Evanescenze

Barman


Mi sarebbe piaciuto lavorare in un autogrill di notte. Contare le auto che sfreccerebbero sull'autostrada mentre pulirei il bancone del bar o mi inebrierei di caffè per restare sveglio. Perché mi sembrerebbe di essere in una terra di nessuno, sulla linea di confine di ogni certezza, oltre le paranoie di questo universo. Conterei le auto come se fossi un dio: le loro vite che passano ed io che resto. Lo specchio alla parete rifletterebbe le illusioni di un mondo tremulo intrappolato in un centesimo di steradiante. I miei occhi sul mondo spalancati come quelli di un gatto e la ramazza per fare pulizia. Tra i vetri del locale mille bicchieri consumati, cento sorrisi regalati, bustine di zucchero per addolcire la medicina, sedie disallineate ad ogni tavolo, scaffali di patatine e bottigliette d'acqua, migliaia di occhi stanchi che chiederebbero assoluzione. Poi là fuori il rombo dei motori, le ripartenze senza avere scelta, le foto sul cruscotto dei loro cari, un'occhiata spenta al cellulare. E io resterei e non avrei foto da guardare, vedrei soltanto loro che riprendono ad andare, non avrei espressioni sul mio viso. L'orologio del locale sarebbe fermo da cent'anni e da tempo non verrebbe più nessuno a darmi il cambio.