth: «No, sei pazza».
Non riescono a perdonarsi, mentre Elisabeth inorridisce di fronte alla foto che compare tra le pagine di un libro e che ritrae un bambino ebreo con le mani alzate nel rastrellamento nazista del ghetto di Varsavia. La vita reale, come era avvenuto per le immagini della guerra in Vietnam, ritorna a fare a pugni con la vita individuale che ha scelto il mutismo.
Alma, di colpo, sembra identificarsi, nella sua assistita. È qui, ancora una volta, che avviene il rovesciamento dei ruoli e la loro compenetrazione. Il marito di Elisabeth (Gunnar Björnstrand) abbraccia Alma come se fosse sua moglie. I volti delle due donne si confondono di nuovo in uno solo. Elisabeth ha riunito i pezzi strappati della foto del figlio, mentre Alma l'accusa di non aver mai amato quel ragazzino. Sei diventata madre - le dice - perché ti avevano detto che il tuo campionario esistenziale era quasi completo, ma poi tu hai desiderato un figlio morto per rifuggire dalle responsabilità: non sai che amare dà un senso alla vita.
Alla fine di quel violento dialogo, che viene ripetuto due volte con angolazioni diverse della macchina da presa per confondere Alma con Elisabeth, l'attrice pronuncia una sola parola: «Nulla». Proprio come le chiede Alma. Ora si sono dette tutto. Le due protagoniste possono abbandonare l'isola, ognuna per suo conto. Chissà che Elisabeth non abbia ritrovato il coraggio di vivere e che Alma abbia perduto il suo innocente ottimismo.
La pelle del serpente
Persona è stato girato nell'estate del 1965. Alla fine del 1962, ad appena 45 anni di età, Bergman era stato nominato direttore del Dramatiska Teatern di Stoccolma, il tempio della rappresentazione svedese, il luogo cult che aveva reso famoso il teatro di August Strindberg e che accoglierà il regista de Il posto delle fragole per oltre cinquant'anni. «L'organizzazione e l'amministrazione erano praticamente inesistenti. Si trattava di organizzare l'attività del teatro dalle fondamenta», scrive Bergman nelle sue memorie.
Il regista si butta anima e corpo in quel lavoro di riorganizzazione senza rinunciare ai suoi impegni cinematografici. Le due attività, del resto, ne hanno scandito tutta la vita come un metronomo: regie teatrali d'inverno con la testa impegnata a scrivere sceneggiature di nuovi film, regie cinematografiche d'estate quando i palcoscenici teatrali vanno in vacanza e il clima svedese permette di girare gli esterni. Bergman, stressato, si ammala alla fine del 1964: doppia infiammazione polmonare e intossicazione da penicillina. I medici lo ricoverano all'Ospedale Sophiahemmet di Stoccolma. In clinica, Bergman inizia a scrivere la sceneggiatura di Persona, «più che altro per tenere allenata la mano» (Immagini, Garzanti, 1992). Ma il ricovero ospedaliero, come spesso è accaduto nella sua biografia, serve a fare il punto sull'attività del regista. Ecco così che Bergman matura una riflessione sul ruolo dell'arte e dell'artista: scrive un saggio, La pelle del serpente, che pubblicherà come introduzione alla sceneggiatura di 
Persona.
«La creazione artistica in me si è sempre manifestata come fame… In linea di massima l'arte è libera, impudica, irresponsabile; il movimento che la circonda è intenso, quasi febbrile. Esso somiglia a una pelle di serpente piena di formiche. Il serpente stesso è già da lungo tempo morto, mangiato, privato del suo veleno, ma l'involucro si muove ancora, brulicante di esseri viventi e affaccendati», scrive Bergman in quel saggio dove precisa che è soprattutto la sua impagabile curiosità a fargli riaccendere la fame della creazione. Per spiegarsi meglio, aggiunge: «Noto, osservo, sono tutt'occhi, tutto è inverosimile, fantastico, spaventoso, oppure ridicolo». Che Persona sia pure una riflessione sul ruolo dell'arte e degli attori è evidente da alcuni dialoghi. Dice Alma: «Ho una grande ammirazione per gli artisti. L'arte di recitare ha enorme importanza nella vita, soprattutto per chi non sa superare da solo le sue difficoltà». Dice la dottoressa che cura Elisabeth: «Qual è il ruolo più difficile? Togliersi la vita? Ma no, sarebbe poco dignitoso. Meglio rifugiarsi nell'im
mobilità, nel mutismo, così si evita di dover mentire, oppure mettersi al riparo dalla vita, così non c'è bisogno di recitare, di mostrare un volto finto o fare gesti non voluti. Devi continuare a recitare la tua parte fino in fondo, finché essa non perda interesse, e abbandonarla così come sei abituata a fare passando da un ruolo all'altro».
Bergman ama i suoi attori. Vuole da loro il perfezionismo assoluto, fino al punto che non si possa notare dove c'è la mano di Bergman e dove ci sono loro, come avviene nella confusione di ruoli tra Alma e Elisabeth. In Persona, in particolare, la recitazione di Bibi Andersson e Liv Ullmann è perfetta, mai indulgente e mai fuori delle righe. L'alchimia è assolutamente riuscita anche per l'amicizia e la stima che lega le due attrici, spiate in ogni movimento
ed espressione dei volti dalla macchina da presa di Sven Nykvist e dagli occhi innamorati di Ingmar Bergman.
Liv Ullmann e Fârö, due amori
Persona cela dietro le immagini del film due innamoramenti di Bergman. Il primo è per Liv Ullmann, con cui vivrà per cinque anni e avrà una figlia (Linn Ullmann). Il secondo è per l'isola di Fârö, già usata come palcoscenico in Come in uno specchio (1960), dove deciderà di risiedere fino ai nostri giorni e dove farà costruire la sua casa proprio nei dintorni del set che aveva ospitato Persona. «Il film sì avvantaggiò naturalmente anche per il fatto che forti sentimenti privati si agitarono durante le riprese», scrive Bergman che aveva un rapporto speciale pure con Bibi Andersson, sua compagna di vita negli anni precedenti.
L'opinione di Liv Ullmann sull'incontro con Bergman è raccolta nella sua autobiografia (Cambiare, Mondadori, 1977): «Era la prima volta che incontravo un regista cinematografico che mi lasciava rivelare sentimenti e pensieri che nessun altro aveva mai riconosciuto. Un regista che ascoltava con pazienza, la tempia appoggiata al dito indice, e che capiva tutto ciò che mi sforzavo di esprimere. Un uomo di genio che creava un'atmosfera in cui tutto poteva accadere, perfino ciò che ignoravo di me stessa».
Nonostante Bibi Andersson l'avesse messa in guardia sul pericolo di innamorarsi di Bergman, la Ullmann non le dà ascolto: «La guardavo dal lontano paradiso dove mi trovavo in quanto ero la prima donna sulla terra che amasse riamata. Mi avvicinavo in punta di piedi a Bibi e mi accucciavo sul suo letto per dirle tutto ciò che non ero stata capace dì dire a lui». Il set diPersona è ideale per quell'amore che sboccia. La magia del cinema imprigiona nelle immagini del film il volto di Liv Ullmann che segue tutte le raccomandazioni del regista, mentre dietro le quinte la conquista e davanti alla macchina da presa ottiene tutto quello che vuole.
L'attrice s'intenerisce, raccontando la prima collaborazione con Bergman: «Giravamo Personasull'isola. Faceva caldo. Lo scoprivo un altro essere umano. Lui scopriva me. E non era necessario che ne parlassimo. Non ho mai vissuto un'estate come quella. Mai più. Andavamo a spasso lungo la spiaggia senza parlare, senza domandare nulla, senza timori. Una volta scoprimmo un muretto di pietra che limitava un pezzo di terreno incolto. Ci sedemmo a guardare il mare che, una volta tanto, era perfettamente calmo sotto il sole. Nel luogo dove eravamo seduti egli ha costruito la sua casa».
Il ricordo di Bergman, invece, è tutto razionale: «Persona mi ha salvato la vita. Non è un'esagerazione. Per la prima volta non mi preoccupai se il risultato avrebbe avuto un significato generale o no. Oggi sento che con Persona - e più tardi con Sussurri e grida - sono giunto al massimo a cui posso arrivare, e che in tutta libertà tocco segreti senza parole, che solo la cinematografia può mettere in risalto».
di Aldo Garzia - da Liberazione

LINK: Ingmar Bergman

 
 
 

Breve incontro

Post n°525 pubblicato il 23 Agosto 2010 da a17540
 

Un film di David Lean. Con Trevor Howard, Celia Johnson - Titolo originale Brief Encounter. Drammatico, b/n durata 85 min. - Gran Bretagna 1945.

Sovente un film si atteggia a romanzo, a romanzone, e cade nel romanzaccio. Questo d'oggi non vuole essere altro che una novella tenue, delicata. È l'incontro di due quarantenni. Casuale, breve, e intenso. Lei una moglietta già stanca, lui un marito quasi rassegnato. Eppure, fra i due, di un tratto dimentichi delle prime rughe, dei figli, della casa, sboccia un subitaneo, ventenne idillio. È l'ultimo raggio di un sole pallido, al tramonto. E quando i due si troveranno di fronte all'istante che potrà poi trasformarsi in tossico, s'arretrano; lui se ne andrà, per sempre; e lei ritroverà nel marito una difesa, un'altra amarezza, e un rifugio.  Il film è accuratissimo, sensibilissimo, ha il coraggio di sfruttare la bravura e la fisica povertà della bruttina Celia Johnson, dello stempiato Trevor Howard. Ha episodi ottimamente scorciati, ed è esile, talvolta addirittura (ma apparentemente) anemico, come l'esangue e povera ultima giovinezza dei suoi due dimessi protagonisti. Chi sa gustare malinconie in grigio, accenni cauti e larvati, troverà in questo film molti istanti suadenti, accorati, in un'apparente monotonia ambientale che è però voluta; come tutti gli altri elementi del film che, sottovoce, finisce per scavare nel profondo. (1947)
di Mario Gromo - Da Film visti. Dai Lumière al Cinerama, Edizioni di Bianco e Nero, Roma, 1957

 
 
 
 
 

INFO


Un blog di: a17540
Data di creazione: 14/06/2010
 

AREA PERSONALE

 
 

Epifania, dal greco
επιφάνεια,
epifaneia, che significa
manifestazione.

 

LEE WILEY - THE MAN I LOVE



 

Un’epifania è un momento
speciale in cui un qualsiasi
oggetto della vita comune,

una persona, un episodio
diventa "rivelatore"
del vero significato
della vita a chi
ne percepisce il valore
simbolico.

 

KATE HUDSON - CINEMA ITALIANO




 


Lo stream of consciousness
o flusso di coscienza
è espressione di  quell'area della mente umana che sta al di là della comunicazione e che non è controllata razionalmente né logicamente ordinata.
Applicato in ambito artistico permette di travalicare le consuete strutture sintattiche e arriva a toccare il fondo oscuro e inconfessato dell'animo umano. 

L’esempio più celebre e valido in ambito letterario è forse il monologo di Molly Bloom con cui si chiude l’Ulisse di James Joyce.
Lo scopo dell'artista in questo caso non è quello di insegnare ma di presentare la realtà in tutti i suoi aspetti nel modo più impersonale ed oggettivo possibile e di lasciare al lettore la possibilità di comprenderla attraverso la sua personale percezione.

 
 

IMMA-NU-EL

"Ecco, la Vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emanuele" (Isaia)
Emanuele in ebraico è Imma-nu-El letteralmente "con noi Dio".
Il 6 gennaio la Chiesa commemora l'Epifania del Signore, ossia quando il Messia si è rivelato al mondo: quando "Dio è con noi".

 

BILLIE HOLIDAY - MY MAN



 

ELLA FITZGERALD - I LOVE PARIS



 

 

JUDY GARLAND - HAVE YOURSELF A MERRY LITTLE CHRI



 

JEAN ARTHUR CARY GRANT - ONLY ANGELS HAVE WINGS



 
 

 
 

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