European Front Line

2009 : Quali prospettive?


Scelte internazionaliIl 2009 si presenta come un anno di scelte internazionali. Gli Usa devono tentare di evitare che la recessione derapi in depressione e che la scarsità finanziaria e i problemi interni li costringano ad abbandonare l'assoluta egemonia internazionale. Cosa farà l'amministrazione Obama? Al momento sembra orientata ad accentuare tutte le tensioni possibili in Europa e nel Caucaso e ad attaccare la Russia al cuore. Dal canto suo la Russia è chiamata al difficilissimo compito di mantenere le posizioni recentemente acquisite nel campo energetico e politico pur nella difficile congiuntura di crisi economica e di neo aggressività pilotata dagli States. La Cina starà quasi certamente alla finestra, non senza essere chiamata comunque a compiere scelte decisive sulla stabilità monetaria internazionale. L'India si trova dilaniata tra polarità diverse e opposte, tra cui rientra la nuova calamita panasiatica, con Cina e Corea del Sud, cui si potrebbero aggiungere Indonesia e Giappone disegnando così un bipolarismo geografico ed economico est-ovest che chiuderebbe la Russia a tenaglia e rigetterebbe l'Europa nella posizione di semplice gregaria americana, ruolo dal quale la forza dell'Euro l'ha parzialmente sottratta. L'America Latina vive l'ambiguità di un momento di passaggio contrassegnato dal doppio sentimento di nazionalismo anti-yankee e di revanscismo collaborazionista (un po' Chavez e un po' Lula). L'Africa subisce la nuova colonizzazione e spartizione euro-amero-cinese. L'Europa oscilla tra le nostalgie microstatalistiche, una posizione di compromesso e l'assunzione di una necessità, quella di divenire finalmente soggetto. E lo può fare solo in due casi: saldandosi con la Russia e facendosi quindi protagonista insieme a Usa e Cina della scena mondiale, oppure ponendosi nel mezzo tra Usa e Russia accettando un semplice ruolo di comprimaria con una certa autonomia ma con scarse ambizioni. Se dovesse invece stringersi sul fronte atlantico o, peggio, disgregarsi nel nome di sovranismi provinciali (di cui le destre terminali si fanno immancabilmente stolide portavoci) cesserebbe per sempre di avere un ruolo. Questi nodi verranno sciolti presto.Crisi economicaIl 2009 per gli economisti sarà un anno di crisi, anche acuta, per certuni catastrofica. Non c'è da fidarsi troppo di questi individui specie quando fanno previsioni. Tuttavia alcuni fattori sono incontestabili. La crisi finanziaria è reale, di grande portata e non risparmia alcun paese sviluppato. Le ricadute dovrebbero essere diverse in intensità e forse in durata ma nessuno ne sarà esente e, visto il livello d'interrelazione tra le economie, è quasi impossibile definire cosa accadrà nelle aree che a prima vista sembrerebbero meno a rischio dato che oggi la produzione, la distribuzione, il consumo, la speculazione sono scaglionati in un groviglio internazionale intersecato e sparso ovunque. Si tratta di una situazione inedita che comporta anche la difficoltà di fuoriuscita classica, cioè la guerra. Una situazione come questa, se ci fosse una divisione più chiara delle aree, porterebbe diritto diritto alla guerra mondiale o, più probabilmente, ad una serie di conflitti regionali (Caucaso, Balcani, India-Pakistan, Asia Centrale, dorsale afgano-iraniano-turco-siriano); ma è possibile che proprio il groviglio d'interessi renda complicata questa soluzione che pure sembra quella maggiormente perseguita dalla dirigenza americana che, evidentemente, ha studiato i classici dell'imperialismo e del capitalismo. Va detto che le classi politiche stanno comunque cercando delle soluzioni protezionistiche e delle aree proprie. Cosa che non garba agli americani, come si è visto in Grecia cui non perdonano di aver stretto relazioni ad est, ma che ha un certo interesse agli occhi di chi abbia un minimo di amor proprio, a prescindere dal fatto che tali scelte, come quelle effettuate dal governo Berlusconi di partnership con la Russia e di rilancio verso il Mediterraneo, aumenteranno il rischio di destabilizzazione e di tensione pilotata da Washington in casa nostra nonché quelle di guerre diffuse. Ma che importa? Nessuno si è mai liberato dormendo.La ristrutturazioneAl G20 il premier australiano Rudd ha ammonito: "la crisi ieri era finanziaria, oggi è economica, domani sarà sociale". Ed è questo l'altro aspetto dell'attuale gestione politica. Il sistema mondiale difende innanzitutto i ricchi e i privilegiati e non c'è sul tavolo, da nessuna parte politica che non sia un ectoplasma, una soluzione non intrinsecamente antisociale. Un'alternativa sociale va costruita, non affermata per slogan; purtroppo sono davvero esigue le minoranze messesi al lavoro da tempo per realizzare un'opera sensata; sicché possiamo dare per scontate due cose: la linea generale perseguita ovunque e i suoi primi risultati. La linea perseguita ricalca un po' la mentalità del new deal prevede un'azione in due tempi: accettazione cinica di una catastrofe sociale e di una depressione che i singoli governi cercheranno di ammortizzare in collaborazione con le varie chiese (e moschee) e quindi ripresa produttiva con il rilancio in una nuova spartizione delle aree d'influenza e di sfruttamento degli stessi settori industriali che iniziammo a liquidare tre decenni orsono. Insomma: disastro sociale prima per un (eventuale) rilancio successivo che si baserà sulla rimozione di alcune scelte incapacitanti del recente passato. Quale che sia il risultato di questa ristrutturazione vivremo comunque un momento intermedio che produrrà da una parte un'insofferenza emergente e crescente e dall'altro il ridimensionamento se non la liquidazione dei valvassori di uno stato sociale oramai derapato e depravato: sindacati e associazioni. Un'illuminazioneE qui gli auguri per un'illuminazione col nuovo anno s'impongono. Traviate dai loro preconcetti quelle che si vorrebbero aree "antagoniste" non sembrano aver capito che la partita oggi non è più nazionale. Né l'economia, né la politica hanno dei confini precisi , tantomeno assimilabili a quelli istituzionali che corrispondono alla commedia ma non alla realtà. Pretendere di "cavalcare l'onda" del malcontento seguendo schemi a circuito chiuso come se ci trovassimo negli anni Sessanta è puerile. La rabbia non può produrre alcun cambiamento sistemico in mancanza di solide e concrete premesse economiche alternative che non sono state neanche lontanamente abbozzate. Il momento di passaggio in cui i singoli governi subiranno le pressioni dei delusi e degli affamati non porterà perciò ad alcun'alternativa sociale ma solo ad intoppi che, se prolungati, non faranno che ritardare il secondo tempo della ristrutturazione a tutto vantaggio di chi non si troverà di fronte eccessivi ostacoli interni, ovvero, realisticamente, di Usa e Cina. Se ci fosse maturità, dico una parola grossa, se ci fosse maturità rivoluzionaria, si cercherebbe di utilizzare il malcontento non tanto per cercare voti barattati con slogan vuoti quanto per andare a organizzare autonomie produttive. La società dis-sociata mostra i segni della crisi, l'assistenzialismo, che è la perversione ed il tradimento dello stato sociale, perde l'ossigeno. Ma laddove si possono unire solidarietà e pluralità per creare una produzione non finanziata dall'alto ma gestita comunitariamente (e dunque in primis nelle aree "radicali") si può costituire pian piano una realtà solida e protagonista. Ciò sarà precluso ai singoli individui della società dis-sociata perché non hanno dalla loro la forza motrice, ovvero la comunità, e non potrà assolutamenre essere perseguito da parissiti assistiti che finiranno fuori gioco. Il lato positivo della difficile congiuntura è che in essa si può realmente esprimere qualcosa di solido e di emergente che a lungo termine potrebbe addirittura soppiantare i filtri sporchi e le zavorre costituiti dalla casta dei sindacati e delle associazioni che, almeno loro, subiranno contraccolpi benedetti di questa crisi. Insomma l'augurio è che si smetta di ragionare in termini di populismo qualunquista, facile, miope, improduttivo, provinciale e strategicamente grato ai superpotenti, per acquisire una mentalità social-imperiale, rivoluzionaria in sé e nel metodo andando a costituire lobby e tribunato.Lobby di popoloCreare, costruire, solidificare, guardando lontano e con molta ambizione. Partecipare, nei limiti del possibile, alle battaglie trasversali a valore strategico; tanto quelle che portano alla formazione di centri d'iniziative economiche e geopolitiche di stampo europeo con vocazione imperiale quanto quelle che comportano la riscrittura del sistema di rappresenatività sociale. Affermare e realizzare soluzioni all'altezza dei tempi, il più possibile incentrati su avanguardismo e su espressioni futur-ardite. Questi sono gli obiettivi che si dovrebbe prefiggere chi abbia anche solo un minimo di volontà di potenza. Ciò si articola con il volontariato a vocazione geopolitica e con l'interventismo sociale volto a soluzioni concrete e a costruzione di strutture e reti. Il tutto si esprime in centri d'innovazione culturale e politica e nella crescita della lobby di popolo sia nel movimentismo che nel trasversalismo.Quel che fino a poche settimane fa appariva arduo oggi diviene più agevole: non solo si aprono spazi per il cedimento progressivo e imperativo dei parassiti ma le stesse élites sociali e le intellighenzie hanno bisogno di risposte che solo chi abbia un forte ancoraggio culturale in quel che contiene in sé soluzioni attuali e futuribili può offrire. E a differenza di ieri chiunque abbia ruoli di gestione, in qualunque contesto, sotto qualsiasi etichetta, non esiterà a sollecitare il confronto. La crisi, insomma, contiene possibilità inedite che non vanno affatto confuse con la tentazione della demagogia sterile, innocua e incapacitante. Eventuali rappresentanze partitiche, riminiscenza dell'era della nostra colonizzazione totale, non possono essere né uniche, né univoche, né un fine in se stesse né, soprattutto onnicomprensive. E le loro tematiche per attrarre dovrebbero essere più interessanti, profonde, strategiche di quelle trite e ritrite di un estetico e verboso "antagonismo" al governo fatto di autocelebrazione e fissato su luoghi comuni recitati acidamente secondo il clichè della vecchia zitella che ha qualcosa da ridire sulla conduzione familiare, o del consumatore insoddisfatto o dell'inquilino brontolone di una riunione condominiale.Basta con le piccole poltronopoliL'augurio dunque è che non pochi dei presunti "antagonisti", abitualmente prigionieri dello spettacolo che offrono di se stessi e della soddisfazione onanistica che ne ricavano, superino a sorpresa la prova del nove. Ovvero che la smettano di ripetere slogan mal digeriti che un dì altre persone, queste però all'avanguardia, espressero in una situazione comunque diversa dall'attuale. Che la piantino di restare prigionieri della meccanica di autoalimentazione in cui il pregiudizio democratico li ha inchiodati. Da quando la "seconda repubblica" ha restituito agibilità agli eredi di coloro che la "strategia della tensione" e l'odio partigiano aveva messo in un angolo, costoro, purtroppo, hanno mostrato limiti davvero preoccupanti e si sono imbottigliati nella loro piccola poltronopoli: agiscono sempre con un chiodo fisso in testa, quello di alimentarsi tramite i rimborsi elettorali che si trasformano in stipendi e fondi spesa finanziati dalla collettività. Nella reiterazione di questo misero automatismo, divenuto un vero e proprio fine, essi hanno portato alla retroguardia e all'inconscio servilismo dei potenti ciò che fino a ieri era stato all'avanguardia ed hanno commesso, generalmente ignari di quello che facevano, uno dei più gravi crimini contro la nostra storia. So che molti nel 2009 si preoccuperanno della grande "occasione" delle europee. Vada per i parassiti che se ne alimenteranno letteralmente, ma per tutti gli altri perdere tempo a occuparsi di questo fenomeno da baraccone elettorale che ha già mostrato ampiamente di non avere alcuna funzione politica tangibile o significativa è disdicevole. I militanti disinteressati, se proprio non possono fare a meno di restare appigliati all'illusione della sopravvivenza in vitro delle retroguardie affannate, votino tranquilamente, tanto per quello che vale! Ma, soprattutto, non si fossilizzino su quest'appuntamento secondario e pensino invece a cose più significative, profonde, concrete, durature, che sono assai diverse per natura, caratteristiche e qualità.Ci si accorga che il momento è storicoIl momento è storico; mai dal 1945 ad oggi le incognite, e quindi le possibilità, sono state così grandi e articolate. Ora si tratta di decidere cosa si vuole da se stessi, se essere mercanti o guerrieri. Se si sceglie la via del mercante, ovvero quella della politica partitica e degli slogan facili e banali, nella routine e senza coraggio intellettuale, si opta altresì per la via della morte spirituale e politica. Che non sarebbe ovviamente una novità visto che l'inversione qualitativa, con l'emersione del mercantilismo, affonda le radici già nel secondo missismo degli anni cinquanta, un modello di cui le destre terminali spesso si sentono eredi. Se si sceglie invece la via del guerriero, ovvero di chi si mette a rischio in ogni istante e i premette l'avventura, la conquista, l'ambizione alla minestra e al plauso di piccole folle, allora si deve iniziare a partecipare – nella piena autonomia e senza alcuna sottomissione – alle battaglie geopolitiche, culturali e sociali che abbiamo di fronte (vedi anche il mio "Sorpasso Neuronico" scaricabile in pdf da www.noreporter.org, colonna di sinistra). Ecco l'augurio: che in un'area che si è rimpicciolita, inacidita e che nella routine si è fatta retrograda e meschina si scopra che esistono tuttora più guerrieri che mercanti. Eccola la prova del nove! Buon anno gente. Anzi buon anno gens, degli altri non m'interessa.Gabriele Adinolfitratto da www.noreporter.com