Il Fornaio

In Paradiso saremo in tanti


Mi ero messo lì come tutte le mattine a farela mia parte di lavoro. Scrittore, si diceva. Ecome tale buttavo giù porzioni a volte ispirate,altre noiose e che non avrebbero mai vistola luce su una pubblicazione decente. Stavosorbendo il mio the quando Lui si decise aentrare e a sedersi senza tante cerimonie accanto alla mia scrivania. Portava un luridocappellino da baseball, pantaloni corti di jeansstrappati in più punti, piedi nudi, magliettatalmente usurata da essere ormai lisa e capellilunghi e unti, di un colore fra il rugginoso e ilverde brillante. Era, efficacemente, la visualepermanente dell'ex narratore di successo,alternativo ed eccessivo, qualcuno che avevascritto pezzi e romanzi molto ispirati, a metàfra lo steampunk e i neoclassici, in bilico fraPynchon e Dumas padre; insomma un dono perle cronache di qualche tempo prima, anchegrazie ai 4 matrimoni e al ricovero in 2 clinicheper la disintossicazione da crack. Lo fissavomentre giocherellava con una confezione dibiscottini tedeschi e parlottava a bassa voce,discutendo con sé stesso sul tempo e sulle royalties bruciate troppo in fretta. Non avevoil coraggio di affrontarlo; i peli mi si eranodrizzati sulla schiena e le mani si erano toltedal PC per cadere senza forza lungo i fianchi.Alla fine si era deciso a uscire dalle sue stanzedove trascorreva il tempo in una clausura acida,ma mai avrei creduto che avrebbe trovato il coraggio e la sfacciataggine di venirmi a tampinaredurante le mie sedute di lavoro. Mai avrei pensatoche lo avrebbe fatto in modo squinternato, straccionee impertinente, come stava facendo. Le ciglia incollatealle palpebre per il troppo sonno, le unghie nere e lelabbra sottolineate da una strisciolina rosso carminio,quasi avesse sbagliato rossetto prima di uscire perla ricreazione. Io, dal mio canto, non riuscivo adallungare neppure una riga sotto quello sguardovacuo e inopportuno e dietro quel blaterare sordoe continuo, praticamente inintelleggibile. Restaiqualche minuto immobile e imbarazzato finchémi decisi a borbottare qualcosa in risposta mentreallungavo la mano per prendere il suo gomito e cercavo di sollevarlo per allontanarlo dalla mia stanza.Lo pregai sommessamente di lasciarmi in pace, diandare una volta per tutte e riprendersi in mano lasua vita. Di cercare di mettere insieme i pezzi dellasua ormai baraccata esistenza. Ma Lui nemmeno si degnava di farmi un cenno con il capo, continuavaspento a giocherellare con l'accendino per la miasensimilia. alla fine mi arrabbiai di brutto e cominciaiad alzare la voce riempiendolo di contumelie, fui talmente brutale da far accorrere mia moglie, chefece irruzione nel locale con gli occhi strabuzzati.Le urlai di darmi una mano a buttare fuori quelcialtrone seduto alla mia scrivania. "Chi?". RisposeLei preoccupata. fu allora che mi accorsi del tragicosilenzio che si stava posando su tutto. Ero solo, erosempre stato solo. Mi passai la mano fra i capellia metà fra il rugginoso e il verde brillante, lisciai iluridi jeans con i buchi e mi passai la mano sulla bocca per togliere la strana linea rossastra. Zoppicando mi sollevai e, passato fianco a mia moglie,mi trascinai in bagno a pigliare i miei antipsicotici. (produzione propria - 21/04/16)Studio matto e disperatissimo