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NO G8 TORINO

Post n°61 pubblicato il 07 Luglio 2009 da pierpaso01

[No G8 Torino] L'Onda non si arresta! 21 arresti a Torino Bologna Napoli e Padova per gli scontri di corso Marconi. Corteo serale contro gli arresti a Torino


Una giornata indubbiamente straordinaria per l'Onda Anomala, al di la degli arresti eseguiti questa mattina presto dalle forze dell'ordine sotto la direzione della digos di Torino: la cifra di quel che è il movimento dell'Onda l'abbiamo nuovamente visto nella reattiva reazione agli arresti, nella rivendicazione (ancora) del giornata di conflitto del 19 maggio scorso di Torino. Cortei, blocchi, occupazioni e assemblee in tutt'Italia: "liber* tutt*".

Mentre l'Onda romana prosegue con l'occupazione notturna del rettorato de La Sapienza, questa sera a Torino l'Onda ha lanciato, nel giro di 1 ora, un corteo di risposta ai 21 arresti eseguiti. Gli studenti e le studentesse, dopo una giornata di mobilitazione (conferenza stampa e presidio al rettorato), ha compiuto il primo suo passo nella costruzione di una campagna per la scarcerazione immediata degli arrestati, fissando per le ore 21 un appuntamento dinnanzi a Palazzo Nuovo. Centinaia e centinaia di persone sono quindi partite in corteo non autorizzato per le vie del centro cittadino, mandando in tilt il traffico, ribadendo l'inaccettabilità di questi arresti, esigendo l'immediata liberazione dei compagni arrestati, lanciando un corteo serale contro la repressione per venerdi.

Domani sarà un altra giornata di all'insegna dell'Onda e della campagna appena iniziata, appuntamenti: alle 9 davanti il rettorato a Bologna, alle 10 davanti il senato accademico a Pisa, alle 11 davanti il rettorato a Padova e Roma, alle 15 a Palazzo Nuovo a Torino.

 
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Saramago: “La corruzione non importa a nessuno” da micromega

Post n°59 pubblicato il 24 Giugno 2009 da pierpaso01

Il quotidiano spagnolo El Mundo intervista José Saramago.

traduzione di italiadallestero.info

José Saramago ha raccolto gli articoli pubblicati durante i primi sei mesi della sua attività da blogger ne “Il Quaderno”, un libro che in Italia è stato censurato da Silvio Berlusconi e che riflette lo spirito critico del suo autore. “La corruzione non importa a nessuno”, sostiene l’autore in un’intervista realizzata via e-mail in occasione della pubblicazione de “Il Quaderno” (Edizioni Alfaguara).

Il libro, i cui incassi saranno devoluti alla Fondazione José Saramago che ospita il blog dello scrittore, sarà presentato dall’ottantaseienne Premio Nobel portoghese in un incontro con i blogger e aperto a tutti gli internauti del mondo, che si terrà il prossimo 25 [giugno, N.d.T.] a Lisbona.

Domanda.- La casa editrice italiana Einaudi, proprietà di Silvio Berlusconi, non pubblicherà “Il Quaderno” in quanto contiene critiche dirette al primo ministro italiano e magnate della comunicazione. Cosa ne pensa di questa decisione?

Risposta.- Prima o poi sarebbe dovuto accadere. Berlusconi è padrone e signore di Einaudi, era scontato che avrebbero preso una decisione contro l’impertinente scrittore che gli crea seccature. Bisogna ammettere che gli editori non potevano far altro che obbedire agli “ordini” del despota. I loro posti di lavoro sarebbero stati in pericolo se avessero deciso di pubblicare “il Quaderno”. Come minimo il giorno dopo si sarebbero ritrovati in mezzo a una strada.

D.- Cosa accadrà con l’edizione italiana de “Il Quaderno”?

R.- “Il Quaderno” sarà pubblicato in Italia dalla casa editrice Bollati Boringhieri che, grazie alla sua disponibilità, è diventata la mia nuova casa editrice. Per quanto riguarda Einaudi, non ho nulla contro gli editori, piuttosto contro il proprietario dell’azienda.

D.- Che conseguenze ha per la democrazia italiana il fatto che Berlusconi associ potere politico, economico e mediatico?

R.- Qualcuno ha detto che una metà della popolazione lavora per Berlusconi e che l’altra metà sogna di farlo. Questa è una delle cause del problema. L’altra, forse ancora più importante, è che la corruzione non importa a nessuno. Proprio adesso in Spagna un partito come il PP, minato dalla corruzione, è uscito incolume dalle elezioni europee.

D.- Come è possibile che la maggioranza degli italiani sostenga Berlusconi?

R.- La corruzione non è solo materiale, è anche morale. La perdita di valori è un fenomeno di massa. Probabilmente il fenomeno di massa che caratterizza questi tempi.

D.- Come sta andando l’avventura da blogger che ha intrapreso lo scorso mese di settembre?

R.- Meglio di quanto avrei potuto immaginare. Mi colpisce in particolare la velocità di risposta dei lettori e la sincerità che esprimono, come se fossimo tra colleghi…

D.- Che sensazione prova nel vedere raccolti ne “Il Quaderno” i testi che ha scritto per il suo blog?

R.- Mi risulta un po’ strano. Io non stavo scrivendo un libro, ed ecco che il libro appare, fatto e finito come se fosse stato progettato. La sensazione è che un’altra persona, che non sono io, abbia scritto queste pagine. Anche se quando le leggo non solo le sento mie ma penso anche che, come ho scritto sulla quarta di copertina, abbiano in qualche modo illuminato il cammino di giorno in giorno.

D.- In questi mesi lei ha commentato i principali fatti d’attualità internazionale. Ha scritto sulla crisi economica e sulla vittoria di Barack Obama. Come è cambiato il mondo in questo periodo?

R.- Abbiamo assistito alla caduta di un capitalismo che sembrava onnipotente ed eterno, di un mercato che avrebbe dovuto essere regolatore e dispensatore di benefici e democrazia. La cosa negativa è che la sinistra non ha avuto nessun ruolo in tutto questo. In questo momento il capitalismo sta cercando di salvare il salvabile, e ci riuscirà. La sinistra, invece, non sta facendo altro che dirigere la sua storica sconfitta.

D.- Gli articoli de “Il Quaderno” riportano tra l’altro la sua cronaca personale degli ultimi mesi in cui lei ha pubblicato un nuovo romanzo e ha presentato un film basato su una delle sue opere. Il blog l’ha aiutata a consolidare i rapporti con i suoi lettori?

R.- Bisognerebbe chiederlo a loro. In un certo senso nulla è cambiato nel mio lavoro. Quando scrivo non penso ai lettori, penso, si, a ciò che sto facendo e penso a farlo bene. C’è molto del lavoro di artigiano nel lavoro di scrittore.

D.- Come blogger, che funzione attribuisce ad Internet nello scambio di opinioni? Ha cambiato idea sulla rete?

R.- In questo momento credo che Internet abbia soltanto sfiorato la superficie di un auspicabile scambio di opinioni. Tutti credono di avere idee e rifiutano le gerarchie di pensiero che, lo vogliamo o no, esistono. La conclusione, quindi, è che tutto è uguale a tutto, si confondono i ruoli e il concetto di autorità. Ma si tratta di una confusione iniziale, il caos è un ordine da decifrare e anche in rete arriverà il giorno in cui si riuscirà a non confondere pan per focaccia.

D.- Lei nel suo blog è stato molto critico nei confronti di alcuni personaggi (Bush, Berlusconi, Aznar, Sarkozy), categorie professionali ( i banchieri) ed istituzioni (la Chiesa cattolica). Ha anche criticato duramente la sinistra. Durante la sua attività da blogger ha scoperto molti argomenti contro i quali bisognerebbe alzare la voce?

R.- Una vita intera non basterebbe. Dobbiamo limitarci agli argomenti verso i quali siamo più sensibili a patto di riuscire ad essere sufficientemente informati per avvalorare il nostro punto di vista. C’è troppa frivolezza in Internet, come dicevamo prima, non è necessario aggiungere anche la nostra. Effettivamente ho parlato delle persone di personaggi che non considero positivi, ma anche dei grandi del momento, di autori magnifici, di politici che come Obama rappresentano qualcosa di nuovo. E della gente che ha sacrificato parte della propria vita per renderci migliori come Rosa Park o Sigifredo López, o coloro i quali in Spagna cercano i loro morti nelle fosse comuni della Guerra Civile, o Rita Levi Montalcini, o Darwin che ha fatto in modo che capissimo meglio chi siamo.

D.- L’ultimo dei testi raccolti in questo volume è un omaggio a sua moglie, Pilar del Río, ispiratrice del blog. Come l’ha convinta ad intraprendere questa avventura in Internet?

R.- Ho resisitito giusto un po’, molto poco. Sono abituato a fidarmi delle idee di Pilar.

 
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al ompagno enrico berlinguer 11 giugno 1984

Post n°58 pubblicato il 11 Giugno 2009 da pierpaso01

Intervista a Enrico Berlinguer di Eugenio Scalfari, La Repubblica, 28 luglio 1981. «I partiti sono diventati macchine di potere»

«I partiti non fanno più politica», dice Enrico Berlinguer. «I partiti hanno degenerato e questa è l'origine dei malanni d'Italia».

La passione è finita?

Per noi comunisti la passione non è finita. Ma per gli altri? Non voglio dar giudizi e mettere il piede in casa altrui, ma i fatti ci sono e sono sotto gli occhi di tutti. I partiti di oggi sono soprattutto macchine di potere e di clientela: scarsa o mistificata conoscenza della vita e dei problemi della società e della gente, idee, ideali, programmi pochi o vaghi, sentimenti e passione civile, zero. Gestiscono interessi, i più disparati, i più contraddittori, talvolta anche loschi, comunque senza alcun rapporto con le esigenze e i bisogni umani emergenti, oppure distorcendoli, senza perseguire il bene comune. La loro stessa struttura organizzativa si è ormai conformata su questo modello, e non sono più organizzatori del popolo, formazioni che ne promuovono la maturazione civile e l'iniziativa: sono piuttosto federazioni di correnti, di camarille, ciascuna con un "boss" e dei "sotto-boss". La carta geopolitica dei partiti è fatta di nomi e di luoghi. Per la DC: Bisaglia in Veneto, Gava in Campania, Lattanzio in Puglia, Andreotti nel Lazio, De Mita ad Avellino, Gaspari in Abruzzo, Forlani nelle Marche e così via. Ma per i socialisti, più o meno, è lo stesso e per i socialdemocratici peggio ancora...

Lei mi ha detto poco fa che la degenerazione dei partiti è il punto essenziale della crisi italiana.

È quello che io penso.

Per quale motivo?

I partiti hanno occupato lo Stato e tutte le sue istituzioni, a partire dal governo. Hanno occupato gli enti locali, gli enti di previdenza, le banche, le aziende pubbliche, gli istituti culturali, gli ospedali, le università, la Rai TV, alcuni grandi giornali. Per esempio, oggi c'è il pericolo che il maggior quotidiano italiano, il Corriere della Sera, cada in mano di questo o quel partito o di una sua corrente, ma noi impediremo che un grande organo di stampa come il Corriere faccia una così brutta fine. Insomma, tutto è già lottizzato e spartito o si vorrebbe lottizzare e spartire. E il risultato è drammatico. Tutte le "operazioni" che le diverse istituzioni e i loro attuali dirigenti sono chiamati a compiere vengono viste prevalentemente in funzione dell'interesse del partito o della corrente o del clan cui si deve la carica. Un credito bancario viene concesso se è utile a questo fine, se procura vantaggi e rapporti di clientela; un'autorizzazione amministrativa viene data, un appalto viene aggiudicato, una cattedra viene assegnata, un'attrezzatura di laboratorio viene finanziata, se i beneficiari fanno atto di fedeltà al partito che procura quei vantaggi, anche quando si tratta soltanto di riconoscimenti dovuti.

Lei fa un quadro della realtà italiana da far accapponare la pelle.

E secondo lei non corrisponde alla situazione?

Debbo riconoscere, signor Segretario, che in gran parte è un quadro realistico. Ma vorrei chiederle: se gli italiani sopportano questo stato di cose è segno che lo accettano o che non se ne accorgono. Altrimenti voi avreste conquistato la guida del paese da un pezzo.

La domanda è complessa. Mi consentirà di risponderle ordinatamente. Anzitutto: molti italiani, secondo me, si accorgono benissimo del mercimonio che si fa dello Stato, delle sopraffazioni, dei favoritismi, delle discriminazioni. Ma gran parte di loro è sotto ricatto. Hanno ricevuto vantaggi (magari dovuti, ma ottenuti solo attraverso i canali dei partiti e delle loro correnti) o sperano di riceverne, o temono di non riceverne più. Vuole una conferma di quanto dico? Confronti il voto che gli italiani hanno dato in occasione dei referendum e quello delle normali elezioni politiche e amministrative. Il voto ai referendum non comporta favori, non coinvolge rapporti clientelari, non mette in gioco e non mobilita candidati e interessi privati o di un gruppo o di parte. È un voto assolutamente libero da questo genere di condizionamenti. Ebbene, sia nel '74 per il divorzio, sia, ancor di più, nell'81 per l'aborto, gli italiani hanno fornito l'immagine di un paese liberissimo e moderno, hanno dato un voto di progresso. Al nord come al sud, nelle città come nelle campagne, nei quartieri borghesi come in quelli operai e proletari. Nelle elezioni politiche e amministrative il quadro cambia, anche a distanza di poche settimane.

Veniamo all'altra mia domanda, se permette, signor Segretario: dovreste aver vinto da un pezzo, se le cose stanno come lei descrive.

In un certo senso, al contrario, può apparire persino straordinario che un partito come il nostro, che va così decisamente contro l'andazzo corrente, conservi tanti consensi e persino li accresca. Ma io credo di sapere a che cosa lei pensa: poiché noi dichiariamo di essere un partito "diverso" dagli altri, lei pensa che gli italiani abbiano timore di questa diversità.

Sì, è così, penso proprio a questa vostra conclamata diversità. A volte ne parlate come se foste dei marziani, oppure dei missionari in terra d'infedeli: e la gente diffida. Vuole spiegarmi con chiarezza in che consiste la vostra diversità? C'è da averne paura?

Qualcuno, sì, ha ragione di temerne, e lei capisce subito chi intendo. Per una risposta chiara alla sua domanda, elencherò per punti molto semplici in che consiste il nostro essere diversi, così spero non ci sarà più margine all'equivoco. Dunque: primo, noi vogliamo che i partiti cessino di occupare lo Stato. I partiti debbono, come dice la nostra Costituzione, concorrere alla formazione della volontà politica della nazione; e ciò possono farlo non occupando pezzi sempre più larghi di Stato, sempre più numerosi centri di potere in ogni campo, ma interpretando le grandi correnti di opinione, organizzando le aspirazioni del popolo, controllando democraticamente l'operato delle istituzioni. Ecco la prima ragione della nostra diversità. Le sembra che debba incutere tanta paura agli italiani?

Veniamo alla seconda diversità.

Noi pensiamo che il privilegio vada combattuto e distrutto ovunque si annidi, che i poveri e gli emarginati, gli svantaggiati, vadano difesi, e gli vada data voce e possibilità concreta di contare nelle decisioni e di cambiare le proprie condizioni, che certi bisogni sociali e umani oggi ignorati vadano soddisfatti con priorità rispetto ad altri, che la professionalità e il merito vadano premiati, che la partecipazione di ogni cittadino e di ogni cittadina alla cosa pubblica debba essere assicurata.

Onorevole Berlinguer, queste cose le dicono tutti.

Già, ma nessuno dei partiti governativi le fa. Noi comunisti abbiamo sessant'anni di storia alle spalle e abbiamo dimostrato di perseguirle e di farle sul serio. In galera con gli operai ci siamo stati noi; sui monti con i partigiani ci siamo stati noi; nelle borgate con i disoccupati ci siamo stati noi; con le donne, con il proletariato emarginato, con i giovani ci siamo stati noi; alla direzione di certi comuni, di certe regioni, amministrate con onestà, ci siamo stati noi.

Non voi soltanto.

È vero, ma noi soprattutto. E passiamo al terzo punto di diversità. Noi pensiamo che il tipo di sviluppo economico e sociale capitalistico sia causa di gravi distorsioni, di immensi costi e disparità sociali, di enormi sprechi di ricchezza. Non vogliamo seguire i modelli di socialismo che si sono finora realizzati, rifiutiamo una rigida e centralizzata pianificazione dell'economia, pensiamo che il mercato possa mantenere una funzione essenziale, che l'iniziativa individuale sia insostituibile, che l'impresa privata abbia un suo spazio e conservi un suo ruolo importante. Ma siamo convinti che tutte queste realtà, dentro le forme capitalistiche -e soprattutto, oggi, sotto la cappa di piombo del sistema imperniato sulla DC- non funzionano più, e che quindi si possa e si debba discutere in qual modo superare il capitalismo inteso come meccanismo, come sistema, giacché esso, oggi, sta creando masse crescenti di disoccupati, di emarginati, di sfruttati. Sta qui, al fondo, la causa non solo dell'attuale crisi economica, ma di fenomeni di barbarie, del diffondersi della droga, del rifiuto del lavoro, della sfiducia, della noia, della disperazione. È un delitto avere queste idee?

Non trovo grandi differenze rispetto a quanto può pensare un convinto socialdemocratico europeo. Però a lei sembra un'offesa essere paragonato ad un socialdemocratico.

Bè, una differenza sostanziale esiste. La socialdemocrazia (parlo di quella seria, s'intende) si è sempre molto preoccupata degli operai, dei lavoratori sindacalmente organizzati e poco o nulla degli emarginati, dei sottoproletari, delle donne. Infatti, ora che si sono esauriti gli antichi margini di uno sviluppo capitalistico che consentivano una politica socialdemocratica, ora che i problemi che io prima ricordavo sono scoppiati in tutto l'occidente capitalistico, vi sono segni di crisi anche nella socialdemocrazia tedesca e nel laburismo inglese, proprio perché i partiti socialdemocratici si trovano di fronte a realtà per essi finora ignote o da essi ignorate.

Dunque, siete un partito socialista serio...

...nel senso che vogliamo costruire sul serio il socialismo...

Le dispiace, la preoccupa che il PSI lanci segnali verso strati borghesi della società?

No, non mi preoccupa. Ceti medi, borghesia produttiva sono strati importanti del paese e i loro interessi politici ed economici, quando sono legittimi, devono essere adeguatamente difesi e rappresentati. Anche noi lo facciamo. Se questi gruppi sociali trasferiscono una parte dei loro voti verso i partiti laici e verso il PSI, abbandonando la tradizionale tutela democristiana, non c'è che da esserne soddisfatti: ma a una condizione. La condizione è che, con questi nuovi voti, il PSI e i partiti laici dimostrino di saper fare una politica e di attuare un programma che davvero siano di effettivo e profondo mutamento rispetto al passato e rispetto al presente. Se invece si trattasse di un semplice trasferimento di clientele per consolidare, sotto nuove etichette, i vecchi e attuali rapporti tra partiti e Stato, partiti e governo, partiti e società, con i deleteri modi di governare e di amministrare che ne conseguono, allora non vedo di che cosa dovremmo dirci soddisfatti noi e il paese.

Secondo lei, quel mutamento di metodi e di politica c'è o no?

Francamente, no. Lei forse lo vede? La gente se ne accorge? Vada in giro per la Sicilia, ad esempio: vedrà che in gran parte c'è stato un trasferimento di clientele. Non voglio affermare che sempre e dovunque sia così. Ma affermo che socialisti e socialdemocratici non hanno finora dato alcun segno di voler iniziare quella riforma del rapporto tra partiti e istituzioni -che poi non è altro che un corretto ripristino del dettato costituzionale- senza la quale non può cominciare alcun rinnovamento e sanza la quale la questione morale resterà del tutto insoluta.

Lei ha detto varie volte che la questione morale oggi è al centro della questione italiana. Perché?

La questione morale non si esaurisce nel fatto che, essendoci dei ladri, dei corrotti, dei concussori in alte sfere della politica e dell'amministrazione, bisogna scovarli, bisogna denunciarli e bisogna metterli in galera. La questione morale, nell'Italia d'oggi, fa tutt'uno con l'occupazione dello stato da parte dei partiti governativi e delle loro correnti, fa tutt'uno con la guerra per bande, fa tutt'uno con la concezione della politica e con i metodi di governo di costoro, che vanno semmplicemente abbandonati e superati. Ecco perché dico che la questione morale è il centro del problema italiano. Ecco perché gli altri partiti possono profare d'essere forze di serio rinnovamento soltanto se aggrediscono in pieno la questione morale andando alle sue cause politiche. [...] Quel che deve interessare veramente è la sorte del paese. Se si continua in questo modo, in Italia la democrazia rischia di restringersi, non di allargarsi e svilupparsi; rischia di soffocare in una palude.

Signor Segretario, in tutto il mondo occidentale si è d'accordo sul fatto che il nemico principale da battere in questo momento sia l'inflazione, e difatti le politiche economiche di tutti i paesi industrializzati puntano a realizzare quell'obiettivo. È anche lei del medesimo parere?

Risponderò nello stesso modo di Mitterand: il principale malanno delle società occidentali è la disoccupazione. I due mali non vanno visti separatamente. L'inflazione è -se vogliamo- l'altro rovescio della medaglia. Bisogna impegnarsi a fondo contro l'una e contro l'altra. Guai a dissociare questa battaglia, guai a pensare, per esempio, che pur di domare l'inflazione si debba pagare il prezzo d'una recessione massiccia e d'una disoccupazione, come già in larga misura sta avvenendo. Ci ritroveremmo tutti in mezzo ad una catastrofe sociale di proporzioni impensabili.

Il PCI, agli inizi del 1977, lanciò la linea dell' "austerità". Non mi pare che il suo appello sia stato accolto con favore dalla classe operaia, dai lavoratori, dagli stessi militanti del partito...

Noi sostenemmo che il consumismo individuale esasperato produce non solo dissipazione di ricchezza e storture produttive, ma anche insoddisfazione, smarrimento, infelicità e che, comunque, la situazione economica dei paesi industializzati -di fronte all'aggravamento del divario, al loro interno, tra zone sviluppate e zone arretrate, e di fronte al risveglio e all'avanzata dei popoli dei paesi ex-coloniali e della loro indipendenza- non consentiva più di assicurare uno sviluppo economico e sociale conservando la "civiltà dei consumi", con tutti i guasti, anche morali, che sono intrinseci ad essa. La diffusione della droga, per esempio, tra i giovani è uno dei segni più gravi di tutto ciò e nessuno se ne dà realmente carico. Ma dicevamo dell'austerità. Fummo i soli a sottolineare la necessità di combattere gli sprechi, accrescere il risparmio, contenere i consumi privati superflui, rallentare la dinamica perversa della spesa pubblica, formare nuove risorse e nuove fonti di lavoro. Dicemmo che anche i lavoratori avrebbero dovuto contribuire per la loro parte a questo sforzo di raddrizzamento dell'economia, ma che l'insieme dei sacrifici doveva essere fatto applicando un principio di rigorosa equità e che avrebbe dovuto avere come obiettivo quello di dare l'avvio ad un diverso tipo di sviluppo e a diversi modi di vita (più parsimoniosi, ma anche più umani). Questo fu il nostro modo di porre il problema dell'austerità e della contemporanea lotta all'inflazione e alla recessione, cioè alla disoccupazione. Precisammo e sviluppammo queste posizioni al nostro XV Congresso del marzo 1979: non fummo ascoltati.

E il costo del lavoro? Le sembra un tema da dimenticare?

Il costo del lavoro va anch'esso affrontato e, nel complesso, contenuto, operando soprattutto sul fronte dell'aumento della produttività. Voglio dirle però con tutta franchezza che quando si chiedono sacrifici al paese e si comincia con il chiederli -come al solito- ai lavoratori, mentre si ha alle spalle una questione come la P2, è assai difficile ricevere ascolto ed essere credibili. Quando si chiedono sacrifici alla gente che lavora ci vuole un grande consenso, una grande credibilità politica e la capacità di colpire esosi e intollerabili privilegi. Se questi elementi non ci sono, l'operazione non può riuscire.
 
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Da Micromega il grande Sramago su Berlusconi

Post n°57 pubblicato il 09 Giugno 2009 da pierpaso01

Saramago: La cosa Berlusconi

di Josè Saramago, da El País, 6 giugno 2009, traduzione di italiadallestero.info

Non vedo che altro nome gli potrei dare. Una cosa che assomiglia pericolosamente a un essere umano, una cosa che dà feste, organizza orge e comanda in un paese chiamato Italia. Questa cosa, questa malattia, questo virus minaccia di essere la causa della morte morale del paese di Verdi se un conato di vomito profondo non riuscirà a strapparlo dalla coscienza degli italiani prima che il veleno finisca per corrompere le loro vene e per squassare il cuore di una delle più ricche culture europee.

I valori fondamentali della convivenza umana sono calpestati tutti i giorni dai piedi appiccicosi della cosa Berlusconi che, tra i suoi molteplici talenti, ha un’abilità funambolica per abusare delle parole, sconvolgendone l’intenzione e il senso, come nel caso del Polo della Libertà, come si chiama il partito con il quale ha preso d’assalto il potere. L’ho chiamato delinquente, questa cosa, e non me ne pento. Per ragioni di natura semantica e sociale che altri potranno spiegare meglio di me, il termine delinquente ha in Italia una valenza negativa molto più forte che in qualsiasi altra lingua parlata in Europa.

Per tradurre in forma chiara ed efficace ciò che penso della cosa Berlusconi utilizzo il termine nell’accezione che la lingua di Dante gli dà abitualmente, sebbene si possa avanzare più di un dubbio che Dante qualche volta lo abbia usato. Delinquere, nel mio portoghese, significa, secondo i dizionari e la pratica corrente della comunicazione, “atto di commettere delitti, disobbedire alle leggi o ai precetti morali”.

La definizione combacia con la cosa Berlusconi senza una piega, senza un tirante, fino al punto da assomigliare più a una seconda pelle che ai vestiti che si mette addosso. Da anni la cosa Berlusconi commette delitti di varia, ma sempre dimostrata, gravità. Per colmo, non è che disobbedisca alle leggi, ma, peggio ancora, le fa fabbricare a salvaguardia dei suoi interessi pubblici e privati, di politico, imprenditore e accompagnatore di minorenni, e in quanto ai precetti morali non vale neppure la pena parlarne, non c’è chi non sappia in Italia e nel mondo intero che la cosa Berlusconi da molto tempo è caduta nella più completa abiezione.

Questo è il primo ministro italiano, questa è la cosa che il popolo italiano ha eletto due volte per servirgli da modello, questo è il cammino verso la rovina a cui vengono trascinati i valori di libertà e dignità che permearono la musica di Verdi e l’azione politica di Garibaldi, coloro che fecero dell’Italia del secolo XIX, durante la lotta per l’unità, una guida spirituale dell’Europa e degli europei. Questo è ciò che la cosa Berlusconi vuole gettare nel bidone della spazzatura della Storia. Gli italiani, alla fine, lo permetteranno?

(7 giugno 2009)

 
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