Cuore e regole

Tempi lontani


°°° Anniversario personaleEra il lontano 1983 quando partii da casa con la mamma e il parroco, borse e valige in macchina con dentro la roba che mi sarebbe servita per lungo tempo, una vita! Dopo un viaggio di diverse ore arrivai a destinazione: il Convento di San Francesco a Zara. Ricordo ancora quel pesantissimo portone mangiato dal tempo con la pittura verde tutta scrostata, i catenacci arrugguniti ma ben oliati, la catenina con la campanella. Ricordo la frescura della pietra lisa dal tempo, il biancore abbagliante del chiostro racchiuso dai suoi eleganti archi rinascimenali. Tutto ciò mi riempì subito gli occhi ed i cuore. Si suonò alla porta e in quel momento si spalancò un mondo per me. Allora non mi resi conto di quanto fosse carico di significato quel momento. Ricordo i grandi ed ombrosi ambienti che mi abbracciarono ed avvolsero di odori carichi di tempo, storia, vita. L'anziano saggio e arguto fra Spaso (Salvatore) ci aprì e subito ci condusse da vari frati per presentarci.  Poco dopo arrivò fra Nedjelko (Domenico), maestro dei seminaristi... mai affettuoso, mai fraterno, sempre formale e distante... non si trovava a suo agio con noi adolescenti. Lui e qualche altro frate ci fecero vedere i semplici, (un po'squallidi a pensarci ora), ambienti dove i giovani seminarsti vivevano e studiavano. Ci portarono al secondo piano, alla sala di studio con le scrivanie e le pile di libri e quaderni, le enormi finestre e in fondo la maledetta e poco efficiente stufa a legna. La sala con l'inutile tv e biblioteca/magazzino di libri. Le finestre davano sul rudere di un'affascinate antica chiesa e abbazia in rovina e dentro il campo nomadi che si era insediato abusivamente... eh si! I bagni con il pavimento di marmi neri... eh i bagni!  Al terzo piano il grande camerone con il pavimento in assi di legno con i letti lungo le pareti. Le finestre offrivano uno spettacolo che non ho mai dimenticato. Da una parte davano sul mare e sulle isole mentre dall'altra parte una meravigliosa distesa di tetti rossi dai quali spuntavano eleganti e candidi campanili. Lo sguardo si fermava al solenne campanile della cattedrale di S. Anastasia, ma prima di quello c'era quello semplice e piccolo della chiesa ortodossa, poi quello tozzo di San Donato e dietro quello antico e severo dell'abbazia di Santa Maria, tra tutti questi spiccava solitaria l'alta colonna del foro romano. Il nostro campanile ovviamente era in primo piano, era bello e mi ricordo di averlo anche disegnato tante volte, il suo segno di distinzione era un piccolo fico che cresceva ardito nella sua sommità. Non dimenticherò mai la pace del silenzio, il gaio tubare dei piccioni e delle tortore tra i tetti, sento ancora con l'orecchio della memoria il suono festoso delle campane nelle mattine domenicali, il malinconico gocciolio dei tetti bagnati dalla pioggia. Ho passato del tempo affacciato a quelle finstre.Quando quel giorno, oramai 25 anni fa, venni al mio letto sentii con la mano il cuscino duro in lana e mi sfuggì un'espressione che fra Sebo (Sebastiano) capì. Frate Sebo gaio e affabile come un nonno mi prese sotto la sua protezione e dopo poco mi portò un cuscino di piume. Quel piccolo gesto mi è rimasto impresso e per me rappresentò il vero gesto di accoglienza.